Bisogna diffondere in tutto il Paese la cultura del rifiuto e dell’ambiente - QdS

Bisogna diffondere in tutto il Paese la cultura del rifiuto e dell’ambiente

Valerio Barghini

Bisogna diffondere in tutto il Paese la cultura del rifiuto e dell’ambiente

mercoledì 17 Giugno 2015

Per Vincenzo Pepe, presidente FareAmbiente, sono maturi i tempi dell’”ambientalismo ragionato”. “Il sostantivo termovalorizzatore non deve spaventare, la discarica è peggio”

ROMA – Il refrain della sua filosofia è “Oggi non c’è spazio per un ambientalismo rétro, datato e, soprattutto, fondamentalista”. Viceversa è più che mai necessario un “ambientalismo ragionato”. Le parole sono di Vincenzo Pepe, presidente di FareAmbiente, movimento ecologista europeo nato nel 2007 per iniziativa di alcuni docenti, tra cui appunto il professor Pepe (ordinario di Diritto Costituzionale Comparato e di Diritto dell’Ambiente presso la Seconda Università degli Studi di Napoli), stanchi di un “ambientalismo anacronistico che faceva di tutto tranne che favorire uno sviluppo sostenibile”.
E pensare che l’ambientalismo italiano non è nato fondamentalista, tutt’altro. “Le origini – prosegue il professor Pepe – risalgono agli anni Sessanta, con Elena Croce (figlia del noto Benedetto, ndr): al centro del problema vi era il paesaggio e l’estetica. La svolta la si registra negli anni Settanta e Ottanta quando il tema diventa appannaggio dell’arcipelago di femministe arrabbiate e di una sinistra un po’ estremista: nasce, così, l’ambientalismo del “no” a priori, che ha sfavorito lo sviluppo sostenibile”.
Proviamo a tradurre il Vincenzo Pepe-pensiero. Prendiamo, ad esempio, i rifiuti, “che in Italia sono considerati un problema anziché una risorsa”. Soprattutto energetica. E qui forte è il divario non solo tra l’Italia e molti altri Paesi come la Svizzera (si pensi all’avveniristica struttura di Giubiasco, in Canton Ticino) o l’Olanda (“quando ho visitato l’impianto di Amsterdam, mi sono sentito un po’ provinciale: lì differenziano solo materiali considerati nobili come carta, ferro, vetro, latta o cartone. Tutto il resto finisce nel termovalorizzatore per produrre energia, con il risultato che la bolletta nei Paesi Bassi è praticamente irrisoria”), ma tra Nord e Sud dello Stivale. Le ragioni, a parere del professor Pepe, sono da ricercarsi in un forte carenza culturale: “In Italia manca la cultura del rifiuto e, dunque, dell’ambiente: è assurdo che l’immondizia di Napoli debba finire, perché richiesta, ad Amsterdam. A questo aggiungiamo il problema dell’illegalità: molti di coloro i quali non vogliono gli impianti lo fanno perché hanno interessi privati nella gestione disordinata della spazzatura”.
 
Dunque il sostantivo “termovalorizzatore” non deve spaventare? “Certo che no. È molto più facile trasmettere il messaggio secondo cui la presenza dell’impianto sul tuo territorio ti porta alla morte. È chiaro che il cittadino comune, non culturalmente preparato, prende per buona questa notizia. Allora io dico: ok, il termovalorizzatore no? E allora che alternativa proponi? L’inceneritore è sicuramente peggio. Come peggio, dal punto di vista della salute, è la discarica. Gli impianti non devono fare paura, una sensazione quest’ultima che definirei medioevale. Se ho paura di un impianto tecnologicamente avanzato allora, per assurdo, non dovrei andare neanche a curarmi in ospedale. Possiamo stare a discutere su quale sia la migliore tecnologia utilizzabile per un termovalorizzatore, ma esserne contrari a priori, agevola l’illegalità”.
Una domanda viene spesso posta al professor Pepe: va bene, ma gli italiani come gestirebbero questi impianti? “Se ragioniamo così allora non facciamo più niente. Prendiamo un’opera utile quale è l’alta velocità. Sarebbe romantico andare in carrozza da Napoli a Roma, ma oggi non più realistico. Una volta a Palermo un gruppo di studenti no Tav mi contestò. Io risposi loro: ragazzi, se volete vengo pure io ad occupare i binari della stazione centrale, ma per chiedere il raddoppio della Palermo-Messina”. Quando si dice non essere rétro.
 


“Nel dopoguerra non esisteva il problema del rifiuto: era risorsa”
 
ROMA – A leggerla bene, il termine “ambiente” non compare nella Carta costituzionale. La ragione è presto detta: “In una società agricola come quella del dopoguerra non esisteva il problema del rifiuto, che era anzi una risorsa perché con lo stesso creavi il concime per il terreno”, sottolinea il professor Pepe. “Con l’evolversi della società, si pongono altri tipi di problematiche. Di cui, a partire dagli anni Settanta-Ottanta, se ne “appropria” solo una parte politica. Tuttavia non ha senso che siano esistiti i cosiddetti partiti Verdi: il tema ambientale deve riguardare tutti gli schieramenti”. Sviluppo della società uguale tecnologia, “che, anche se sostenibile, non va demonizzata, come ha fatto l’ambientalismo fondamentalista – ribadisce il professor Pepe -. Se oggi l’aspettativa di vita supera i 90 anni è grazie alla tecnologia. Addirittura anche riguardo il nucleare: a parte che non ha senso essere contrari quando dalle centrali al confine acquisto il 20 per cento di energia. Ma pensiamo alle cure ospedaliere, che magari ti salvano la vita. Oggi tante terapie sono a base di radiazioni, che producono rifiuti, che non vanno trattati ma che avrebbero bisogno di un sito di stoccaggio inesistente in Italia. Ha senso tutto questo?”.

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