Associazioni dei consumatori nel vortice della spending review - QdS

Associazioni dei consumatori nel vortice della spending review

Giuliana Gambuzza

Associazioni dei consumatori nel vortice della spending review

mercoledì 19 Settembre 2012

Allo studio un provvedimento sulla tracciabilità degli iscritti che vuole incentivare le confederazioni. Il governo difende la norma in nome della trasparenza dei finanziamenti pubblici

Il ministero dello Sviluppo economico ha annunciato una stretta sui finanziamenti alle associazioni dei consumatori. In tempi di spending review, in effetti, si aspettava solo il momento in cui la forbice del governo le avrebbe raggiunte.
Il motivo è che spesso quote dei soci e donazioni non bastano a coprire le spese di funzionamento di enti nati senza scopo di lucro, per cui scatta il contributo pubblico. Sebbene queste associazioni esistano sin dal 1950 e siano state riconosciute dal Mise 14 anni fa, è solo dal 2003 (quando il Codacons ha riportato una vittoria senza precedenti contro le compagnie assicurative) che i proventi delle multe incassate dall’Antitrust e dall’Autorità per l’energia elettrica vengono destinati a sostenere iniziative di sensibilizzazione rivolte al consumatore. Dal lì partono pure le risorse per i progetti dello stesso tipo promossi dalle Regioni, molti dei quali sono realizzati proprio in collaborazione con le associazioni.
Dal 2007, però, dopo qualche anno di cifre a sei zeri, le sovvenzioni cominciano ad arrivare a singhiozzo; anzi, da due anni non arrivano proprio, in quanto dirottate da Giulio Tremonti sulle emergenze. Gli ultimi 4,5 milioni di euro stanziati sono stati distribuiti ai quattro gruppi in cui le associazioni si sono consorziate attorno ad altrettanti progetti (“Diogene. La lanterna del consumatore”, “Guarda che ti riguarda”, “Informa-con” e “Check-up diritti”).
Il giro di vite deciso dal ministero, che sta prendendo corpo in un regolamento integrativo del Codice del consumatore, interesserebbe le procedure di tracciabilità degli iscritti, andando a colpire solo indirettamente i fondi. L’impressione è che il governo voglia convincere per vie traverse le associazioni a confederarsi, in modo da indirizzare le somme superstiti a pochi, evitandone la dispersione. In base alle nuove norme, infatti, qualcuna di esse rischierebbe di non raggiungere i 30 mila iscritti. E questo, insieme alla presenza in almeno 5 regioni, è il requisito minimo per far parte del Cncu, il Consiglio nazionale dei consumatori dal quale passano i finanziamenti.
Il provvedimento, comunque, è stato presentato come un modo per aumentare la trasparenza nell’assegnazioni di soldi dei contribuenti, visto che consentirebbe al ministero di richiedere gli elenchi, completi di generalità e codici fiscali dei tesserati, invece della semplice autodichiarazione. Il tutto in linea con quanto già avviene per le Camere di Commercio.
Secondo punto, si garantirebbero gli aderenti alle class action, perché i soggetti legittimati a organizzarle sono le associazioni dei consumatori rappresentative a livello nazionale, del tipo appunto di quelle che rientrano nel Cncu.
Eppure, l’annuncio non è stato accolto con favore da molte delle dirette interessate. Per esempio, il presidente dell’Aduc Sicilia Paolo Pagliaro pone un problema di privacy, segnalandoci che “il censimento dei dati è subordinato al consenso dell’associato, che è sempre molto restio a permettere che i propri dati siano trasmessi a terzi. Se si rifiuta, cosa facciamo? Gli neghiamo la prestazione?”.

No del Codacons: “Ci vogliono zittire perché non abbiamo padroni”

Il Codacons boccia la misura entrata nell’agenda del governo. Lo dichiara ai nostri microfoni il presidente della sezione regionale Giovanni Petrone: “Noi del Codacons, da sempre, siamo assolutamente contrari al principio della valutazione delle associazioni in base al numero degli associati: è fuorviante e non indicativo della rappresentatività”. Petrone riconosce che un problema esiste, ed è quello di “limitare il proliferare di associazioni create per accedere all’elemosina dei finanziamenti pubblici”, però considera la soluzione addirittura “peggiore del problema”. La strada insomma c’è, ma non è quella tracciata dal governo. “Si dovrebbe trovare un sistema per misurare le attività svolte sul territorio e la loro incidenza sulla collettività e sull’opinione pubblica. Perché, ad esempio, non fare delle votazioni nazionali come quelle politiche?”. Il sospetto, conclude il numero uno di Codacons Sicilia, è che “proposte simili vengano ideate per mettere a tacere chi, come noi, non risponde a padroni di nessun tipo. È troppo facile per un’associazione figlia di un sindacato o di un partito politico – la quasi totalità delle associazioni italiane – trovare degli iscritti”.

Giuliana Gambuzza
Twitter: @GiulyGambuzza

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