Non vogliono gli impianti Rsu ma tacciono sugli incendi in discarica - QdS

Non vogliono gli impianti Rsu ma tacciono sugli incendi in discarica

Andrea Salomone

Non vogliono gli impianti Rsu ma tacciono sugli incendi in discarica

venerdì 18 Ottobre 2013

Insensato depositare i rifiuti in vasca quando potrebbero essere utilizzati come biocarburante non fossile

LONDRA – Abbiamo visto che la centrale a base di rifiuti indifferenziati (Rsu) di Londra Belvedere visitata dal QdS quasi quattro mesi fa è dotata di un sistema per evitare incendi all’interno del bunker dove viene immagazzinata la spazzatura.
Quando ci ha spiegato che all’interno della massa dei rifiuti possono verificarsi fenomeni di combustione latente (smouldering effect), Andy Pike, il direttore dello stabilimento, ci ha messo una pulce nell’orecchio: qualcosa brucia, ma non si vede, perché si tratta di un incendio intestino e non superficiale.
Non molti italiani sanno che gli incendi in discarica (landfill fires) sono un fenomeno comune che va sempre messo in conto ogni qualvolta si decide di aprire questo tipo di impianto. E non molti italiani sanno che ciò può succedere anche perché esistono alcuni generi di rifiuti che bruciano spontaneamente (spontaneous combustion).
Che i tre fenomeni sopracitati siano poco conosciuti è un dato di fatto, probabilmente provocato dal quasi totale disinteresse in materia di televisioni, giornali e pagine internet in lingua italiana (wikipedia compreso). Eppure si tratta di questioni di fondamentale importanza che spiegherebbero definitivamente quanto e perché sia tanto insensato continuare ad abbandonare i rifiuti in discarica quando potrebbero essere riutilizzati come biocarburante non fossile per produrre bioenergia che contribuirebbe a ridurre l’utilizzo dei ben più inquinanti e costosi combustibili fossili.
Abbiamo già visto scoppiare diversi incendi nelle discariche siciliane. E chissà quanti altri ne sono stati nascosti dai loro gestori privati. Forse saremmo venuti a sapere di un numero molto più elevato di irregolarità nella discarica di Motta Sant’Anastasia (CT) dell’Oikos, se solo la strada che porta a questo sito non fosse così inspiegabilmente e brutalmente dissestata, restando accessibile quasi esclusivamente a camion aziendali e a mezzi cingolati. Ma si sa: la storia non si fa con i se, e in fondo, volendo, se si mettono insieme tutti i pezzi del puzzle, una spiegazione la si può trovare.
Ad ogni modo, abbiamo visto che Patrick Foss-Smith, consulente ingegneristico ambientale britannico specializzato in discariche e incendi sotterranei – autore di un articolo intitolato "comprendere gli incendi in discarica" (Understanding landfill fires) pubblicato sul sito www.waste-management-world.com – ha spiegato e posto il problema degli incendi in discarica in maniera tecnica e seria, chiarendo il perché degli alti costi di tale fenomeno in termini ambientali ed economici.
Davanti alla sua spiegazione viene del tutto spontaneo chiedersi per quale ragione ci sia ancora chi protesta contro la realizzazione di centrali a base di rifiuti senza dire una parola in merito al deposito di rifiuti non pretrattati in discarica. La risposta a questa domanda, in realtà, è molto semplice. Queste persone sono coscienti dei problemi ambientali che si potrebbero venire a creare nel momento in cui i sistemi di depurazione dei fumi industriali delle centrali Rsu dovessero andare in panne, com’è avvenuto nel caso della centrale Rsu di Brescia; ed è proprio tale consapevolezza che fa nascere in loro più che legittime preoccupazioni sulle possibili ripercussioni di una situazione del genere sull’ambiente e la salute di chi vive in prossimità di questi impianti.
Le stesse persone, però, sembrano non essere affatto coscienti che situazioni di questo genere – dove ha luogo una combustione incontrollata, priva cioè di un sistema di depurazione dei gas di scarico – si verificano molto frequentemente nelle discariche, più di quanto le sporadiche notizie dei mezzi di comunicazione italiani possano far credere. I dati dell’US Fire Administration del 2001 parlano di circa 8.300 all’anno negli Usa e 300 nel Regno Unito; sarebbe stato interessante avere anche i dati italiani, ma purtroppo nessun organo di vigilanza ha rilasciato informazioni in materia.
Se solo queste persone conoscessero i problemi provocati dalle discariche e dalla possibilità di incendi al loro interno, sicuramente inizierebbero a rivedere la questione in maniera differente. E sicuramente, inizierebbero a capire perché si continuano a costruire centrali per il trattamento termico dei rifiuti, ossia per poter chiudere definitivamente i conti con le discariche, come hanno già fatto da anni Svizzera, Germania, Svezia, Norvegia, Olanda, Belgio, Austria e Danimarca.

