Nel 2022 i Comuni italiani hanno impegnato 10,9 miliardi di euro per i servizi sociali e per i servizi socio-educativi rivolti alla prima infanzia. Ma se nel Nordest, per i servizi sociali, questo si è tradotto in un impegno di spesa pro capite di 20 euro l’anno per abitante (Friuli-Venezia Giulia), la Sicilia risulta penultima in Italia con appena 4 euro investiti. Dietro c’è solo la Calabria con 3 euro. A tracciare una fotografia chiara di una delle più profonde disuguaglianze Nord – Sud è l’Istat all’interno dell’ultimo report su “La spesa dei Comuni per i servizi sociali — Anno 2022”, pubblicato negli scorsi giorni. Se a livello nazionale la spesa media pro-capite per i servizi sociali è di 150 euro l’anno, nel Mezzogiorno diventano 78 euro contro i 207 euro del Nordest. È in questo scarto, più che nei totali, che si misura la distanza materiale tra cittadini: servizi mancanti, strutture sotto-dotate, lunghe liste di attesa e famiglie lasciate sole nella gestione dei propri cari in difficoltà o in età avanzata. Al netto della compartecipazione degli utenti e del finanziamento sanitario, la spesa corrente comunale scende a 8,9 miliardi: una cifra che cresce del 5,8% rispetto all’anno precedente ma che, nel suo insieme, non ha saputo ridurre le spaccature territoriali più antiche del Paese. Un welfare che, per ampiezza e qualità, evidenzia ancora una volta italiani di serie a e italiani di serie b.
Il welfare visto per macro-aree: numeri che parlano
Il quadro nazionale contiene alcune parabole emblematiche. Più di un terzo delle risorse (37,3%) è oggi destinato a bambini, ragazzi e famiglie con figli; oltre il 27% a persone con disabilità; quasi il 15% agli anziani; solo il 9% al contrasto della povertà ed esclusione sociale. Ma la destinazione delle risorse non è omogenea sul territorio: il peso della spesa «locale» (cioè finanziata con risorse proprie dei Comuni o loro forme associative) è ben più alto al Nord che al Sud. Nel Centro-Nord oltre il 60% della spesa viene coperto da risorse locali; al Sud e nelle Isole quella quota scende drasticamente, rispettivamente al 34,6% e al 27,8%. Tradotto in termini concreti: dove i redditi sono più bassi e la capacità impositiva dei Comuni è ridotta, i servizi sociali sono più fragili. Allo stesso tempo aumentano le risorse vincolate da Stato e Unione europea: la quota finanziata da fondi statali o europei è salita dal 2,7% del 2012 al 13,1% del 2022. Un dato che mostra la crescente dipendenza da stanziamenti vincolati per realizzare politiche sociali uniformi, senza però risolvere l’asimmetria nella capacità amministrativa e infrastrutturale sul territorio.
La geografia della domanda: utenti e intensità d’uso
Il numero di persone o nuclei familiari registrati con una «cartella sociale» è cresciuto: nel 2022 sono circa 2,33 milioni gli utenti presi in carico (quasi 145mila in più rispetto al 2021, +6,6%). La composizione dell’utenza è altrettanto indicativa: circa il 31,5% sono bambini e famiglie con figli; il 24% adulti in condizioni di povertà o disagio; il 23,6% anziani; il 12,9% persone con disabilità. Ma il ricorso al servizio sociale professionale è profondamente differenziato: si passa da 2,6 utenti ogni 100 abitanti nelle regioni del Sud fino a 5,2 ogni 100 abitanti nel Nordest, con una media nazionale pari a 3,9. Anche la spesa annua pro-capite «strettamente sociale» riflette lo squilibrio: 5 euro per abitante al Sud contro 13 euro nel Nordest (media nazionale 9 euro).
Il caso Sicilia: che fine ha fatto il welfare?
Se si cala lo sguardo sulla Sicilia, il dato che colpisce è netto e brutale: la spesa annua pro-capite per il servizio sociale professionale si attesta sui 4 euro per abitante. Quattro euro: poco più di un caffè al mese per ogni cittadino, eppure questa è la cifra che struttura interventi, assicura assistenza domiciliare, sostiene nuclei in difficoltà e mantiene aperti centri diurni. Con numeri del genere diventa difficile parlare di sistema integrato di welfare; più corretto parlare di reti a macchia di leopardo, tenute insieme spesso solo dall’impegno del terzo settore o da interventi straordinari. La Sicilia condivide la condizione meridionale: minore capacità fiscale dei Comuni, reti di servizi meno diffuse e un maggior grado di dipendenza da trasferimenti regionali o statali. Questo si traduce in pochi operatori, assistenza domiciliare limitata, centri per le famiglie sovente sottodimensionati e servizi per i disabili e gli anziani con forte variabilità territoriale. Nei Comuni più piccoli dell’Isola la spesa pro-capite può risultare più bassa non soltanto per carenza di risorse, ma anche per difficoltà organizzative: scarsa presenza di professionisti, costi fissi elevati per servizi distribuiti su territori vasti e scarsità di investimenti infrastrutturali. Tradotto: per poter accedere ai servizi statali, gli abitanti sono costretti a spostarsi anche per decine di chilometri, con ulteriori aggravi sulle tasche personali.
