Ma che qualità, ambiente siciliano devastato - QdS

Ma che qualità, ambiente siciliano devastato

Rosario Battiato

Ma che qualità, ambiente siciliano devastato

martedì 26 Marzo 2019

Ispra: l’Isola al vertice per numero di auto inquinanti ed emissioni di ossidi di zolfo. Le acque non vengono depurate e le energie rinnovabili stentano a decollare. La Regione rifiuta gli impianti energetici, mentre il suolo viene avvelenato da nuove discariche

PALERMO – Poco o niente da salvare sul fronte dell’ambiente siciliano. Nell’Isola, che si porta alla ribalta nazionale per l’agricoltura biologica – Sicilia, assieme a Puglia e Calabria, totalizza il 46% dell’intera superficie biologica nazionale –, tutto il resto sembra condannato, nonostante la buona volontà di alcuni comuni e del governo regionale. Rinnovabili ancora distanti dai risultati delle migliori del Nord, trasporti vecchi e vincolati al mezzo privato, sistema delle acque gravato da procedure di infrazioni comunitarie e ritardi, qualità dell’aria ancora a rischio e con pochi strumenti di controllo. Lo dicono i numeri dell’annuario ambientale dell’Ispra pubblicato nei giorni scorsi.
 
Auto vecchie. Una tendenza che si conferma, i siciliani preferiscono il mezzo privato (7 su 10 negli spostamenti per andare a scuola o a lavoro) e soprattutto inquinante. In generale, le regioni del Sud e delle Isole (Abruzzo, Molise, Campania, Calabria, Puglia, Basilicata, Sicilia, Sardegna) più l’Umbria e il Lazio sono ancora caratterizzate da una presenza di autoveicoli di tipo Euro 0 uguale o superiore al 10%. In altri termini, considerando Molise, Campania, Calabria, Puglia Basilicata e Sicilia i veicoli di “vecchia generazione” (fino allo standard Euro 2 incluso) sono ancora più del 30% del parco. Al contrario, nell’area centro-nord, ci sono regioni dove la fascia Euro 4-6 vale oltre il 60% del totale. La Sicilia, invece, è seconda solo alla Campania come concentrazione di euro 0 (circa 15% del totale del parco auto), mentre la porzione compresa tra euro 0 ed euro 3 raggiunge più del 50% del totale.
 
Poche rinnovabili. Un quinto dei consumi nazionali di energia elettrica appartengono Lombardia mentre la Sicilia, la Puglia, la Campania, la Toscana, il Lazio, il Piemonte, l’Emilia Romagna e il Veneto oscillano tra il 5,1% e il 10,1%. Facendo riferimento all’ultimo rapporto del Gse sulla produzione elettrica da fonte rinnovabile, per la Sicilia permangono le note dolenti di un’area che faticosamente prova ad agganciarsi al treno dell’economia circolare. Lo certificano i numeri della distribuzione regionale che vedono una produzione pari ad appena un 5%, cioè la metà della Puglia e nei dintorni della Calabria (4,7%). La Lombardia, da sola, vale quasi il 15% dell’intera produzione nazionale, con Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna tra le altre regioni che fanno da traino. Manca una produzione geotermica e latitano anche le biomasse (148,3 GWh), appena il 2% del dato nazionale, così come in ritardo sono i bioliquidi e il biogas, un vero spreco a fronte dell’enorme patrimonio di scarti forestali e dell’agricoltura che si potrebbero utilizzare per la produzione di energia.
 
Emissioni e infrazioni Ue. “In un contesto di generale riduzione delle emissioni – si legge nel report dell’Ispra –, la regione che nel 2015 presenta la quota maggiore di emissioni di ossidi di zolfo è la Sicilia (con il 22,5% del totale nazionale)”. Un peso specifico che si riflette anche sulla cattiva qualità dell’aria. A questo proposito, nelle scorse settimane si è registrato un ulteriore avanzamento di una procedura di infrazione risalente a quattro anni fa e adesso vicina alle sanzioni comunitarie. Si tratta della mancata protezione dei cittadini dagli effetti delle emissioni di biossido di azoto, in rapporto ai valori limite stabiliti dalla legislazione comunitaria (art.13 della direttiva 2008/50/Ce), da rispettare già a partire dal 2010. Anche Catania nel lotto delle città che sono state segnalate per la procedura (2015-2043). Non è l’unica: agglomerati dell’Isola vincolati anche al superamento dei valori del limite di PM10 (2014-2147).
 
