La terra si muove, i Comuni restano inerti. Uno su due senza Piano di protezione civile - QdS

La terra si muove, i Comuni restano inerti. Uno su due senza Piano di protezione civile

Rosario Battiato

La terra si muove, i Comuni restano inerti. Uno su due senza Piano di protezione civile

venerdì 28 Dicembre 2018

L’ennesima denuncia dei geologi: ritardi anche sul fronte degli studi di microzonazione sismica. E intanto si fanno più insistenti le richieste per inserire Catania nella prima fascia di rischio

PALERMO – Dalle parti siciliane il tempo dell’emergenza, peraltro non ancora cessato dopo il terremoto di Santo Stefano, non è anticipato dal tempo del ragionamento e della prevenzione. Lo dicono i numeri di una terra esposta al rischio sismico – la mappa di classificazione sismica del dipartimento della Protezione civile registra il 90% dei comuni isolani nelle prime due fasce di rischio sismico, quelle più elevate – e il ritardo negli strumenti di controllo e organizzazione del territorio in caso di calamità. Gli eventi sismici sono ovviamente imprevedibili ma una buona prevenzione può facilitare l’azione della protezione civile e la messa in sicurezza può arginare i danni.
 
A rilanciare il tema è stato Francesco Peduto, presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi, che ha parlato in riferimento al sisma che nei giorni scorsi ha colpito diversi paesi dell’area etnea: “l’Italia si conferma ancora una volta un territorio particolarmente vulnerabile a tutti i georischi, in questo caso con un combinato del rischio sismico e vulcanico, evidenziando ancora una volta che non bisogna abbassare la guardia e perseguire una necessaria prevenzione anche attraverso pianificazioni a lungo termine”.
 
A sottolineare ulteriormente l’assenza di un vero sistema prevenzione è stato Fabio Tortorici, presidente siciliano della Fondazione Centro Studi del Consiglio nazionale dei geologi, che ha dichiarato, in riferimento alla scossa, di non essere stupito da “un punto di vista geologico e sismologico” bensì dall’assenza in tanti comuni dei piano di emergenza comunale e dal ritardo con cui si è partiti con “gli studi di microzonazione sismica che permette di stabilire come una struttura già realizzata o da progettare possa rispondere a un terremoto”.
 
Un ritardo, quello denunciato dai geologici, che è lungo sei anni. Stando all’aggiornamento del 28 marzo scorso del Dipartimento della protezione civile, soltanto il 49% dei comuni isolani, cioè 190 comuni su 390, si è dotato del piano di emergenza comunale, nonostante sia previsto dalla legge n.100 del 2012. Si tratta di uno strumento fondamentale per la sicurezza dei cittadini, in quanto costituisce, si legge sul sito del Dipartimento nazionale, l’insieme delle “procedure operative di intervento per fronteggiare una qualsiasi calamità attesa in un determinato territorio”.
 
Crolla parte della facciata della Chiesa di Fleri, frazione del comune di Zafferana etnea
 
Questo strumento recepisce il “programma di previsione e prevenzione ed è lo strumento che consente alle autorità di predisporre e coordinare gli interventi di soccorso a tutela della popolazione e dei beni in un’area a rischio” e “ha l’obiettivo di garantire con ogni mezzo il mantenimento del livello di vita ‘civile’ messo in crisi da una situazione che comporta gravi disagi fisici e psicologici”.
 
Ritardi preoccupanti se consideriamo che complessivamente sono 356 i comuni coinvolti nelle prime due fasce di rischio sismico, 27 si trovano nella prima, la zona dove “possono verificarsi fortissimi terremoti”, altri 329 sono nella seconda, dove possono “verificarsi forti terremoti”.
 
L’area etnea è quasi del tutto inserita in questo secondo gruppo, classificazione che in passato è stata oggetto di una richiesta di aggiornamento da parte dell’Ance Catania, anche in riferimento ad alcune agevolazioni speciali concesse soltanto le abitazioni rientranti nella prima fascia, e che nei giorni scorsi ha visto un ulteriore attacco da parte di Giovanni Musumeci, segretario generale territoriale della Ugl etnea: “Ci sono centinaia di migliaia di persone che vivono in un’area, come quella nostra, ad alta densità urbanistica, stretti tra diverse faglie e la presenza del vulcano attivo più alto d’Europa. Basterebbe solo questo per dichiarare lo stato massimo di pericolo ed, invece, inspiegabilmente fino ad oggi non è stato così”.
 
 
Come comportarsi in caso di terremoto
 
Ecco le norme di comportamento basilari diffuse dalla Protezione civile:
– Sei in un luogo chiuso, mettiti sotto una trave, nel vano di una porta o vicino a una parete portante;
– Stai attento alle cose che cadendo potrebbero colpirti (intonaco, controsoffitti, vetri, mobili, oggetti ecc.);
– Fai attenzione all’uso delle scale: spesso sono poco resistenti e possono danneggiarsi;
– Meglio evitare l’ascensore: si può bloccare;
– Fai attenzione alle altre possibili conseguenze del terremoto: crollo di ponti, frane, perdite di gas ecc;
– Se sei all’aperto, allontanati da edifici, alberi, lampioni, linee elettriche: potresti essere colpito da vasi, tegole e altri materiali che cadono.
 
Dopo un terremoto, bisogna assicurarsi dello “stato di salute delle persone attorno a te e, se necessario, presta i primi soccorsi”, poi bisogna uscire “con prudenza, indossando le scarpe: in strada potresti ferirti con vetri rotti” mentre se si è in una “zona a rischio maremoto, allontanati dalla spiaggia e raggiungi un posto elevato”. Importante raggiungere le “aree di attesa previste dal Piano di protezione civile del tuo Comune” e “limita, per quanto possibile, l’uso del telefono e dell’auto per evitare di intralciare il passaggio dei mezzi di soccorso.

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