Politica e burocrazia falcidiano l'agricoltura - QdS

Politica e burocrazia falcidiano l’agricoltura

Chiara Borzi

Politica e burocrazia falcidiano l’agricoltura

venerdì 16 Novembre 2018

Istat: tasso di crescita del primo settore -4,59% nel 2016. Lentezza nella spesa dei fondi Ue, ritardi nei pagamenti dei contributi e frammentazione delle aziende stanno asfissiando gli imprenditori agricoli. Ora anche la minaccia del climate change per il quale nessuno, sino ad oggi, ha fatto niente

CATANIA – Agricoltori in ginocchio e produzioni a rischio. Parallelamente persistono le difficoltà strutturali che caratterizzano il primo settore siciliano, depotenziato – come i restanti – dall’elefantiaca burocrazia degli uffici regionali, dal ritardo nell’erogazione dei fondi Ue, da un’attività imprenditoriale agricola ancora troppo frammentata e quindi parzialmente sviluppata. L’elemento che da quest’autunno è andato ad aggiungersi al già martoriato quadro dell’agricoltura siciliana è il cambiamento climatico. L’innalzamento delle temperature che in Sicilia ha fatto perfino morti, ha portato la distruzione dei raccolti di arance, olive e ortaggi di ogni tipo, insieme al cedimento dei magazzini presenti all’interno delle aziende agricole dove vengono selezionate e confezionate le le merci da destinare al mercato.
 
In Sicilia l’agricoltura nel 2016 ha creato 2,67 miliardi di valore aggiunto (a prezzi correnti), in Lombardia 3,27 miliardi, in Emilia-Romagna 3,3 miliardi. Meglio della Sicilia anche il Veneto che ha creato 2,75 miliardi di valore aggiunto. Dunque paradossalmente il primo settore rappresenta una vera opportunità più per le regioni del Nord (valore aggiunto 13,5 miliardi), che per il Sud (7,1 miliardi).
 
La volatilità che già caratterizza il tasso di crescita dell’agricoltura (variazione rispetto all’anno precedente del valore aggiunto ai prezzi di base della branca agricoltura e caccia, percentuale su valori concatenati, anno base 2010, Istat), in Sicilia ha mostrato la propria tendenza facendo registrare un aumento della percentuale del 6,25% nel 2015 e un crollo fino al -4,59% nel 2016. Nonostante l’incertezza quasi sintomatica, invece, in Lombardia i dati Istat sono rimasti positivi – seppure contenuti – grazie al +0,27% di crescita del tasso rilevato nel 2015 e il +2,37 nel 2016.
 
Negli ultimi due anni considerati, in Emilia-Romagna si è passati dalla decrescita del -0,84% del 2015 alla crescita del +5,93%. Nessuna regione del Sud Italia o le isole ha fatto registrare un aumento del tasso di crescita in agricoltura nel passaggio dal 2015 al 2016, mentre ancora una volta a Nord il segno “più” è parte dell’economia di Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Veneto, Friuli ed Emilia-Romagna.
 
Come è noto in Sicilia si utilizza il più alto numero di superficie agricola, ma la dimensione delle aziende è la quint’ultima più piccola d’Italia. La Sicilia stessa predomina a livello nazionale con il 23,3% della Sau (superficie agricola utilizzata)convertita (o in corso di conversione) al biologico ed è leader nelle produzioni biologiche, ma considerati i ritardi sui pagamenti della Pac molti contadini siciliani si sono detti scoraggiati immaginando d’investire ancora su quest’ambito.
 
Rimane preoccupante anche il quadro che riguarda la spesa dei fondi europei del Psr 2018-2010. Al 31 ottobre 2018, secondo i dati diffusi dall’assessorato regionale all’Agricoltura, l’ente sta dimostrando “un’adeguata capacità di spesa” e la Sicilia infatti si sarebbe attestata tra le prime regioni d’Italia per livello di spesa raggiunto. Le risorse erogate alle aziende richiedenti è stata pari a 547.576.116,22 euro su 1.882.317.000 messo a bando alla stessa data.
 