Anziani in aumento, servizi in diminuzione
Al Sud la spesa media annua per i servizi resi agli anziani è stata di circa 40 euro per residente di 65 anni e oltre — meno della metà rispetto al Centro (94 euro) e molto distante dal Nordest (174 euro). A livello regionale i valori estremi arrivano fino a 1.459 euro pro-capite nella Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen e a soli 19 euro in Calabria; male anche la Sicilia. Le Regioni a statuto speciale (tranne la Sicilia) e le Province Autonome sono i territori in cui gli anziani beneficiano di maggiori risorse. Rispetto a 10 anni prima, la spesa pro-capite per i servizi rivolti agli over65 ha fatto registrare riduzioni più o meno rilevanti in tutte le regioni italiane, ad eccezione della Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen dove è aumentata di oltre 1.200 euro. Un capitolo a parte è quello dell’assistenza domiciliare, servizio cruciale per la qualità della vita degli anziani non autosufficienti. A livello nazionale la spesa complessiva per l’assistenza domiciliare agli anziani nel 2022 è stata pari a 464 milioni di euro (circa 33 euro all’anno per anziano residente). Anche qui il divario territoriale è evidente: il Norest presenta valori medi più elevati (47 euro), il Sud è più debole (21 euro), mentre le Isole si collocano attorno ai 33 euro — una media che nasconde però differenze tra singole province. Cosa significa tutto questo per i siciliani? Prima di tutto che l’invecchiamento demografico — accelerato dallo spopolamento delle aree interne e dallo scarso ricambio generazionale — si trova a scontrarsi con una rete di servizi territoriali non adeguatamente finanziata. Le famiglie, le associazioni di volontariato e il Terzo settore spesso colmano il vuoto, ma la fragilità organizzativa e la scarsità di assistenti sociali e di risorse pubbliche lasciano molti anziani con bisogni parzialmente coperti
Chi paga e come: fragilità delle risorse locali
Più della metà della spesa per i servizi sociali e socio-educativi è finanziata dalle risorse proprie dei Comuni (50,2%) e dalle loro forme associative (6,1%). Nel Sud e nelle Isole, però, l’ancora delle risorse locali è più corta: i Comuni hanno meno base imponibile e quindi meno margine per programmi stabili e per politiche di lungo periodo. Questo spiega anche perché, nonostante l’incremento delle risorse vincolate statali ed europee, il divario infrastrutturale e organizzativo fra Nord e Sud persiste. Le risorse arrivano, ma spesso la capacità di spenderle efficacemente — e di trasformarle in servizio accessibile quotidianamente — è diseguale.
Lavoro sociale: più tutele, non ancora uniformità
Tra le novità degli ultimi anni c’è lo sforzo per professionalizzare e rafforzare il servizio sociale. La Legge di Bilancio 2021 ha fissato un rapporto minimo: almeno un assistente sociale ogni 5.000 abitanti per Comuni o Ambiti territoriali sociali. Nel 2022 la spesa per il servizio sociale professionale è stata di 521 milioni di euro, con un aumento del 7,3% rispetto all’anno precedente. La distribuzione degli operatori rimane comunque irregolare: in molti territori del Sud la densità di assistenti sociali è inferiore alle soglie raccomandate, il che significa che anche quando i fondi esistono, i tempi di presa in carico si allungano e la qualità dell’intervento diminuisce.
Effetti concreti nella vita delle persone
Numeri e percentuali assumono un volto quando si guardano le conseguenze pratiche: anziani che restano a lungo senza adeguata assistenza domiciliare; persone con disabilità costrette a migrare — letteralmente — verso servizi migliori; famiglie in difficoltà che non trovano un centro per la cura dei figli o percorsi di sostegno. La scarsità di interventi preventivi alimenta la domanda di interventi d’emergenza e rende il sistema complessivamente più costoso. Inoltre, la mancanza di servizi locali spinge al ricorso a soluzioni private e informali, con un aggravio economico e psicosociale sulle famiglie meno abbienti.
Dove investire
Rafforzare il welfare siciliano significa investire nella governance territoriale. Favorire l’associazionismo fra Comuni e la creazione di Ambiti funzionali che permettano economie di scala nella gestione dei servizi, nella formazione del personale e nella rendicontazione dei risultati. Ma anche investire in assistenti sociali e professionalità del welfare attraversopercorsi formativi, stabilizzazione dei contratti e misure che rendano attrattivo il lavoro nei territori svantaggiati. In questo panorama, a essere potenziati dovrebbero essere anche i servizi domiciliari a disposizione dei siciliani.
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