Sicilia, è urgente la trasfusione di denaro - QdS

Sicilia, è urgente la trasfusione di denaro

Patrizia Penna

Sicilia, è urgente la trasfusione di denaro

venerdì 08 Febbraio 2019

Barometro Crif: cresce richiesta di credito da famiglie e imprese ma non basta. Spendere i fondi Ue e aprire i cantieri: questo deve essere l’imperativo categorico. L’Isola fuori dal tunnel della crisi solo con l’immissione di liquidità nel circuito finanziario

PALERMO – Investimenti. Una parola che da sola racchiude il concetto stesso di sviluppo, di facile enunciazione ma non di semplice attuazione.
 
Se n’è sentito parlare sempre meno ultimamente, ahinoi, in un dibattito politico, come quello attuale, sempre più orientato verso il reddito di cittadinanza e altre forme di sterile assistenzialismo che rispondono ad una filosofia diametralmente opposta a quella della produttività.
 
Nemici giurati degli investimenti sono l’evasione fiscale e la burocrazia che fungono da freno a mano dell’economia. “L’evasione – scrive Carlo Cottarelli nel suo libro I sette peccati capitali dell’economia italiana – distorce la concorrenza e premia al di là dei propri meriti chi evade (…) L’evasione, quindi, è una forma di concorrenza sleale che danneggia l’efficienza economica e la crescita, la capacità di innovare e anche la capacità di esportare”.
 
L’evasione fiscale, dunque, sottrae risorse che potrebbero essere reinvestite nell’interesse della collettività.
Anche la burocrazia, con le sue lungaggini procedurali, con i suoi adempimenti onerosi, costituisce un ostacolo alla crescita economica e rappresenta per molte imprese un grave ma validissimo motivo di rinuncia agli investimenti privati sul nostro territorio. La paralisi degli investimenti vale anche per le famiglie siciliane: i dati Bankitalia hanno certificato che nel secondo trimestre del 2018 i depositi sono cresciuti del 9,6%, i prestiti sono saliti solo dello 0,6%. Ciò significa che chi può risparmia, mette soldi da parte, perché senza certezze l’imperativo resta la massima prudenza.
 
Eppure, c’è un disperato bisogno di investire al Sud e soprattutto in Sicilia, dove servirebbe una terapia d’urto a base di iniezione di liquidità nel circuito finanziario. La strada intrapresa negli ultimi decenni, invece, è stata quella della riduzione progressiva degli investimenti: scelta deleteria e frutto dell’incapacità della nostra classe politica di aggiustare i conti pubblici tagliando piuttosto la spesa corrente. I mancati tagli alla spesa “cattiva” hanno paralizzato la nostra Isola, impedendo di fatto anche minimi margini di manovra sul fronte dello sviluppo e condannandola ad una navigazione a vista.
 
Lo sviluppo non passa dalla stabilizzazione dei precari (chi pensa ai disoccupati senza santi in Paradiso?), né dall’assunzione di nuovo personale nella pubblica amministrazione regionale, già malata (incurabile) di elefantiasi.
 
Anche l’assistenzialismo e le politiche clientelari sono la negazione stessa dello sviluppo, che passa piuttosto dagli investimenti nelle infrastrutture, nella digitalizzazione, nel tessuto imprenditoriale, nella qualità dei servizi resi ai cittadini. E le risorse? Ci sono, eccome. Sono rappresentate principalmente dai fondi europei, un’occasione d’oro da cui ancora la Sicilia non trae benefici come dovrebbe, nonostante gli sforzi compiuti dal governo regionale.
 
Accanto all’enorme ricchezza messa a disposizione dall’Ue, l’altro fronte su cui bisognerebbe intervenire è quello dell’apertura dei cantieri, tra l’altro più volte sollecitata dal mondo imprenditoriale siciliano ed italiano in generale. Proprio qualche giorno fa Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, non ha mancato di sottolineare che la ripresa del Pil passa proprio dalla riapertura dei cantieri: “Per far ripartire la crescita del Pil – ha detto – occorre aprire immediatamente i cantieri e dare nuovo impulso al settore costruzioni”. Secondo Boccia “c’è uno studio dell’Associazione nazionale costruttori che prevede 26 miliardi di risorse già stanziate per attivare cantieri che determinerebbero 400mila posti di lavoro”.
 
