Al Sud la crisi non è mai uscita dal carrello della spesa - QdS

Al Sud la crisi non è mai uscita dal carrello della spesa

Al Sud la crisi non è mai uscita dal carrello della spesa

martedì 12 Marzo 2019

Ufficio studi Cgia: negli ultimi dieci anni i consumi delle famiglie meridionali sono crollati di 170 euro (-7,7%). A farne le spese sono soprattutto i negozi di prossimità e le botteghe artigiane

ROMA – Rispetto all’anno pre-crisi le famiglie italiane spendono meno. A segnalarlo l’Ufficio studi della Cgia (associazione artigiani piccole imprese Mestre), secondo cui, se nel 2007 le uscite mensili medie erano pari a 2.649 euro, 10 anni dopo, sebbene dal 2013 sia in corso una lenta ripresa, la soglia si è attestata a 2.564 euro (-3%, pari in valore assoluto a 85 euro in meno).
 
Se al Nord (- 47 euro) e al Centro (-75 euro) le contrazioni registrate sono al di sotto della media nazionale, preoccupa, invece, la situazione del Sud. Negli ultimi 10 anni, infatti, la spesa delle famiglie meridionali è crollata di 170 euro (-7,7%): era pari a 2.212 euro nel 2007 ed è scesa a 2.042 euro un decennio dopo. Il calo dei consumi, purtroppo, sottolinea la Cgia, ha provocato degli effetti molto negativi anche sui fatturati delle piccole attività commerciali e artigianali.
 
“I negozi di prossimità e le botteghe artigiane – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – vivono quasi esclusivamente dei consumi delle famiglie e sebbene negli ultimi anni i consumi siano tornati lentamente a salire, i benefici di questa ripresa hanno interessato quasi esclusivamente la grande distribuzione organizzata. Dal 2007 al 2018, ad esempio, il valore delle vendite al dettaglio nell’artigianato e nei piccoli negozi di vicinato è crollato del 14,5%; nella grande distribuzione, invece, è aumentato del 6,5 per cento”.
 
Nonostante la diffusione sempre più massiccia dell’e-commerce, “questo trend è proseguito anche nel 2018: mentre nei supermercati, nei discount e nei grandi magazzini le vendite sono aumentate dello 0,9 per cento, nei piccoli negozi la diminuzione è stata dell’1,3 per cento”.
“Con le tasse in aumento e con una platea di servizi erogati dal pubblico che negli ultimi anni è diminuita sia in qualità sia in quantità – segnala il segretario Renato Mason – si sono sacrificati i consumi e gli investimenti. Inoltre, è diventato sempre più difficile fare impresa e redistribuire la ricchezza. Alle piccole e piccolissime imprese, in particolar modo, il calo dei consumi delle famiglie ha creato non pochi problemi finanziari, costringendo molte partite Iva a chiudere i battenti”.
 
Se nell’ultimo decennio (2007-2018) i consumi delle famiglie per funzione principale hanno visto i beni crollare del 10,4 per cento, le spese per i servizi, invece, sono aumentate del 6,9 per cento. Tra i beni, quelli più penalizzati dalle scelte d’acquisto sono stati i non durevoli che sono scesi del 12,8 per cento. I beni durevoli hanno registrato una diminuzione del 5,5 per cento, mentre i beni semidurevoli sono scesi del 5,1 per cento.
 
Analizzando le singole voci, le più penalizzate sono state i trasporti (-15 per cento), le bevande alcoliche (-13,4 per cento) e l’arredamento (-10,5 per cento). Segno positivo, in particolare, per alberghi/ristoranti (+8,2 per cento) e le comunicazioni (+17,9 per cento).
 
Nel 2018, invece, sia la vendita di beni sia quella di servizi è aumentata, rispetto al 2017, dello 0,7 per cento. Le uniche voci precedute da segno negativo sono state gli alimentari (-0,1 per cento), la sanità (-0,6 per cento) e le bevande alcoliche (-1,4 per cento). Le uscite mensili calcolate dalla Cgia si riferiscono al pagamento delle bollette, dell’acquisto di beni (alimentari e non) e di servizi (sanità, trasporti, alberghi, ristoranti).

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