La crisi non ha sfiorato la Pa. Nessuno è andato in cassa integrazione, nessuno è stato costretto ad andare in pensione, nessuno ha perso un euro dei propri compensi. Nessuno, però, ha aumentato la propria produttività.
Vi sono degli ignoranti, o persone in malafede, che dicono come gli obiettivi fissati non siano misurabili. Come è noto a chi si intende di organizzazione, i tempi di tutti i processi sono quantificabili al secondo, gli obiettivi relativi sono pesabili e quindi una normale attività di controllo è sempre in condizione di verificare la corrispondenza tra obiettivi e risultati.
Con l’avvento dell’informatica, le filiere sono controllabili dall’esterno ed è giusta l’ipotesi inserita dal ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, di creare un’autorità esterna alla Pa che controlli la corrispondenza tra obiettivi e risultati.
In Sicilia, nonostante l’indirizzo del Presidente della Regione, portato con due direttive (del 15 settembre 2008 e del 6 marzo 2009), non sembra che gli apparati siano entrati in questo ordine di idee. Lo possiamo scrivere di prima mano perché ce lo hanno confermato una decina di direttori generali venuti recentemente ai nostri forum.
Quando abbiamo chiesto loro se si fosse ribaltato il modo di funzionare, passando dal lavoro fine a se stesso al lavoro finalizzato al raggiungimento di obiettivi, abbiamo ricevuto risposte promettenti ma sconsolate.
Promettenti perché c’è la voglia di cambiare; sconsolate perché il cambiamento non è dell’oggi e forse neanche del domani. Tutti aspettano settembre per la tornata di nomine di direttori generali fra cui quelli delle aziende ospedaliere e provinciali. Questa attesa farà perdere tre mesi alla Sicilia, un tempo che potrebbe essere utilizzato per varare urgentemente progetti e riforma.
Perché l’amministrazione del Comune di Catania debba avere 4.000 dipendenti quando il Comune di Bari ne ha 2.000 e funziona molto meglio? Perché l’amministrazione comunale di Palermo debba avere 7.000 dipendenti e quella del Comune di Bologna ne ha la metà? Due esempi lampanti di come il clientelismo siciliano prescinda dall’interesse generale, perché qua uomini politici di piccola dimensione celebrale continuano a raggranellare voto su voto scambiandolo col bisogno, anziché proporre alla comunità progetti di alto valore e grande spessore strategico.
Come è possibile accettare che i 390 comuni (non tutti) non abbiano un nucleo di polizia tributaria che vada a colpire l’enorme evasione e la morosità dei propri cittadini che, pur usufruendo di servizi non pagano le relative tariffe? Come è possibile che negli stessi comuni non vi siano i piani industriali (Pops) i quali determinino la quantità e la tipologia delle figure professionali che servono per far funzionare la macchina, atta a raggiungere determinati obbiettivi? Citiamo poi quegli enti non territoriali come consorzi Asi, Iacp, enti di sviluppo di varia denominazione e partecipate regionali e locali, dentro i quali si sconoscono essenziali comportamenti improntati ad efficienza ed efficacia.
Nessun dirigente può portare a compimento la propria missione se essa non gli è affidata in piena autonomia. Se il dirigente deve dar conto al politico-clientelare, al sindacalista-clientelare, al potente-clientelare, deve subordinare la propria missione alle fameliche richieste di codesti deprecabili soggetti. Per conseguenza non può determinare il merito, essenziale per capire chi fa bene e chi fa male. Quindi fallisce la sua missione.