La dotazione siciliana è pari a 2.184.160.000 euro. Secondo le stime comunicate ancora, in riferimento all’obiettivo di spesa denominato “N+3” per l’anno 2018 esso risulta superato di ben 170 milioni di euro.
 
Nei mesi scorsi confederazioni e sindacati si sono mobilitati proponendo una soluzione per risollevare l’economia del primo settore a livello nazionale. In Sicilia, Confagricoltura ha ancora una volta analizzato in maniera lucida le cause che portano a “strozzare” il settore.
 
“Sulla non spesa dei fondi Ue – ha dichiarato il presidente etneo Giovanni Selvaggi – la causa principale è la burocrazie elefantiaca e inefficiente con cui si devono scontrare gli imprenditori agricoli. La frammentazione delle aziende agricole siciliane nasce, poi, da un nostro limite culturale. È su quel livello che bisogna lavorare e lo stiamo già facendo, diffondendo corrette informazioni sulle forme di aggregazione cooperative e consortili. Il messaggio che una filiera unita e compatta porta vantaggio a tutti è un concetto su cui bisogna continuare ad insistere”.
 
Il biologico rimane un capitolo fondamentale. “Viviamo il paradosso di avere nella nostra terra il 18% di tutta la produzione bio nazionale e poi non si riesce a far arrivare agli agricoltori i contributi della Pac – ha evidenziato Selvaggi -.Faccio un esempio pratico. La misura 11 del PSR ‘Agricoltura biologica’ prevede un aiuto per chi adotta metodi di coltivazione bio e nel 2015 ha visto la partecipazione di oltre 3.500 aziende agricole siciliane.
 
L’efficacia di tale misura è però vanificata dal fatto che chi si è introdotto per la prima volta nel sistema di certificazione si trova a dover fronteggiare i costi richiesti per ottenere la stessa, senza poter godere del vantaggio competitivo della vendita del prodotto certificato. Tutto ciò è aggravato ulteriormente dai continui ritardi nel pagamento dei contributi da parte dell’Ente erogatore, AGEA, a causa di un sistema informatico inefficiente. Le responsabilità della politica sono evidenti”.
 

 
Maria De Salvo, professoressa di Economia ed estimo rurale della facoltà di Agraria, UniCt
Perdite del valore del capitale fondiario tra il 2 e l’11% in seguito al climate change
 
CATANIA – Il cambiamento climatico è ormai una realtà anche in Sicilia. Il fenomeno si è manifestato dirompente, portando morti, e sui campi la distruzione di milioni di guadagni in poche ore.
 
“La Politica Agricola Comune – ha spiegato la professoressa di Economia ed estimo rurale della Facoltà di Agraria UniCt, Maria De Salvo – ha adottato nel tempo numerosi strumenti volti a ridurre l’esposizione e la vulnerabilità del sistema produttivo agricolo agli effetti dei cambiamenti climatici, proponendo misure di eco-condizionalità, misure agro-ambientali e forestali, sistemi di gestione del rischio, sistemi di supporto alle scelte degli agricoltori in campo meteorologico e fitosanitario.
 
Il Psr Sicilia 2014-2020 prevede tra le sue 14 misure sia azioni volte a ripristinare il potenziale produttivo agricolo danneggiato da calamità naturali e da eventi catastrofici che misure finalizzate ad aumentare la resilienza dell’agricoltura siciliana nel lungo periodo. In passato, per fronteggiare i danni subiti a causa del verificarsi di eventi estremi, come gli eventi siccitosi, si è spesso fatto ricorso agli interventi contributivi e creditizi ex post del Fondo di Solidarietà Nazionale a sostegno delle imprese agricole danneggiate da calamità naturali e da eventi climatici avversi (D. Lgs. 102/04)”.
 
