CATANIA – Far crescere vitigni rari per studiarne lo sviluppo e lavorare alla salvaguardia di quelle che in campo enologico vengono definite vere e proprie reliquie. C’è questo al centro del progetto dell’Università di Catania che nei giorni scorsi ha portato al via libera da parte della Regione Siciliana all’impianto nei campi dell’Azienda agraria sperimentale.
I vitigni rari a Catania in contrada Reitana
Le operazioni verranno effettuate in un fazzoletto di terra, ampio poco più di duemila metri quadrati, in contrada Reitana nella zona sud del capoluogo etneo. A fare la richiesta al dipartimento dell’Agricoltura è stato il rettore Francesco Priolo, nelle vesti di rappresentante legale dell’Azienda agraria sperimentale. L’Università, che non è nuova a progetti di questo tipo, ha avanzato la richiesta poco prima di Natale, a cui è seguita l’invio di una relazione tecnica riguardante le attività di sperimentazione che verranno fatte.
Scorrendo i nomi dei vitigni che verranno coltivati ci si imbatte in alcuni di cui anche i non addetti ai lavori hanno di certo sentito parlare e in altri quasi sconosciuti, ma che portano con sé pezzi di storia della Sicilia agricola e che da qualche tempo sono al centro di attività di microvinificazione utile sia a far rivivere il passato che a valutare le potenzialità in un settore in cui la Sicilia si è ritagliata un ruolo importante. La sperimentazione riguarderà sia uve a bacca bianca che nera. Si va dal Nero d’Avola al Grecanico, dal Nerello Mascalese allo Zibibbo, dal Carricante all’Inzolia, e poi ancora i di certo più rari Vispara, Madama Bianca, Virdisi, Muscatidduni, Bianchetta, Minnella Bianca, Minnella Nera, Alicante. A rientrare nel progetto portato avanti dall’ateneo catanese sono anche i vitigni Moscatella dell’Etna, Moscato d’Amburgo, Zu Matteo, Terribile, Zzinneuro, Madama Nera, Moscatella Nera, Triboti, Barbarossa e Mantellato.
Il decreto firmato da Dario Cartabellotta
Il decreto, firmato dal dirigente generale del dipartimento regionale all’Agricoltura, Dario Cartabellotta, contiene una serie di prescrizioni nei confronti dell’Azienda agraria sperimentale. La Regione, per esempio, dovrà essere messa a conoscenza dell’avvenuto impianto del vigneto “entro 30 giorni dalla conclusione dei lavori di messa a dimora delle viti”, mentre sarà la stessa Università a dover “estirpare, a proprie spese, le superfici vitate al termine della sperimentazione o utilizzare un’autorizzazione per pari superfici”.
L’autorizzazione prevede che vengano installati “in modo visibile, in prossimità del nuovo impianto di viti” adeguati pannelli segnaletici che descrivano l’attività in atto, nell’ambito delle deroghe concesse dal Regolamento Ue 1308 del 2013, che prevede che in caso di sperimentazione – così come di impianti di vitigni per uso familiare – non sia necessario avere concessioni.
Divieto di commercializzare i prodotti
Tra le condizioni previste c’è quella riguardante il divieto di commercializzare “i prodotti ottenuti dalle provenienti dalle superfici impiantate per tutto il periodo della sperimentazione” e di “dover mettere a disposizione della Regione Siciliana i risultati ottenuti dalla ricerca”. A tal proposito è specificato che l’Università di Catania è tenuta a “trasmettere entro il 31 dicembre di ogni anno la relazione, a cura del responsabile scientifico del progetto di sperimentazione, sullo stato di avanzamento dei lavori e dei risultati conseguiti”, oltre che, chiaramente, comunicare all’assessorato regionale quando la stessa sperimentazione sarà terminata.
Come detto, la ricerca e tutela dei vitigni reliquia o gioiello – altra denominazione che esemplifica l’importanza e la rarità di queste specie legate al territorio – è uno dei principali obiettivi che l’Azienda agraria sperimentale di Unict.
Qualche anno fa l’ateneo fu impegnato in un progetto per la “realizzazione di un campo collezione di germoplasma per la coltivazione e il mantenimento di vitigni autoctoni siciliani a rischio di erosione genetica”.
Nella presentazione del progetto, che era stato finanziato con le risorse del Fondo europeo per lo sviluppo rurale, si legge che “parte di tali vitigni è già stata reperita, ma altri sono ancora da recuperare nel territorio siciliano e in particolare in quello etneo. Il reperimento, la caratterizzazione genetico-sanitaria nonché le valutazioni quali-quantitative ed enologiche delle produzioni ottenute permetteranno, oltre alla tutela del materiale stesso, una valutazione approfondita dei vitigni collezionati e ciò confluirà nell’iscrizione dei vitigni ritenuti di particolare interesse al Catalogo nazionale delle vigne italiane in modo da poter essere a disposizione dei viticoltori siciliani”. Adesso è arrivato il momento della coltivazione.

