Errorigiudiziari.com: “Lo Stato spende ogni anno circa 28 milioni € in risarcimenti, plausibile l’ipotesi che l’errore giudiziario costituisca danno erariale”. Dalla legge Vassalli ad oggi solo una ventina ha pagato di tasca propria per errori commessi
PALERMO – L’ingiusta detenzione in Italia continua a mietere vittime: un migliaio di casi all’anno per la precisione. Con la conseguenza di arrecare un danno irreparabile non solo alla persona ingiustamente accusata, ma anche alle già traballanti casse dello Stato. Quest’ultimo sborsa, infatti, annualmente, circa 28 milioni per risarcire coloro ai quali viene riconosciuto di avere scontato una pena detentiva senza aver commesso alcun reato.
Soltanto nelle tre città siciliane più popolose – Palermo, Catania e Messina – i casi di ingiusta detenzione indennizzati nel 2017 sono stati ben 139. E hanno pesato su papà Stato per oltre 5 milioni di euro.
E mentre tanti, troppi, innocenti vengono sbattuti in carcere o confinati agli arresti domiciliari anche solo in via cautelare, la presunzione di innocenza, riconosciuta dall’art. 11 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo – che recita “Ogni individuo accusato di un reato è presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un pubblico processo nel quale egli abbia avuto tutte le garanzie necessarie per la sua difesa” – e garantita dall’art. 27 della nostra Costituzione – dove si afferma che “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva” –, viene troppo spesso dimenticata. Specie nei salotti televisivi, dove ad essere prediletta è quasi sempre la tesi colpevolista. Con il reale rischio che, accanendosi nel ricercare a tutti i costi un colpevole e non il colpevole, si finisce spesso per condannare un innocente.
Sull’intricata questione è intervenuto anche il ministro dell’Interno, Matteo Salvini il quale, seppure a margine di un commento rilasciato in merito al disegno di legge sull’anticorruzione – che ha ricevuto il benestare del Consiglio dei ministri lo scorso 6 settembre – ha sottolineato che “bisogna stare attenti a garantire il fatto che fino a prova contraria, al terzo grado di giudizio, gli italiani sono innocenti: processi sommari non possono essere svolti in un paese civile, ma chi corrompe o chi è corrotto nella pubblica amministrazione deve pagare anche di più perché lo fa a nome degli italiani”.
Parole sagge in un’epoca in cui l’ingiusta detenzione, gli errori giudiziari, la durata irragionevole dei processi, l’uso distorto delle intercettazioni, la fuga di notizie coperte dal segreto istruttorio sono tutte facce della stessa medaglia: la malagiustizia.
Ma che da sole non bastano: alla luce dei numeri ancora spaventosamente alti, è necessario che alle belle parole seguano i fatti. Perché ogni cittadino ha diritto ad una giustizia giusta. In tribunale, non in televisione.
Valentino Maimone e Benedetto Lattanzi, fondatori di “Errorigiudiziari.com”, il primo archivio on line sulla malagiustizia in Italia
Hanno fondato il primo archivio online di casi di errori giudiziari e ingiusta detenzione, unico in Italia e in Europa: Errorigiudiziari.com.
Valentino Maimone e Benedetto Lattanzi sono due giornalisti che da più di vent’anni sono attenti osservatori di un problema che ancora oggi ha tante ombre.
Il QdS li ha intervistati per fare un po’ di chiarezza.
Partiamo subito dalle cifre. Quanto costa allo Stato l’ingiusta detenzione?
“I dati più aggiornati in nostro possesso parlano di oltre 760 milioni di euro dal 1992 ad oggi, per una spesa annua di circa 28 milioni. I casi di persone indennizzate sfiorano quota 27 mila, in media mille all’anno. L’anno scorso nelle prime dieci città per numero di casi di errori giudiziari ci sono Catania quinta, Palermo sesta e Messina nona. Che in questo stesso ordine sono anche nella top ten dei risarcimenti, con la differenza che Messina è ottava. È un capitolo di spesa enorme che potrebbe configurare una sorta di danno erariale: la Corte dei Conti potrebbe ipotizzare che l’errore di un magistrato o comunque un’ingiusta detenzione comporti un danno anche alle casse dello Stato”.
