Dal risultato di queste indagini sulle neoplasie più frequenti dipende la scelta del trattamento più efficace per i pazienti
in collaborazione con ITALPRESS
ROMA – Sono più di 100 i centri certificati nel nostro Paese accreditati per l’esecuzione dei test molecolari, esami che permettono di individuare in anticipo la cura adatta a ogni paziente colpito da tumore. L’Italia è al vertice a livello europeo nell’oncologia di precisione, proprio grazie alla rete nazionale per i test bio-molecolari istituita da Aiom (Associazione italiana di oncologia medica) e Siapec-Iap (Società italiana di anatomia patologica e citologia diagnostica).
Un network unico in Europa: dal risultato di questi test dipende la scelta del trattamento più efficace, evitando ai pazienti inutili tossicità e consentendo risparmi per il sistema sanitario. I test molecolari oggi sono utilizzati nelle tre neoplasie più frequenti, quelle della mammella (52.800 nuovi casi in Italia nel 2018), del colon-retto (51.300) e del polmone (41.500), oltre che nel melanoma (13.300) e nel tumore dello stomaco (12.700).
“L’oncologia di precisione – ha spiegato Stefania Gori, presidente nazionale Aiom – è stata al centro del più importante congresso mondiale di oncologia medica (Asco, American society of clinical oncology), che si è svolto recentemente a Chicago. Aiom ha costruito, in collaborazione con altre società scientifiche, un programma di verifica della qualità dei laboratori che eseguono test di patologia molecolare in linea con gli standard europei. I controlli di qualità sono infatti realizzati utilizzando criteri organizzativi e di valutazione concordati con altre società scientifiche europee. I risultati hanno mostrato che i laboratori italiani eseguono test molecolari con un ottimo livello di qualità, come testimoniato dalla elevata percentuale di laboratori che superano i controlli”.
Nel 2018, nel nostro Paese, sono stati stimati 373.300 nuovi casi di tumore: quello della mammella è diventato il più frequente. “Il 20% delle diagnosi di carcinoma mammario – ha sottolineato la presidente Gori – riguarda pazienti under 50, spesso molto attive sia in famiglia che nella professione. Nelle pazienti con forma metastatica di carcinoma mammario recettori ormonali positivi e Her2-negativo già abbiamo a disposizione dei farmaci, gli inibitori delle cicline, che, associati a ormonoterapia, determinano una lunga sopravvivenza libera da progressione. A Chicago sono stati presentati i risultati dello studio Monaleesa-7, che ha un 70% di donne vive a tre anni con questa associazione rispetto al solo 46% con la sola terapia ormonale: sono risultati molto importanti in termini di sopravvivenza globale”.
“L’obiettivo dell’oncologia di precisione – ha evidenziato Pierfranco Conte, coordinatore della Rete oncologica veneta – è colpire il tumore agendo sul suo tallone d’Achille, cioè sulla mutazione genetica che ne è all’origine. Per questo, come evidenziato dalla presidente Asco Monica Bertagnolli, è necessario aprire l’oncologia ai big data, alla grande mole di informazioni che provengono anche dai pazienti del ‘mondo reale’, come gli anziani o le persone più fragili perché colpite da numerose patologie, di solito non coinvolti negli studi clinici. Banche dati connesse fra loro permetteranno agli oncologi di disporre di più conoscenze e di assumere le decisioni migliori per i pazienti”.
Prevenzione e diagnosi precoce restano le armi più efficaci contro le neoplasie. Lo evidenzia anche uno studio presentato al congresso Asco e condotto dal Johns Hopkins Department of Gynecology and Obstetrics di Baltimora. “Grazie all’Affordable care act – ha affermato ancora la presidente Gori – voluto dall’ex presidente Usa Barak Obama, molte più donne americane hanno ricevuto la diagnosi di cancro ovarico in stadio precoce e le terapie entro 30 giorni dalla scoperta della malattia, aumentando così le possibilità di sopravvivenza. Aiom, con altre società scientifiche, ha stilato le ‘Raccomandazioni 2019 per l’implementazione del test Brca nelle pazienti con carcinoma ovarico e nei familiari a rischio elevato di neoplasia’. Circa il 20% delle neoplasie ovariche è ereditario, cioè causato da specifiche mutazioni genetiche. L’informazione sull’eventuale mutazione dei geni Brca va acquisita al momento della diagnosi, perché può contribuire alla definizione di un corretto percorso di cura che parta dalla prima linea di trattamento. E, nei familiari che presentano la mutazione, devono essere avviati programmi di sorveglianza intensiva con controlli semestrali fino alla chirurgia profilattica (asportazione chirurgica delle tube e delle ovaie)”.
La mutazione dei geni Brca sta diventando fondamentale anche nel tumore del pancreas. “All’Asco – ha concluso Gori – ha avuto grande risonanza lo studio Polo, in cui un inibitore dell’enzima Parp, nei pazienti con mutazione dei geni Brca, ha ridotto del 47% il rischio di progressione della malattia. Per la prima volta un trattamento di mantenimento nel tumore del pancreas metastatico ha migliorato la sopravvivenza libera da progressione. Valutare Brca in questi pazienti significa fornire la possibilità, nel prossimo futuro, di trattamenti a bersaglio molecolare e un prolungamento della sopravvivenza libera da progressione”.