Il presidente Fava ha ascoltato i vertici etnei delle Forze dell’ordine: “Qui 24 clan con 2.000 affiliati”
CATANIA – “A Catania, in tema di mafia, c’è ancora tutta una storia da raccontare”. Un messaggio chiaro e senza giri di parole quello che Claudio Fava, presidente della Commissione antimafia all’Ars, rivolge ai giornalisti in occasione della conferenza stampa tenutasi in prefettura dopo l’audizione del prefetto Claudio Sammartino, del questore Mario Della Cioppa, dei comandanti provinciali dei Carabinieri, Colonnello Raffaele Covetti, e della Guardia di Finanza, Raffaele D’Angelo e infine del Capo centro Dia di Catania, Carmine Mosca.
“La crisi sociale – continua Fava – non è mai neutra e apre spazio all’abilità delle cosche mafiose di produrre consenso sociale”. Tra gli esempi citati dal presidente della Commissione antimafia ci sono i cantanti neomelodici e il sequestro della squadra di calcio di Misterbianco. “I primi – continua l’ex giornalista – cominciano a riscuotere un certo successo e a detenere un’egemonia territoriale che in molti casi si manifesta anche con l’apposizione di bandiere: come a dire ‘qui comandiamo noi’”. Nel secondo caso, invece, il consenso sociale si trasforma in dissenso. “Perché – precisa Fava – lo stadio diventa luogo di solitudine”.
Ma il consenso sociale riscosso dalle cosche mafiose non è il solo punto debole di una città con mille criticità. Al centro c’è il rapporto di convenienza reciproca tra il mondo dell’imprenditoria e i clan. “Ci hanno confermato – spiega – che esiste una zona grigia molto ampia in cui si è collocata anche un pezzo dell’imprenditoria, e tutto questo sta determinando di certo una sofferenza del tessuto imprenditoriale sano che rischia di essere soffocato”.
A fornire un quadro desolante sono i dati diramati dalla Commissione: dieci interdittive solo negli ultimi mesi e il sequestro di circa 70 milioni di euro derivato dalle ultime operazioni nei confronti dei centri scommesse. “Centri – precisa Fava – le cui operazione illecite sono il frutto di alleanze inedite”. Come quella dei clan Santapaola e Cappello: “Apparentemente rivali – sottolinea – ma decisamente alleati nella gestione monopolistica del gioco d’azzardo”.
Altro capitolo su cui Cosa nostra dimostra particolare interesse è il mercato immobiliare. Avvilito da speculazioni, immobiliari ed edilizie, è predominio del clan Santapola-Ercolano. Famiglia, questa che, secondo il quadro fornito dalla Commissione, risulta ancora punto di riferimento della mafia etnea. E ancora, il ricorso a un sistema di acquisto e riconversione dei terreni agricoli e l’intestazione fittizia di beni. Gli investimenti in questi settori rimangono una prerogativa, insieme ai centri commerciali, di Cosa nostra etnea. A questi si aggiungono le aste giudiziarie. “Gare – sottolinea il presidente – spesso deserte, perché così i beni possono essere aggiudicati dai clan”.
Sulla cresta dell’onda c’è anche la raccolta di rifiuti – non solo lo smaltimento – su cui ci sono due processi in corso di valutazione: quello che riguarda la Sicula Trasporti e la Dusty. “Ma – continua il presidente – ci è stato confermato che è un buco nero” aggravato dalle ‘innumerevoli’ proroghe concesse attraverso lo strumento dell’affidamento diretto per urgenza. “Quanto può valere – si chiede Fava – il pretesto di erogare una somma urgente per proroghe che si succedono una dopo l’altra? In nessun procedimento sussistono le ragioni giuridiche e tecniche tali da poter consentire proroghe all’infinito”.
Infine il presidente ha scattato una fotografia del panorama mafioso in provincia di Catania. “Ci sono – sostiene Fava – 24 organizzazioni mafiose con duemila affiliati. Metà di queste fanno capo alla famiglia Santapaola-Ercolano”, sottolineando inoltre la presenza di 61 condannati al 41 bis (di cui cinque portano il cognome dei Santapaola). Al contempo ha colto l’occasione per ribadire che “la revoca del regime di carcere duro ad Aldo Ercolano, classe 1960, è una scelta infelice”.