Awake Surgery, nuove frontiere della neurochirurgia a Catania - QdS

Awake Surgery, nuove frontiere della neurochirurgia a Catania

Mariaelena Casaretti

Awake Surgery, nuove frontiere della neurochirurgia a Catania

giovedì 02 Aprile 2015

In Sicilia la prima operazione al cervello su paziente cosciente per tutta la durata dell’intervento. L’obiettivo è ridurre al minimo il rischio di deficit neurologici post-operatori

CATANIA – Secondo la pellicola dell’inglese Joby Harold la cosa peggiore che può succedere quando si è sotto i ferri è rientrare in quella minoranza di sfortunati che hanno  provato il fenomeno dell’anestesia cosciente. I neurochirurghi d’avanguardia non sono d’accordo.
 
Per la prima volta è, infatti, la realtà a superare il set attraverso l’awake surgery, una tecnica attualmente in uso che permette di intervenire sul cervello a paziente sveglio, con l’obiettivo primario di salvaguardarne alcune aree specifiche, come quelle che regolano i movimenti e il linguaggio.
 
Gli interventi neurochirurgici su pazienti svegli, per l’asportazione di tumori o di malformazioni vascolari localizzate in aree funzionalmente “eloquenti” del cervello, sono ancora appannaggio di pochi centri neurochirurgici e richiedono  meticolosa preparazione e lavoro d’equipe, con il contributo determinante di anestesisti, neurologi, neurofisiologi, infermieri e tecnici di sala operatoria.
 
Quello eseguito lo scorso 13 febbraio, presso la Neurochirurgia del Policlinico Universitario di Catania, è stato il primo intervento chirurgico in Sicilia a essere condotto su una paziente rimasta completamente cosciente per tutta la durata dell’operazione, senza mai ricorrere alla somministrazione di anestesia generale, né prima né dopo aver rimosso la malformazione vascolare.
 
In genere, le procedure di awake surgery prevedono la pratica asleep – awake-asleep con una prima fase in cui il paziente viene addormentato in anestesia generale per l’apertura della scatola cranica e l’esposizione delle aree del cervello da operare, e svegliato successivamente per essere in grado di effettuare movimenti ed elaborare frasi di senso compiuto, effettuando, così, un monitoraggio diretto delle funzioni neurologiche superiori, mentre il chirurgo è impegnato ad operare al cervello. Completata questa fase, il paziente viene riaddormentato fino alla fine dell’intervento e quindi fino alla chiusura della ferita chirurgica.
 
Questo tipo di procedura, tuttavia, implica ovvi disagi per tutte le parti coinvolte durante l’intervento: la posizione obbligata del paziente sul tavolo operatorio, con la testa bloccata rappresenta difatti una significativa difficoltà per l’anestesista, che dovrà rimuovere, prima, e riposizionare, dopo, il tubo endotracheale ; per il chirurgo che, costretto a operare adattandosi alla posizione obbligata del paziente, non potrà quindi scegliere quella migliore per l’approccio chirurgico; e, soprattutto, per il paziente, che ha il disagio di dover essere intubato ed estubato almeno due volte nel corso dell’operazione.
L’intervento eseguito dal neurochirurgo Professor Giuseppe Barbagallo, con la collaborazione del Dr. Francesco Certo, è stato invece interamente condotto senza mai ricorrere all’anestesia generale con intubazione e la paziente trentacinquenne è rimasta completamente cosciente per ben due ore, ovvero per tutta la durata dell’intervento.
 L’ottima riuscita della procedura è stata resa possibile anche grazie alla valida collaborazione della Dr.ssa Eleonora Tringali, anestesista della U.O. di Anestesia e Rianimazione del Policlinico, che ha somministrato lagiusta quantità di farmaci capaci di ridurre al minimo la percezione del dolore della paziente senza alterarne al tempo stesso lo stato di veglia.
 

 
Intervista a Giuseppe Barbagallo, specialista di neurochirurgia al Policlinico Universitario di Catania “Vittorio Emanuele”
 
