Obbligatorio indicare la provenienza dell'ingrediente primario se diverso dall’origine del prodotto. Il nuovo regolamento europeo in vigore dal 1° aprile ma l’Italia ha regole ancor più rigide
ROMA – Dal primo di aprile è entrato in vigore il nuovo regolamento europeo di esecuzione della Commissione UE n. 2018/775, che prevede le modalità applicative di fornitura delle informazioni sull’ingrediente primario, secondo quanto stabilito dall’art. 26(3) del Regolamento n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti (RFI).
In altre parole la nuova normativa prevede l’introduzione dell’obbligo di indicare in etichetta la provenienza dell’ingrediente primario se essa non coincide con l’origine del prodotto – o con il Paese dove è avvenuta l’ultima trasformazione, se questi vengono esplicitati attraverso parole, simboli o disegni.
Ad esempio, se una confezione di pasta riporta la bandiera italiana, ma è fatta con grano canadese, si dovrà esplicitare in etichetta l’origine di quest’ultimo. Questo perché quanto indicato sul prodotto potrebbe risultare forviante creando, di conseguenza, confusione.
Attenzione però, l’obbligo di indicazione di origine introdotta da questo regolamento non si applica ai marchi registrati. Vale a dire che se è il marchio stesso di un prodotto a richiamare l’origine, non vi è alcun obbligo di dichiarare la provenienza dell’ingrediente primario, persino se questa è diversa da quella evocata dal marchio. Lo stesso discorso vale anche per i prodotti a marchio DOP, IGP e STG non devono sottostare a quanto richiesto dal nuovo Regolamento Europeo, avendo già una designazione geografica riconosciuta.
Nel caso specifico dell’Italia, con l’entrata in vigore di questo regolamento sarebbero dovuti decadere, in teoria, i decreti che da un paio d’anni prevedono l’indicazione di origine della materia prima per latte e derivati, riso, grano duro della pasta e per i derivati del pomodoro. Provvedimenti che il nostro Paese aveva introdotto in via sperimentale con scadenza a marzo 2020, in attesa che anche l’UE si muovesse sulla questione.
Ma, in attesa che l’Europa allarghi la lista di prodotti per cui è obbligatoria l’indicazione d’origine, l’Italia si è un po’ discostata dall’iter legislativo europeo. I ministri delle Politiche agricole Bellanova e dello Sviluppo economico Patuanelli hanno, infatti, prorogato l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza del grano per la pasta, del riso e del pomodoro, che ora sarà valido fino al 31 dicembre 2021.
“L’Italia – dichiarano i due Ministri – si conferma all’avanguardia in Europa per la trasparenza delle informazioni al consumatore in etichetta. Non possiamo pensare a passi indietro su questa materia e per questo abbiamo deciso di andare avanti. Diamo certezze alle imprese di tre settori chiave per l’agroalimentare italiano”.
Il decreto italiano sul grano e sulla pasta prevede che le confezioni di pasta secca prodotte in Italia devono continuare ad avere obbligatoriamente indicate in etichetta le seguenti diciture: Paese di coltivazione del grano; Paese di molitura. Se il grano duro è coltivato almeno per il 50% in un solo Paese, come ad esempio l’Italia, si potrà usare la dicitura: “Italia e altri Paesi UE e/o non UE. Discorso analogo per il riso e le confezioni di derivati del pomodoro, sughi e salse.
Una proroga favorevolmente accolta da Coldiretti. Infatti, secondo quanto emerge da uno studio diramato dall’associazione con Ixè il prolungamento dell’obbligo di indicare in etichetta l’origine di alimenti base come pasta, riso e derivati del pomodoro, era atteso da quell’82% degli italiani che con l’emergenza coronavirus sugli scaffali dei supermercati cercano prodotti Made in Italy, non solo per qualità ma anche per sostenere l’economia ed il lavoro nostrano.