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Alitalia, quanto costa la Cigs? Tutto quello che c’è da sapere

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Alitalia, quanto costa la Cigs? Tutto quello che c’è da sapere

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domenica 27 Marzo 2022

Fondo di solidarietà? "Un fondo che abbiamo costruito noi e non con i soldi del pubblico". L'intervista esclusiva a Francesco Alfonsi.

Su Alitalia e sui numeri che ruotano attorno a un dossier che di fatto resta ancora aperto, abbiamo provato a fare chiarezza con Francesco Alfonsi, Segretario Nazionale Ugl Trasporto Aereo.

Segretario Alfonsi, quanto costerà la cassa integrazione Alitalia nel 2022 per gli 8mila dipendenti ex compagnia di bandiera?

“La domanda è fuorviante e neanche tanto semplice da definire. Detta così, non è bianco o nero la situazione: magari lo fosse. Allora quanto costerebbe? Non si sa. E il motivo è presto detto: all’1 gennaio 2022 c’erano quasi 8mila dipendenti ex Alitalia in carico. Ma non è detto che al 31 dicembre resti lo stesso numero. Anzi è certo. A mio parere entro fine anno la cifra sarà destinata a dimezzarsi: qualcuno maturerà i requisiti per il pensionamento e qualcun altro verrà ancora assunto da Ita. Ma molto dipenderà anche dalle gare, in partenza a giugno.

Qual è lo stato di salute del settore trasporto aereo?

“Il nostro settore che, ricordo, contribuisce al Prodotto interno lordo per il 3,6 per cento (il turismo ne vale 12 di punti percentuali; il trasporto aereo 3,6), nel 2020 ha fatto -73 per cento, meno 58 nel 2021. Pensi che il Mise ha aperto il tavolo dell’acciaio, il tavolo dell’automotive, il tavolo delle parrucchiere, il tavolo dei giardinieri. Ma non il tavolo del trasporto aereo che, tecnicamente, è il settore più in crisi in assoluto, che ha pagato dazio più di tutti e che ripartirà per ultimo. Ed è incredibile che non si sia aperto un tavolo sistemico per questo settore strategico: questa è la vera notizia.

In sostanza il Fondo di solidarietà del trasporto aereo è l’equivalente del Fondo interbancario.

“Assolutamente sì. In Italia c’erano due fondi speciali: quello bancario e quello del trasporto aereo che sono stati trasformati in fondi di solidarietà”.

Quindi un dipendente del trasporto aereo in cassa integrazione percepisce l’integrazione di base più l’integrazione che arriva dal Fondo.

“Per forza. È un Fondo che abbiamo costituito noi nel 2004 perché il nostro settore era sprovvisto di ammortizzatori sociali. Nel trasporto aereo non venivano applicati perché era un settore che cresceva. Nel 2004 abbiamo creato l’Fsta, Fondo di sostegno del trasporto aereo foraggiato attraverso 1,5 euro di contributo addizionale che pagava il passeggero. Non sono soldi pubblici. Sono soldi che pagano i passeggeri. E questo è un altro dato che molti dimenticano. Sono aggiuntivi che, anzi, portano soldi al pubblico, non li tolgono. E quindi con questo euro e mezzo noi finanziavamo il nostro fondo di sostegno al reddito dei dipendenti del trasporto aereo e che serviva a garantire una entrata non dico in linea con la retribuzione ma, insomma, ci si avvicinava molto: un pilota, con un reddito di 5-7mila euro, non può prendere una cassa integrazione da 1.100 euro.

Non sarebbe stato in cassa integrazione: sarebbe stato un povero. Quindi uno strumento di integrazione era necessario. Che non potevamo certo farlo pagare allo Stato. Così ci siamo inventati un meccanismo. Che funzionava talmente bene che lo Stato è arrivato è arrivato a fare fino a 11 euro di trattenuta sulle addizionali che ripartivano a Comuni e Regioni e una parte se li introitava. La cosa incredibile è stata che, a un certo punto, chi ha ideato questo meccanismo è stato escluso.

