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Riciclaggio danaro sporco ben nascosto: meno denunce dalle banche siciliane

Salvatore Sacco

Riciclaggio danaro sporco ben nascosto: meno denunce dalle banche siciliane

mercoledì 06 Aprile 2011

Dati simili dai diversi rapporti: dall’Ufficio studi Fiba/Cisl, al Rapporto Res 2010, all’indagine Anfp dei funzionari di Polizia. Anche per reati non di competenza bancaria ci sono meno segnalazioni nelle nostre città

PALERMO – Il riciclaggio del denaro sporco, ovvero quello proveniente da attività delittuose, illecite o comunque irregolari (evasione, elusione etc.) rappresenta uno dei filoni di maggiore interesse per la lotta al crimine, al terrorismo ed anche al sommerso. Il riciclaggio costituisce una seria minaccia per l’economia oltre a rappresentare un fattore di destabilizzazione soprattutto per l’intero sistema finanziario. Peraltro, la continua evoluzione tecnologica e l’internazionalizzazione dei mercati finanziari hanno ampliato enormemente il campo d’azione e gli strumenti a disposizione per tali reati. L’attenzione nei confronti di questi fenomeni da parte dell’organo di Vigilanza, ovvero la Banca d’ Italia, è stata nel nostro Paese sempre molto alta.
Lo scorso 10 marzo, anche a seguito dell’accentuarsi delle minacce terroristiche indotte dalla crisi nord africana, è stato emanato un ulteriore provvedimento relativo all’organizzazione delle funzioni di segnalazione antiriciclaggio da parte degli intermediari e degli altri soggetti che svolgono attività finanziaria, quali banche, istituti di pagamenti, Sim, Sgr, Sicav, società fiduciarie, agenti di cambio. In Italia è particolarmente rilevante il  riciclaggio posto in essere dalle varie mafie che controllano flussi di denaro assai ingenti; infatti il loro peso sull’economia appare ancora assai rilevante: una recente ricerca del Centro Pio La Torre di Palermo, stima che si arrivi a circa il 6,4% del Pil su scala nazionale; dunque è possibile ipotizzare che per la Sicilia (dove la presenza mafiosa è certamente maggiore della media ed il Pil minore) si possa arrivare anche ad un’incidenza superiore al 10% sul Pil regionale.
In un sistema bancocentrico come quello del nostro Paese, la massima attenzione circa l’applicazione di queste importanti disposizioni si concentra su quello che faranno le banche; nelle regioni del Mezzogiorno ed in Sicilia in particolare, dove la presenza della criminalità organizzata è sensibilmente più accentuata, questa attenzione deve essere ancora maggiore. Forse anche a questo pensava il Governatore della Banca d’Italia quando diceva che “La reputazione di una banca si giudica anche da come previene e contrasta il riciclaggio” (intervento al 16° Congresso degli operatori finanziari, organizzato a Napoli da Aiaf, Assiom e Atic forex). Il Governatore, indicava inoltre alcune zone ritenute a più alto rischio di infiltrazione criminale verso cui si concentrava l’attenzione della Vigilanza: l’entroterra campano, l’hinterland milanese e la provincia di Palermo.
Come reagiranno le banche nel Mezzogiorno e soprattutto in Sicilia?. Quello che è avvenuto fornisce una rappresentazione in chiaroscuro: una recente ricerca dell’ Ufficio studi della Fiba /Cisl evidenzia ad esempio che a Palermo e Catania le banche presentano un numero di segnalazioni di operazioni sospette di riciclaggio, inferiore all’uno per mille (esattamente lo 0,90 per mille) contro il 3,55 per mille di Prato, o, per confrontarci con altre realtà meridionali, il 2,85 di Napoli,  il 2,14 di Caserta, l l’1,34 di Salerno, l’1,50 medio della Calabria. Eppure le due province siciliane, al pari di quelle campane citate e di quelle calabresi, appartengono alla fascia di province in cui è più alta la presenza e l’intensità di azione della criminalità organizzata, almeno secondo la misurazione proposta nel Rapporto Res 2010 ( "Alleanze nell’ombra. Mafie ed economie locali in Sicilia e nel Mezzogiorno”) effettuata attraverso il c.d. “Power Syndicate”, un indicatore sintetico di un insieme di attività delittuose legate al controllo mafioso del territorio riferito al periodo 2004-2007.
Potremmo dunque essere in presenza di una manifestazione di quelle “aree grigie”, di cui si fa cenno nel sopra citato rapporto, consistente in quella rete di relazioni spesso sotterranee che si instaurano fra criminalità e società civile, nell’ambito dell’ economia, della politica, della stessa finanza? Ma potrebbe trattarsi anche di differenze che scaturiscono dalle modalità operative che connotano le diverse organizzazioni criminali: è possibile infatti che organizzazioni a carattere mafioso con strutture più consolidate nel tempo, quali appunto la mafia siciliana, soprattutto quella del Palermitano, abbiano elaborato strategie più raffinate ed evolute di immissione e reimpiego delle risorse illecite nel circuito dell’ economia legale, con  maggiori capacità di effettuare i propri investimenti al di fuori dell’ area in cui hanno origine.
Questa ipotesi sembra confermata anche dai risultati di un’altra analisi, ovvero quella realizzata dall’ Anfp associazione dei Funzionari di Polizia (“L’apporto della sicurezza pubblica alla creazione del PIL2, 2010). Secondo tale studio, infatti, le denunce per delitti di riciclaggio, evidentemente non di competenza bancaria, vedono Palermo ancora una volta agli ultimi posti (84° in classifica con 4,2 denunce ogni centomila abitanti), mentre Catania è all’11° posto con 18 denunce, Caserta e Napoli al 9° (18,4) e 10° (18,1) e  la Calabria al 15° posto con , in media, 14, 6 denunce (con un picco a Reggio Calabria di 20,5).
Va considerato che  queste denunce avvengono sulla base di una attività investigativa delle autorità competenti anche in assenza di  segnalazione delle banche, tuttavia queste  hanno una innegabile influenza nell’ agevolare le indagini. Dunque è probabile che la realtà stia in medio: la maggiore evoluzione della mafia rende minore e, forse anche meno evidente il ricorso al riciclaggio, da un lato, dall’ altro un atteggiamento delle banche, seppur legittimo in considerazione di quanto prima affermato (salvo singoli episodi dolosi sempre possibili), ma che tuttavia potrebbe essere più partecipativo, profondendo, vista l’utilità sociale di questa attività, un forte impegno supplementare.
 


Le situazioni sospette vanno adeguatamente verificate
 
Per gli intermediari la disciplina è particolarmente onerosa  in quanto prevede l’attivazione di una funzione specifica con l’individuazione di un responsabile dotato di adeguata professionalità ed autonomia, o, se non dipendente, senza alcuna delega operativa nei confronti dell’ente.
Gravose sono le incombenze imposte: intanto il concetto di riciclaggio è quello allargato previsto dal decreto 231/2007, che, fra l’altro ha assimilato l’autoriciclaggio (in sintesi quello effettuato dallo stesso soggetto che ha commesso l’illecito da cui derivano le risorse da riciclare) al riciclaggio (quello effettuato da terzi). In secondo luogo, si richiede una “adeguata verifica”, ovvero approfondite azioni di identificazione delle situazioni sospette, da espletarsi nei confronti del titolare effettivo del rapporto, con una azione di monitoraggio non solo sulle specifiche operazioni ma sull’operatività complessiva del rapporto. (ss)

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