Tornando a casa nostra, la Finanziaria regionale 2019 non nasce sotto i migliori auspici sul fronte degli investimenti. Già ribattezzata “la manovra lacrime e sangue”, infatti, risente pesantemente dei tagli necessari per coprire il disavanzo monstre del 2017 di 2,1 miliardi. Qualche giorno fa, poi, la notizia dello stralcio della riforma degli appalti ha scatenato l’ira dell’Ance Sicilia: “Se a livello nazionale – scrive l’Associazione nazionale costruttori edili siciliani – sembra che tutte le forze politiche stiano finalmente comprendendo che solo gli investimenti in edilizia possono salvare il Paese dal tracollo economico e sociale – tant’è che dovrebbe arrivare un decreto che sbloccherà tutte le risorse disponibili per trasformarle subito in cantieri – , le forze politiche regionali fanno peggio, così come purtroppo accade ininterrottamente da più di vent’anni: continuano a danneggiare le imprese e i lavoratori edili con tagli di risorse e con norme che colpiscono il comparto delle costruzioni ormai stremato da disoccupazione e mancanza di commesse, e ciò per favorire ancora residue sacche di clientela e di consenso elettorale”.
 
Se la Sicilia sta male, l’Italia non sta per niente bene. Due trimestri di seguito con il Pil in negativo, ed ecco servita la recessione tecnica. Veronica De Romanis, docente di Politica economica europea alla Stanford University di Firenze e alla Luiss di Roma, in riferimento alla situazione economica italiana, parla di “non crescita” racchiusa sostanzialmente in due cifre: “Reddito di cittadinanza e quota 100 – spiega De Romanis – per il prossimo triennio assorbiranno risorse pari a 44 miliardi, per gli investimenti invece sul piatto ci sono solo 10 miliardi”.
 

 
In Sicilia segnali di ripresa ancora impercettibili eppure qualcosa sembra muoversi
 
PALERMO – Sicilia fuori dal tunnel? Forse.
La crisi economica globale esplosa nel 2008 ha messo a dura prova il tessuto produttivo siciliano, già estremamente fragile.
La Sicilia, dice l’Istat, si conferma regione con la minore incidenza in Italia di occupati (30,3%). Tra il 2011 e il 2017 gli occupati sono diminuiti dello 0,6%. In Lombardia stessa percentuale ma di segno opposto.
 
A Nord è l’industria a trainare lo sviluppo, in Sicilia e Calabria la quota maggiore di reddito da lavoro dipendente proviene dalla Pubblica amministrazione.
 
Nel 2017 la regione Lombardia ha prodotto una ricchezza pari 353,3 miliardi. Il Pil siciliano, invece, con un modesto +0,4% è rimasto inchiodato a 82,3 miliardi.
 
Nonostante i numeri ci dicano che la luce in fondo al tunnel non è ancora a portata di mano e nonostante i segnali di ripresa siano ancora quasi impercettibili, qualcosa sembra tuttavia muoversi.
Aziende e famiglie siciliane stanno aumentando le richieste di credito e questo può essere interpretato come un buon segnale.
Nel 2018 il numero di richieste credito presentate dalle imprese è cresciuto del +3,8% rispetto all’anno precedente, con una variazione superiore a quella nazionale (dati Barometro Crif).
 
In leggero aumento anche le richieste di credito da parte delle famiglie: per quanto riguarda la Sicilia, dallo studio di Crif emerge come nel 2018 il numero di richieste di nuovi mutui e surroghe abbia fatto registrare un aumento del +1,4% rispetto all’anno 2017, in controtendenza rispetto alla flessione del -0,6% rilevata a livello nazionale.
 
Per quanto riguarda il numero di richieste di prestiti finalizzati all’acquisto di beni e servizi (quali auto e moto, arredo, elettronica ed elettrodomestici, ma anche viaggi, spese mediche, palestre ecc.), la Sicilia ha registrato una contrazione pari a -1,5% rispetto allo stesso periodo del 2017.
 
Per le richieste di prestiti personali, invece, la Sicilia ha visto un aumento apprezzabile nel 2018, con un +10,4% rispetto all’anno precedente, al di sopra della performance rilevata a livello nazionale (+9,1%).

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