Paesaggio, il Piano dimenticato - QdS

Paesaggio, il Piano dimenticato

Rosario Battiato

Paesaggio, il Piano dimenticato

sabato 10 Ottobre 2009

Ambiente. I rischi naturali e la prevenzione tradita.
I decreti. Nel 1999 e nel 2001 gli assessori regionali ai Beni culturali e ambientali stabiliscono e approfondiscono le linee guida del Piano del paesaggio, per la tutela ecologica del territorio spesso a rischio di calamità.
L’attesa. Da 8 anni sono attesi i 18 piani d’ambito per l’attuazione dei decreti. Un’assenza che non consente a Comuni e Soprintendenze di operare, mentre la Sicilia è scossa da emergenze naturali e scempi

PALERMO – Nel 1999 il D.A. 6080/99 ha stabilito le linee guida del Piano, poi ulteriormente riprese ed approfondite durante la stagione assessoriale di Fabio Granata. “Adesso gran parte dei piani d’ambito – ha dichiarato Mimmo Fontana di Legambiente – sono stati redatti e consegnati all’assessorato prima della scadenza del 30 giugno scorso. Ora tocca alla Regione”.
Una impellenza improrogabile per una regione che conta il 70% dei comuni a rischio, quindi 272 realtà di cui 200 a rischio frana, 23 a rischio alluvione, 49 a rischio frana e alluvione, secondo quanto precisato nel dossier “Ecosistema rischio” di Legambiente. Inoltre una mappa del rischio della Regione Sicilia  del 1999 censiva 21mila e 500 aree a rischio (l’83 per cento solo in provincia di Messina) e 31mila e 800 frane oltre a tremila tra edifici e infrastrutture a rischio idraulico.
Il piano del paesaggio prevede appunto “la stabilizzazione ecologica del contesto ambientale regionale, la difesa del suolo e della bio-diversità, con particolare attenzione per le situazioni di rischio e di criticità”. Nel gennaio scorso Fabio Granata aveva chiesto al presidente Lombardo di commissariare le Sovrintendenze inadempienti, visti i continui rimandi operati e l’impellenza di alcune emergenze territoriali, tra cui il problema ormai consolidati dell’invasione delle pale eoliche. Secondo Leandro Janni di Italia Nostra e Fabio Granata, vicepresidente della commissione nazionale antimafia, saranno proprio i piani a salvare il paesaggio dall’invasione indiscriminata delle pale eoliche, un passaggio improrogabile visto che alla Regione proprio in questi ultimi due mesi sono riprese a ritmo serrato le conferenze dei servizi per gli impianti di energia rinnovabile, tra cui i parchi eolici.
Ma se parliamo di Piano Paesistico come strumento sovra-ordinatore per la gestione del territorio, i Pai (piani di assetto idrogeologico) dovrebbero appunto costituire il punto di riferimento ordinario e specifico per le questioni idrogeologiche, cioè imprescindibilmente legati ai Piani regolatori dei comuni. “Già da qualche anno la Regione – ha spiegato Leandro Janni – ha avviato un monitoraggio tra i comuni isolani ed ha già realizzato una mappa del rischio seguendo le indicazioni degli Enti locali. Purtroppo solo i comuni seri con geologi seri hanno provveduto a realizzare una mappa oggettiva del rischio, mentre i comuni delinquenziali, quando si sono resi conto che un lavoro del genere avrebbe potuto vincolare la loro azione sul territorio hanno ritirato la partecipazione”.
Di fatto ogni ente locale con piano regolatore vecchio o approvato prima della redazione del piano, dovrebbe rivedere punto per punto la sua espansione urbanistica in rapporto alle indicazioni specialistiche previste nel Pai e poi riportare il Piano Regolatore in consiglio.
“In realtà spesso succede – ha spiegato Mimmo Fontana – che i comuni vedendosi vincolati nella loro espansione edilizia non prendono in considerazione quanto previsto”. Solo per fare un esempio abbastanza lampante sul Pai dell’area territoriale tra il bacino del torrente Fiumedinisi e Capo Peloro si legge che “nel territorio comunale di Scaletta Zanclea era stata individuata un’area a rischio “elevato” sul Piano Stralcio di Bacino per l’Assetto Idrogeologico del 2000. Successivamente il territorio comunale è stato oggetto di revisione con la individuazione di due aree a rischio “molto elevato” sui torrenti Divieto e Racinazzi.
Nel 2003 il Comune ha segnalato, oltre alle due già note, un’altra area a rischio per il deflusso delle acque del torrente Saponarà”. Siamo di fronte alle classicissime “lacrime di coccodrillo”, come le ha definite Mimmo Fontana, visto che tutto si sapeva già, persino che i comuni dell’isola non erano affatto pronti alle emergenze alluvionali, annegati com’erano tra piani mai recepiti e dati mai utilizzati.
Secondo il rapporto Ecosistema a Rischio di Legambiente in Sicilia solo l’8% dei comuni ha effettuato un lavoro di mitigazione del rischio idrogeologico qualificabile come “positivo”, nessuno come “ottimo”, 3% come “buono”, 5% come “sufficiente”, e nel complesso il 92% come “negativo”. Adesso che fare? “La Regione – ha spiegato Giovanni Arnone, ex coordinatore del gruppo che ha realizzato i Pai – ha chiesto un miliardo per le opere prioritarie. Ma il ministero ha tagliato i fondi”.
 

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