Solo alle casse dello Stato perché i magistrati non rispondono direttamente.
“Per legge i magistrati non sono direttamente responsabili del proprio operato. Nei loro confronti vale una forma molto indiretta di responsabilità, applicata peraltro molto raramente: dall’introduzione della legge Vassalli ad oggi, i magistrati che sono stati riconosciuti colpevoli alla fine di un tortuoso meccanismo di determinazione del dolo o della colpa grave, pagando di tasca propria, sono meno di una ventina. La realtà è che sono blindati da una normativa che li tutela tantissimo. Senza contare che spesso fanno carriera nonostante sbagli evidenti, come dimostrano i magistrati protagonisti dalla vicenda di Enzo Tortora.
Tornando ai numeri pochi sanno che quando si viene assolti, per ottenere il risarcimento bisogna presentare un’apposita richiesta. Che può essere accolta o meno, a seconda della valutazione della Corte di Appello a cui viene rivolta, sulla base di determinati criteri che nel corso degli ultimi anni stanno diventando sempre più restrittivi e severi, anche perché non ci sono più fondi per pagare i risarcimenti. Questo ha comportato che oggi viene accolto solo il 50% circa del totale delle richieste presentate. Di fatto sono quindi oltre 50 mila le vittime di ingiusta detenzione”.
Secondo la vostra esperienza quali sono le principali cause di ingiusta detenzione?
“Le cause principali sono almeno tre. Innanzitutto c’è il problema delle intercettazioni telefoniche o ambientali: vengono fraintese, trascritte in modo superficiale o frettoloso, interpretate in modo forzato e talvolta paradossale. Ci sono casi di persone finite in carcere anche per anni solo perché è stata trascritta una T al posto di una S (come il pugliese Angelo Massaro, 21 anni dietro le sbarre da innocente); altre perché gli investigatori non hanno capito una frase in dialetto. Le intercettazioni così come sono usate sono oggi tra le cause principe, insieme al riconoscimento sbagliato da parte dei testimoni oculari. Le indagini si affidano molto – viene considerata una delle prove più attendibili – alle testimonianze oculari. Diversi studi scientifici condotti soprattutto negli USA da esperti di varie discipline hanno dimostrato come la visione di un fatto traumatico alteri clamorosamente la capacità di ricordare quelle stesse immagini da parte del testimone. Ci sono stati casi di persone che hanno immaginato di vedere un volto invece di un altro. Nessuno sostiene che andrebbero aboliti i testimoni oculari, ma da soli non bastano: andrebbero sempre incrociate con altri elementi di prova. Terza causa è l’uso eccessivo, squilibrato e spesso distorto della custodia cautelare. I requisiti di base che ne comporterebbero l’applicazione sono il pericolo di fuga, di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato. Il problema è che spesso questi requisiti vengono un po’ tirati per i capelli”.
Come correggere le storture del sistema Giustizia?
“La prima cosa da fare è agire sulla custodia cautelare. Di recente è stata modificata la normativa che la regola, rendendone più rigidi i criteri di applicazione. Se dovessimo stare ai dati del 2017, cambiamenti non se ne sono visti: i casi sono addirittura aumentati rispetto all’anno precedente. Aspettiamo i dati del 2018 per valutarne l’efficacia. Altra cosa su cui si dovrebbe intervenire è controllare più rigorosamente i tempi dei processi perché quando un processo è eccessivamente lungo sarà molto più complicato che i testimoni ricordino quello che avevano visto; le prove si deteriorano inevitabilmente, cambiano i magistrati con la conseguenza che si deve ricominciare tutto daccapo. Un ulteriore aspetto è rendere automatico l’avvio di un procedimento da parte della sezione disciplinare del CSM nei confronti del magistrato ogni volta che si verifica un risarcimento per ingiusta detenzione. Stiamo collaborando alla stesura di una proposta di legge su quest’ultimo aspetto”.