Per avere maggiori dettagli su questa tecnica d’avanguardia abbiamo intervistato l’attore principale dell’intervento, il Professor Giuseppe Barbagallo, neurochirurgo del Policlinico dell’Università degli studi di Catania, membro permanente del Consiglio direttivo delle sezioni di neuro-oncologia e di chirurgia spinale della Società europea di neurochirurgia (EANS) e da poco eletto per il triennio 2016-2019 presidente del Consiglio direttivo europeo di AOSpine, la più grande società scientifica di chirurgia spinale a livello internazionale.
L’awake surgery è una novità per il nostro Paese, ma all’estero è un tipo di chirurgia già abbondantemente utilizzata; dove e quando ha appreso questa tecnica d’intervento?
“Sono stato molte volte all’estero e ho lavorato parecchi anni in Inghilterra, dove ho conseguito una Fellowship in chirurgia spinale e nel 2008 una in neuro-oncologia clinica; ed è proprio nel corso di quell’anno che ho appreso, dal Prof. Mitchel Berger, Direttore del Dipartimento di neurochirurgia dell’Università di San Francisco in California e noto esperto internazionale della metodica, i principi e la tecnica della chirurgia a paziente completamente sveglio”.
Quanto è importante la scelta del paziente nella decisione di operare al cervello adottando l’awake surgery?
“È fondamentale scegliere il tipo di paziente su cui eseguirla, non solo in base alla patologia, ma anche testando le sue capacità di controllo dell’ansia e paura del dolore. L’intervento a paziente cosciente si è resa necessaria in questo caso, poiché la malformazione vascolare, chiamata angioma cavernoso, si trovava in una zona profonda del cervello, a sinistra, attraverso la quale transitano le fibre nervose deputate al controllo dei movimenti del lato destro del corpo e della faccia. Pertanto una lesione di quest’area avrebbe potuto arrecare alla paziente severi deficit motori e dell’articolazione della parola. La possibilità di un monitoraggio diretto delle funzioni nervose superiori ha consentito, diversamente, l’asportazione completa della malformazione senza conseguenze post-operatorie. La riduzione del rischio di deficit neurologici post-operatori è infatti  il principale target di questo tipo di chirurgia; il perseguimento di tale obiettivo diventa imperativo per pazienti giovani, quindi con lunga aspettativa di vita, e con lesioni di natura benigna, la cui asportazione completa equivale alla guarigione, come per l’appunto nel caso della paziente operata presso il Policlinico Universitario di Catania”.
È un’esperienza molto forte per chi subisce l’operazione: a tal riguardo la sala operatoria è provvista di neuro-psicologi e personale infermieristico addestrato al sostegno del paziente?
“La valutazione neuropsicologica è stata effettuata prima dell’intervento chirurgico e  il supporto psicologico intraoperatorio è stato fornito da personale medico specificamente preparato per questo tipo di procedura. In particolare, è fondamentale un rapporto diretto e costante tra il paziente, l’anestesista e, nel nostro caso, un neurochirurgo non direttamente impegnato nell’effettuazione dell’intervento chirurgico ma perfettamente a conoscenza delle condizioni psicologiche della paziente. A questo, poi, si aggiunge il contatto verbale costante tra il chirurgo e il paziente durante l’intervento e la collaborazione del personale infermieristico nel far sentire a proprio agio il paziente e nell’assicurarsi che quest’ultimo rimanga comodo, nonostante la posizione obbligata, sul letto operatorio. In conclusione, come già detto sopra, è un lavoro di equipe”.

È richiesta una certa collaborazione del paziente attraverso attività mirate alla stimolazione cerebrale o è richiesta una semplice partecipazione spontanea?
“No. Non è sufficiente soltanto la partecipazione spontanea del paziente, ma è al contrario indispensabile che lo stesso esegua una batteria di test già a lui noti perché ripetutamente effettuati anche prima dell’intervento chirurgico, come riconoscere e denominare oggetti visualizzati su un computer portatile, riconoscere i colori mostrati al computer, contare, fare semplici operazioni matematiche, muovere gli arti sia spontaneamente che su richiesta del chirurgo.  Il paziente, quindi, esegue tali test da cosciente mentre il chirurgo stimola elettricamente il suo cervello per verificare se le aree che si accinge a operare sono eloquenti, e quindi da “risparmiare”, o possono essere tranquillamente attraversate chirurgicamente e/o asportate”.
Quanto è importante l’ausilio di presìdi tecnologici d’avanguardia in interventi chirurgici di questo tipo?
“Per ottenere un approccio diretto, sicuro e poco invasivo alla lesione incastrata tra le fibre nervose dell’area motoria del cervello, è stata impiegata una nuova apparecchiatura. Tale strumentazione, attualmente in uso in soli 10 centri di neurochirurgia in Italia, consente, in aggiunta al neuronavigatore, la localizzazione intra-operatoria dei fasci di fibre nervose del cervello che trasmettono i comandi per l’espletamento delle funzioni più importanti e lo studio dei rapporti tra le stesse fibre nervose “eloquenti” e il tumore o la malformazione vascolare. Infine, come di consueto dal 2009 presso la Clinica Neurochirurgica del Policlinico, anche in questo caso è stato utilizzato il monitoraggio neurofisiologico intraoperatorio mediante la stimolazione elettrica della corteccia cerebrale e delle fibre nervose della sostanza bianca sottocorticale. L’applicazione integrata di questi presidi tecnologici d’avanguardia, abbinata all’esperienza nel lavoro di equipe dei medici coinvolti, ha consentito il buon esito della procedura, che è stata portata a termine in due ore”.

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