Laurearsi in fretta meglio del 110 e lode - QdS

Laurearsi in fretta meglio del 110 e lode

Carlo Alberto Tregua

Laurearsi in fretta meglio del 110 e lode

mercoledì 30 Marzo 2016

La grave crisi del “pezzo di carta”

L’università, dopo la scuola, costituisce l’unica forma di ascensore sociale di tanti giovani che provengono da famiglie meno abbienti. Ma l’ascensore funziona solo se i saperi che si apprendono in quei luoghi sono in sintonia con il lavoro. Diversamente, quando tanti laureati rimangono disoccupati o non riescono ad emergere perché le loro conoscenze non sono strumento utile, allora il moto ascensionale non c’è.
Purtroppo, nel nostro Paese, vi è uno scollamento fra scuola e università da un canto e mondo del lavoro dall’altro. Ci spieghiamo. La nostra scuola prevede un metodo frontale: l’insegnante spiega, gli alunni ripetono le informazioni che hanno ricevuto, ovviamente implementate dallo studio.
Si tratta di nozionismo e di informazioni che hanno poco a che vedere con il metodo che invece dovrebbe essere adottato perché i giovani si abituino ad avere indipendenza di ragionamento ed usino le proprie capacità per valutare i fatti.  
 
A scuola è preliminare imparare il Cosa, mentre è essenziale imparare il Come. In altri termini, sapere affrontare le difficolta, trovare le soluzioni ai problemi, imparare ad avere forza mentale nel superare gli ostacoli adottando tutti i mezzi possibili (ovviamente leciti), per arrivare agli obiettivi.
All’interno delle classi, difficilmente vengono affrontate questioni al di fuori della materia, e non sempre sulla stessa si aprono le discussioni collettive per stimolare i giovani a usare il proprio cervello per fare osservazioni, puntualizzare aspetti, evidenziare questioni non chiare.
Insomma, i giovani dovrebbero imparare a saper ascoltare, a riflettere, a fare domande e a comunicare il proprio pensiero in modo chiaro e articolato. Dovrebbero essere anche pronti a rispondere a domande inattese con le informazioni che ognuno possiede.
La differenza fra l’insegnamento in Finlandia o nel mondo anglosassone e nel nostro sta proprio nel non insegnare a saper ragionare. Quasi mai si vedono in una classe, quattro alunni da un lato e quattro dall’altro e nel mezzo un insegnante, a dibattere di una qualunque questione.
 
Sarebbe una sorta di gioco che richiama gli oratori greci. Vale a dire  che i quattro giovani della squadra A sostengono una tesi e quelli della squadra B la tesi opposta. Dopo, le parti si invertono e ciascuna squadra argomenta in modo opposto per sostenere la tesi altrui contro la propria. Certo, ci vogliono competenze e agilità mentale.
La laurea è un titolo di studio che purtroppo ha valore legale, mentre dovrebbe essere solo un titolo professionale. Da noi si dà valore al voto, in tutto il mondo si dà valore al tempo nel quale si conclude il ciclo.
I selezionatori di risorse umane (Adecco, Manpower ed altri) guardano prima al tempo in cui un giovane si è laureato e danno meno importanza al voto. Meglio laurearsi a 23 anni con 99/110 che a 28 con 110 e lode, perché in quest’ultimo caso il giovane ha perso cinque anni in cui avrebbe potuto fare esperienze di ogni genere, introducendosi nei meccanismi del lavoro che conta, piuttosto che stare parcheggiato nell’università. 

Vi sono delle regole dei giovani bravi che Roger Abramavel scrive nel suo libro, che tutti dovrebbero leggere, “La ricreazione è finita” e che costituiscono valori. 1. Fare le proprie scelte per convinzione, non per fatalismo. 2. Non cercare mai alibi. 3. Conquistare rapidamente l’indipendenza dalla famiglia. 4. Abbandonare le comodità e cercare le difficoltà. 5. Non avere paura di fallire. 6. Scoprire in fretta le proprie passioni. 7. Scegliere le proprie scuole da veri “clienti” dell’istruzione. 8. Costruirsi una reputazione personale. 9. Diventare cittadini del mondo. Noi inseriamo la decima: seguire le regole etiche e rispettare sempre il prossimo.
Da quanto precede si evince come il pezzo di carta non conti più nulla, mentre, soprattutto al Sud, ancora si guarda ad esso come a un mito. Anche per questo vi è tanta disoccupazione, mentre i tantissimi talenti meridionali hanno successo nel Nord Italia e in tutto il Mondo.
Il mammismo ha creato tanti “schizzinosi”, persone che preferiscono non lavorare anziché fare un lavoro umile. Non capiscono che l’esperienza ha un prezzo ma essa è essenziale per farsi valere e per emergere.

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