Acque. Nel corso dell’ultimo anno registrato, cioè il 2017, si è certificata la riduzione delle precipitazioni: valori superiori alla media si “sono verificati in particolare in Veneto, nelle Marche e in Toscana e nella zona settentrionale della Puglia, mentre un sensibile deficit di precipitazioni si è verificato in Sicilia, in Sardegna, nel Lazio, nella fascia costiera della Campania e nella parte alta della Pianura padana”. Le contromisure ci sarebbero: infrastrutture più adeguate per la raccolta – in ballo ci sono investimenti milionari per gli invasi – e anche l’utilizzo alternativo della depurazione, ad esempio per l’irrigazione. Il punto è che proprio la depurazione resta uno dei grandissimi limiti del sistema isolano. “Nel 2016 il grado di conformità nazionale dei sistemi di depurazione è pari al 76,2%, inferiore a quanto riscontrato nel 2014 (81,1%)”.
 
Una riduzione dovuta anche alla presenza di numerosi “dati non disponibili” (in particolare per 248 agglomerati della regione Sicilia non sono stati trasmessi i dati di conformità degli impianti). Inoltre, l’indice di conformità è risultato superiore al “90% in 6 regioni e nelle province autonome di Trento e Bolzano (100% in Emilia-Romagna, Umbria e Molise), in 11 regioni compreso tra il 70% e il 90%, mentre in Campania è pari al 60,1%”. In Sicilia si rileva, anche nel 2016, si registra l’indice di conformità più basso (3,9%), “diminuito in misura considerevole rispetto al 2014 (46,9%) per assenza dei dati necessari alla valutazione della conformità”. Anche in questo settore l’Isola ha ben quattro procedure di infrazione: una di queste, proprio nelle scorse settimane, ha visto un ulteriore passo in avanti col coinvolgimento di 176 agglomerati isolani. Circa 280 agglomerati isolani sono coinvolti nelle altre procedure.
 

 
Termovalorizzatori no, nuove discariche sì
“Meglio” avvelenare e consumare il suolo
 
PALERMO – Sui rifiuti, come per il resto, c’è veramente pochissimo da aggiungere rispetto alla tragica parabola discendente intrapresa negli ultimi vent’anni. Il governo regionale sta provando a pianificare e invertire la rotta del passato – la raccolta differenziata intanto continua a crescere, nel 2018 la media è andata oltre il 30% (dati della Regione) – ma i numeri dell’Ispra, aggiornati al 2017, registrano un processo ancora largamente immaturo: 21,7% di raccolta contro il 55,5% nazionale e il 41,9% del mezzogiorno. In altri termini pare che l’Isola si stia avvicinando, finalmente, agli obiettivi del 2006 (35%), mentre restano ancora distanti i target degli altri anni: 40% al 2007; 45% al 2008; 50% al 2009; 60% al 2011; 65% al 2012.
Manca una vera e propria filiera del rifiuti, tra cui gli impianti di valorizzazione energetica che sarebbero possibili sulla base di alcune condizioni, secondo il nuovo piano dei rifiuti, mentre le discariche, ancora per i prossimi anni, saranno le assolute dominatrici della scena, al punto che si lavora per ampliarne la capienza in attesa che il sistema possa diventare virtuoso e autonomo.
 
Il report Was 2018 “Il waste management tra industria e policy, la sfida della regolazione” ha evidenziato il gap infrastrutturale esistente in Italia, mettendo in luce l’esigenza della Sicilia, secondo una stima al 2030 e uno scenario a bassa produzione di rifiuti, per avviare una capacità di smaltimento nei termovalorizzatori pari a circa un milione di tonnellate.
 

 
Inquinamento acustico, in Sicilia il 98% dei Comuni senza Piano
 
PALERMO – Il riferimento per il rispetto dei limiti acustici e per garantire la limitazione dell’inquinamento sonoro è la LQ 447/95 che, tra le altre cose, prevede l’obbligo per i comuni di procedere alla classificazione acustica del territorio di competenza, fissando la distinzione del territorio comunale in sei classi omogenee, definite dalla “normativa sulla base della prevalente ed effettiva destinazione d’uso, e all’assegnazione, a ciascuna zona omogenea, dei valori limite acustici, su due riferimenti temporali, diurno e notturno”. Le regioni, in tal senso, hanno il compito di definire i criteri con cui i comuni procedono alla classificazione acustica del proprio territorio.
 
Con dati aggiornati al 2017, i comuni che hanno approvato un Piano di classificazione acustica sono 4.842, pari al 61% dei comuni italiani, un dato in crescita del 3,3% rispetto all’anno precedente. Restano ancora elevate differenze tra le regioni più virtuose – Valle d’Aosta (100%), Marche (97%), Lombardia e Toscana (96%), Veneto (91%), Liguria (85%), Piemonte (75%), provincia di Trento (73%), Emilia-Romagna (72%) – e le altre più in ritardo. In fondo alla classifica si trova la Sicilia, con appena il 2%.

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