Il fenomeno della pirolisi può durare anche anni

LONDRA – Come spiega Foss-Smith, tutti i costi e gli sforzi di un perfetto sistema ingegneristo di contenimento vengono vanificati nel momento in cui emissioni fuggitive, tra cui spesso diossina e percolato non trattato, vengono rilasciate nell’ambiente per via di un telo perforato o una conduttura che perde.

Riguardo alle emissioni di diossina, spiega l’ingegnere britannico, il programma ambientale delle Nazioni Unite (Unep, United Nations Environment Programme) stima che nel futuro immediato, la combustione non-industriale incontrollata, principalmente composta di incendi nelle discariche e combustione illegale di barili (foto accanto), rimane la fonte più significante di inquinanti organici permanenti (POPs, Persistent organic pollutants) e dibenzofurano policlorurato (PCDF) in Europa (Thornton, 2002).
Gli incendi profondamente radicati sono forme di combustione note come pirolisi, dove la reazione termica prende posto in un ambiente privo di ossigeno. Il materiale comburente viene consumato in maniera molto lenta e ad una temperatura molto bassa. Quando i rifiuti vengono riscaldati inizia la devolatilizzazione di particelle volatili combuste in maniera completa o incompleta, tra le quali monossido di carbonio, diossido di Pvc e solfuro d’idrogeno proveniente da cartongesso. A seguito della devolatilizzazione, in condizioni di assenza di ossigeno, il carburante rimanente può restare caldo per anni nella forma di carbonio fisso.
Gli incendi nelle discariche emettono un cocktail tossico dei gas fuggitivi "più ricercati" dalle autorità, tra i quali formaldeide, acido cianidrico, acido solfidrico, ossidi di azoto e molti altri (OEPA, 2006). Fumo visibile potrebbe non essere visibile perché i rifiuti compattati fungono da buon filtro per il particolato. Tuttavia, in condizioni di umidità, i gas fuggitivi hanno la capacità di "colare attraverso" la superficie (da qui il nome di "per-colato"), col rischio che, se il telone di contenimento posto tra i rifiuti e il terreno della discarica è perforato, le sostanze tossiche contenute in questo liquido di scolo possono contaminare le falde acquifere.
Un problema particolare con il fumo, che è largamente carbonio incombusto, è costituito poi da granelli attivi fortemente tossico-assorbenti. Particelle davvero piccole, note come nanopolveri PM2.5s (più piccole cioè di 2.500 nanometri), possono essere trasportate dall’aria per giorni e, una volta inalate, insieme ai contaminanti assorbiti passano direttamente nel flusso sanguigno.

Percolato, l’altro problema che fuoriesce dai teloni

Ci sono casi in cui il rilascio incontrollato di percolato avviene anche in siti asciutti, perché l’acqua freatica viene ammessa all’interno della massa dei rifiuti attraverso un telone basale perforato. Costruttori di teloni in polietilene ad alta e bassa densità lineare (HDPE e LLDPE) raccomandano una temperatura limite tra i 60°C e i 71°C. Superare queste temperature, anche per poco tempo, porta ad una deplezione nella membrana antiossidante e ad una drastica riduzione della vita di servizio di una discarica. A 10 °C la vita di un telone potrebbe essere di 375 anni; a 60°C è scesa circa a 20 (vedi infografica).
Il telone di protezione dalla membrana secondaria argillosa a base di Bentonite non riesce a parare il problema. Gli effetti della disseccazione provocati dal calore sull’argilla portano alla formazione di larghe fessure nella membrana posta per evitare il contatto tra il terreno e i rifiuti. Ingegneri geotecnici possono confermare che questo sistema di contenimento base perforato non potrà essere riparato a nessun costo ragionevole.
Sarebbe curioso sapere se, alla luce di tutte queste informazioni, chi si dice contrario alle centrali Rsu continuerebbe a preferire gli incendi incontrollati dei rifiuti nelle discariche alla combustione controllata di biocarburante Rsu per la produzione di bioenergia. Ai posteri l’ardua sentenza.

 
(28. Continua. Le precedenti puntate sono state pubblicate il 22 febbraio, l’1, 12, 15, 22, 29 marzo, il 5, 12, 19 aprile, 3, 10, 16, 24 maggio, il 7 giugno, il 5, 12, 19, 26 luglio, 2, 9, 23, 30 agosto e 6, 13, 20, 27 settembre e 4 ottobre. La prossima pubblicazione è prevista venerdì 25 ottobre).

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