Etichette alimentari, trasparenza negata - QdS

Etichette alimentari, trasparenza negata

Elio Sofia

Etichette alimentari, trasparenza negata

mercoledì 23 Gennaio 2019

18a sezione civile Tribunale Roma sull’obbligo di indicare in etichetta lo stabilimento di provenienza. Secondo la sentenza il dlgs 145/2017 è in contrasto con la normativa europea

ROMA – Una recente sentenza ha dichiarato “inapplicabile per contrasto con la normativa europea” la legge che ha reintrodotto in Italia l’obbligo per le aziende alimentari di indicare lo stabilimento di produzione. Nessuna sanzione quindi per tutte quelle aziende che non riportano in etichetta il luogo di produzione degli alimenti in quanto il testo di legge approvato dal passato governo Gentiloni è illegittimo; i dubbi di conformità al dettato europeo della legge italiana erano già sorti in ambiente giuridico ma adesso è arrivata la conferma da parte di un tribunale investito della questione.
 
Il giudice della diciottesima sezione civile del tribunale di Roma ha infatti respinto il ricorso presentato dall’ex viceministro Andrea Olivero nei confronti dell’avvocato Dario Dongo, esperto di diritto alimentare e direttore del sito di informazione alimentare Great Italian Food Trade. Dongo era stato querelato per diffamazione a seguito di un articolo apparso su internet nel quale spiegava i motivi per cui la legge per come è stata varata sia inapplicabile. Oggetto del contendere è stato il decreto legislativo 145 del 2017, pubblicato in Gazzetta Ufficiale nell’ottobre del 2017; una legge voluta da tutti e accolta con favore dall’opinione pubblica oltre che da tutte le associazioni dei consumatori che per lungo tempo ne avevano chiesto l’approvazione.
 
Il contrasto con la disciplina europea nasce a seguito del regolamento 1169/2011 che ha rivoluzionato la norma sull’etichettatura degli alimenti in circolazione in Europa introducendo però al contempo diverse tutele per i consumatori. Stando al diritto europeo tale regolamento una volta approvato ha fatto venir meno tutte le norme nazionali di settore come quella Italiana che obbligava all’indicazione di stabilimento da riportate in etichetta; obbligo che non è stato previsto dal nuovo regolamento europeo.
 
L’Europa infatti tanto sensibile ai temi della sicurezza alimentare ha però “dimenticato” l’importanza della trasparenza e della sicurezza alimentare tanto cara ai produttori italiani, sempre vigili in fatto di qualità e di difesa del proprio prodotto anche contro le troppe frodi del cosiddetto falso Made in Italy. L’indicazione dello stabilimento di produzione offre una guida e una garanzia al consumatore in fase di scelta di acquisto oltre che una tutela in caso di allerta alimentare in quanto le autorità competenti possono con maggiore celerità risalire al luogo di produzione del prodotto incriminato. Per queste ragioni molte aziende avevano comunque deciso di mantenere in etichetta il luogo di produzione prima ancora che il Governo Gentiloni licenziasse il decreto legge che reintroduceva l’obbligo di indicazione su tutte le merci alimentari vendute in Italia.
 
Il contrasto con la normativa europea nasce dalla mancata notifica da parte del Governo italiano alla Commissione, della legge varata per potenziale conflitto con la normativa europea, essendo quella della disciplina alimentare di sua competenza. L’Italia ha agito come se volesse mantenere una legge – quella sullo stabilimento di produzione del 1992 – già esistente; ma l’entrata in vigore della normativa Ue l’aveva già fatta decadere nel 2013 e quindi il relativo risultato è “la inapplicabilità della normativa interna e la non opponibilità ai privati” dando la possibilità alle aziende alimentari di sostenere con il favore della ragione, il vizio procedurale della legge italiana costringendo i giudici nazionali a disapplicarla.
 
Il maggior numero di produttori alimentari italiani è favorevole al mantenimento dell’indicazione di produzione in etichetta; resta quindi al nuovo Governo italiano cercare di fare la maggior pressione possibile presso le competenti sedi europee affinché tale obbligo sia inserito nella regolamentazione europea e abbia quindi piena validità e applicabilità su tutti i paesi dell’Unione.

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