Senza politiche di contenimento delle temperature, dunque di sostenibilità ambientale, il rischio che corre anche la Sicilia è quello di vedere ridotta la produzione agricola. Perfino su percentuali in doppia cifra. “Nello scenario europeo, il nostro Paese appare particolarmente vulnerabile – ha spiegato ancora De Salvo – Secondo stime recenti, un incremento marginale delle temperature medie annue potrebbe causare perdite pari fino al 5% del valore dei terreni agricoli. Gli impatti risultano tuttavia molto variabili tra una regione e l’altra. Alcuni studiosi hanno stimato perdite nel valore del capitale fondiario che oscillano tra il 2% e l’11%, con effetti maggiori nelle regioni del Sud d’Italia.
 
L’entità degli impatti dipenderà, comunque, dalla tipologia di azienda agricola. Le aziende che operano in regime irriguo mostrano una maggiore sensibilità ai cambiamenti climatici delle aziende in asciutta, soprattutto rispetto agli aumenti della temperatura media stagionale ed alle riduzioni delle precipitazioni nel periodo primaverile-estivo. Gli scenari sono tuttavia estremamente incerti – ha evidenziato Di Salvo – sia perché le simulazioni sono ottenute su modelli previsionali che mirano a delineare il clima futuro, sia perché l’entità degli impatti dipenderà fortemente da come i cambiamenti climatici saranno percepiti e soprattutto fronteggiati dagli agricoltori.
 
Un’efficace strategia di lotta ai cambiamenti climatici non può quindi prescindere dall’individuazione di azioni volte a sviluppare la capacità di adattamento degli agricoltori, attraverso la sensibilizzazione e la fornitura di un supporto attivo sulle modalità di gestione aziendale. Anche le polizze assicurative potrebbero svolgere un ruolo chiave nella gestione del rischio di eventi meteorologici estremi. Sono però poco diffuse tra i nostri agricoltori per il costo elevato e perché non sempre contemplano i rischi da loro temuti”.
 

 
La disamina di Alfio Mannino, segretario Cgil Flai Sicilia
Agroalimentare di qualità minacciato dal lavoro nero
 
CATANIA – Da Taormina a Palermo, gli appuntamenti che in Sicilia hanno avuto come tematica l’agroindustria si sono moltiplicati in poco tempo. Il settore è cruciale per la vita economica regionale, ma vive anch’esso di picchi d’eccellenza e strozzature che non ne permetto la valorizzazione massima. Da Palermo, il segretario Cgil Flai Sicilia Alfio Mannino ha affrontato le problematiche del comparto a 360° gradi dal palco del VII congresso regionale della categoria dei lavoratori dell’agroindustria della Cgil.
 
“È fondamentale valorizzare l’agroindustria come una delle principali vocazioni produttive della Sicilia – ha dichiarato il segretario generale siciliano –. Benché l’agricoltura siciliana sia al secondo posto dopo la Lombardia per valore aggiunto ai prezzi base, l’industria siciliana per produzione, commercializzazione e trasformazione è al sesto posto. è punto cruciale una svolta nell’utilizzo dei fondi comunitari destinati alla politica rurale, indirizzando le risorse su misure volte a favorire la concentrazione dell’offerta produttiva e sostenendo quei progetti di filiera che vanno dalla produzione alla commercializzazione dei prodotti, passando per la trasformazione”.
 
Mannino ha snocciolato alcuni numeri importanti dell’agroindustria siciliana: “Parliamo di 28 produzioni a denominazione d’origine, 17 della quali a denominazione d’origine protetta (dop) e le 11 a Indicazione geografica protetta (Igp) che costituiscono un importante punto di forza della competitività regionale. Per produzione biologica – ha ricordato – la Sicilia è al primo posto nel Paese e questi elementi fanno del sistema agroalimentare siciliano quello di qualità potenzialmente più importante del nostro Paese. Per il suo decollo occorre però superare le criticità e tra queste l’alta incidenza di lavoro nero, di sommerso, di precariato e sfruttamento, temi su cui la Flai è impegnata con le iniziative del sindacato di strada, fatto di incontri con i lavoratori nei campi e nei luoghi di raduno, campagne di informazione e denunce”.

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