Noi, attraverso il ministro Delrio, tre anni fa, venimmo esclusi: ci vennero tolte le tasse che i passeggeri, tutti i passeggeri, non solo quelli che utilizzavano i voli nazionali, pagavano e l’Inps si prese tutto quanto il malloppo del nostro fondo. Dopo varie battaglie noi siamo riusciti, attraverso un decreto, a riavere indietro 1,5 euro a partire da giugno 2020. Ma a metterci lo zampino c’è stato il Covid. Ed è chiaro che fin tanto che – prima della pandemia – c’erano 190 milioni di passeggeri il fondo introitava moltissimi quattrini. Nel momento in cui è arrivato il Covid, il fondo ha cominciato a non introitare più nulla perché il numero dei passeggeri si sono abbattuti e il fabbisogno di sostentamento del fondo si è abbassato. Quindi i soldi sono venuti a mancare, per tutti. Così abbiamo chiesto al Governo di intervenire attraverso le integrazioni”.

Al momento qual è la situazione del Fondo?

“La cosa incredibile è che dentro al fondo c’è oltre un miliardo di euro fermo perché c’è un meccanismo, che si chiama ‘deliberato non speso’, cioè quando le aziende fanno la cassa integrazione, inizialmente la utilizzano, poniamo, per cento persone che poi vanno a scemare e alla fine la utilizzano per cinquanta di media, ma è chiaro che hanno preso i soldi per cento persone.

Quel finanziamento su cento, utilizzato però per la metà, resta immobilizzato per dieci anni, a causa di tecnicismi. Quindi noi oggi abbiamo un miliardo di euro che potremmo tecnicamente utilizzare, che si chiama ‘deliberato non speso’ e cioè i soldi accantonati per le casse integrazioni passate e che non sono stati utilizzati, però siccome non abbiamo una norma che possa permettere di smobilitare questi soldi e portarli nelle disponibilità del fondo, noi quei soldi non li possiamo utilizzare”.

Quali iniziative avete promosso in tal senso?

“Abbiamo chiesto al ministero del Lavoro di fare una norma che dica che dopo dieci anni quei soldi tornano nella disponibilità del fondo. In questo modo noi avremmo già a disposizione circa 450 milioni di euro, dai conti che abbiamo fatto. Il ministero del Lavoro dovrebbe andare in questa direzione.

L’Inps, ovviamente, spinge per non fare nulla perché chiaramente per loro quello è un fondo dal quale attingere e per il quale spendere meno possibile, tanto è vero che sono loro che spingono per il 60 per cento e non per l’80 (garantito per tutto il 2022). Il Fondo noi lo abbiamo concepito essenzialmente per il personale navigante. Infatti se andiamo a vedere l’integrazione percepita dal personale di terra, non supera i 250 euro mensili”.

Quindi è vero quanto abbiamo letto in questi giorni e cioè dal 2023 l’integrazione scende al 60 per cento anche per evitare che un dipendente ex Alitalia in cassa a zero ore possa prendere più di un suo collega Ita?

“Ma anche questo fa parte della vulgata. Personalmente, comunque, la differenza tra 60 e 80 a me non appassiona particolarmente. Io sono a favore dell’80 per cento perché il Fondo è uno strumento che abbiamo costruito noi e non con i soldi del pubblico. Quindi non vedo perché debba essere ‘bistrattato’ quello che considero l’unico strumento rimasto nel nostro settore, ribadisco, dimenticato da tutti”.

Che prospettive ci sono per il 2023 per gli ex Alitalia? Ci sono segnali di proroga?

“È ancora presto. Ma il bacino degli 8 mila è destinato a svuotarsi: tra assunzioni di Ita e l’assegnazione delle gare e anche in modo importante. Altri andranno a lavorare nel progetto dell’handling. Detto ciò, ritengo che una proroga anche oltre il 2024 sia necessaria: un processo di questo tipo, come quello di Alitalia, ha necessariamente bisogno dal mio punto di vista di ammortizzatori sociali importanti”.

L’affermazione del commissario Leogrande secondo la quale sostiene che in un’audizione alla Camera Alitalia “brucia” 300 milioni di euro l’anno.

“Non parlo di dati di cui non ho contezza. Certo, però, che nel dato che può fornire un dirigente, sia egli amministratore delegato o commissario straordinario, ci sono tante voci: ci sono i pagamenti ai fornitori, ci sono i Tfr. La cifra di 275,3 milioni destinata al personale Alitalia nel 2023 sarà chiaramente inferiore perché quei numeri che oggi circa 8mila a fine anno saranno secondo me attorno ai 4mila. Consideriamo che se dovesse partire Atitech per la parte di manutenzione, 800 colleghi potrebbero essere presi da lì; altri 1.500 per l’handling; un ulteriore migliaio assorbito da Ita, in cassa ne resterebbe la metà”.

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