A picco il reddito reale delle famiglie italiane: ancora male la Sicilia

A picco il reddito reale delle famiglie italiane: ancora male la Sicilia

A picco il reddito reale delle famiglie italiane: ancora male la Sicilia

Hermes Carbone  |
sabato 05 Aprile 2025

Ma se il dato nazionale è allarmante, quello siciliano racconta una distanza ormai strutturale dal resto del Paese

Il nuovo report dell’Istat sul reddito e le condizioni di vita delle famiglie fotografa con cruda nitidezza una realtà economica in affanno, soprattutto in Sicilia. Nel 2023, il potere d’acquisto delle famiglie italiane ha subito una battuta d’arresto. Ma se il dato nazionale è allarmante, quello siciliano racconta una distanza ormai strutturale dal resto del Paese.

Redditi nominali in aumento, ma l’inflazione morde

Il reddito medio delle famiglie italiane, secondo l’Istat, è salito a 39.406 euro lordi annui nel 2022 (ultimo anno disponibile per i dati reddituali), con un aumento del 6,3% rispetto all’anno precedente. Una crescita nominale che è però stata divorata dall’inflazione galoppante, vero leitmotiv del biennio post-pandemico. Effetto generato: potere d’acquisto reale in calo.

Il reddito disponibile delle famiglie è infatti diminuito dell’1,9% su base annua. Tradotto: nonostante l’apparente aumento degli stipendi, le famiglie possono permettersi meno beni e servizi rispetto al passato. E a risentirne di più sono ancora una volta i nuclei familiari già in condizioni di vulnerabilità economica, soprattutto nel Mezzogiorno.

Sicilia, peggio fa solo la Calabria

Nel confronto tra le regioni, la Sicilia continua a occupare le posizioni più basse della classifica. Il reddito medio equivalente netto – parametro che tiene conto della dimensione del nucleo familiare – si ferma a 15.968 euro, ben al di sotto della media nazionale di 22.780 euro. Peggio della Sicilia fa solo la Calabria, con 15.361 euro. In cima alla classifica, il Trentino-Alto Adige sfiora i 30 mila euro, seguito da Lombardia (27.768 euro) ed Emilia-Romagna (27.407 euro). Il divario tra Nord e Sud non solo permane, ma si allarga: la differenza tra la regione più ricca e quella più povera supera i 14.000 euro. In Sicilia, inoltre, più di una famiglia su cinque (21,1%) si colloca sotto la soglia di povertà relativa. È un dato superiore alla media nazionale del 10,8% e che riflette una condizione strutturale di difficoltà economica.

Le disuguaglianze aumentano

Un altro dato rilevante riguarda l’indice di Gini, che misura la disuguaglianza nella distribuzione del reddito: in Sicilia è pari a 34,7, più alto rispetto alla media italiana (32,5), e ben lontano dai valori delle regioni del Centro-Nord. In Friuli-Venezia Giulia, ad esempio, l’indice è fermo a 28,7.

Questo significa che non solo il reddito medio è basso, ma anche che la distribuzione della ricchezza è fortemente squilibrata: una piccola parte della popolazione concentra su di sé una quota significativa delle risorse economiche disponibili.

La povertà si fa sentire

Il report evidenzia come in Sicilia oltre il 40% della popolazione viva in famiglie a rischio di povertà o esclusione sociale. La media italiana è al 24,4%, quella del Nord si aggira intorno al 17%. È un dato che dovrebbe suonare come un allarme continuo per le istituzioni regionali e nazionali: interi segmenti della popolazione siciliana sono tagliati fuori dalle dinamiche di crescita.

Il disagio non si limita solo al reddito, ma si estende all’accesso ai servizi: in Sicilia il 12,9% delle famiglie dichiara di non potersi permettere un pasto proteico ogni due giorni, contro una media nazionale del 6,5%. Il 41% non può sostenere una spesa imprevista di 800 euro. Sono numeri che raccontano l’ordinarietà della precarietà.

Un problema strutturale

L’analisi dell’Istat evidenzia che la Sicilia non è semplicemente una regione in difficoltà contingente. Il problema è strutturale: bassa occupazione, salari ridotti, alta incidenza di lavoro irregolare e una scarsissima mobilità sociale. Anche i trasferimenti pubblici, che pure rappresentano una quota significativa del reddito disponibile per molte famiglie, non sono riusciti a colmare il divario.

Nel 2022, il 22,5% del reddito disponibile delle famiglie siciliane derivava da trasferimenti sociali, come pensioni e sussidi. In Lombardia, la stessa voce pesa per il 14,7%. Segno che senza l’intervento pubblico il quadro sarebbe ancora più drammatico.

Il bisogno di un nuovo patto sociale

A fronte di questi dati, è evidente che occorre un nuovo patto sociale che rimetta al centro il lavoro dignitoso, l’equità nella distribuzione della ricchezza e investimenti strutturali al Sud. Serve una strategia di lungo periodo per far sì che un giovane siciliano non parta già sconfitto rispetto a un coetaneo del Nord. Il report dell’Istat è una radiografia sociale di cui sembra interessare però poco al governo regionale. Nel caso della Sicilia, si tratta di un grido d’allarme che non può più essere ignorato.

Lucchesi (Cgil Sicilia): “Troppi sprechi tra Pnrr e Fondi strutturali”

Numeri drammatici ai quali si aggiungono i “circa 300 mila lavoratori che in Sicilia hanno un ISEE inferiore a 5 mila euro. I 20 milioni di euro stanziati quindi da Schifani come sostegno sociale, sono andati via in mezza giornata. Viviamo in un contesto di povertà e privazione”, spiega Francesco Lucchesi, della cabina di regia della Cgil Sicilia. A questi si innestano anche i numeri dell’ex reddito di cittadinanza, “misura che in Sicilia ha raggiunto circa 360 mila nuclei familiari. E poi gli 800 mila siciliani che secondo il Rapporto Gimbe rinunciano anche per mancanza di disponibilità economiche a curarsi”. E non va meglio al mondo del lavoro. “Più del 70% dei contratti attivati nel 2024 in Sicilia erano precari. Quando il governo fa propaganda parlando di economia florida, PIL che cresce e occupazione che aumenta, il punto è capire che tipo di occupazione. Per non parlare di una politica industriale che non esiste. Un’ulteriore riflessione: siamo il paese in cui negli ultimi 30 anni il potere d’acquisto dei salari piuttosto che aumentare è diminuito”, aggiunge il sindacalista. In controtendenza solo il comparto turistico, questo “perché aumenta il flusso di turisti in Sicilia, ma contemporaneamente se guardiamo l’attivazione di contratti anche stagionali nel turismo non aumenta l’occupazione”. Tradotto: più turisti ma meno occupazione. “Un dato che si spiega solo con l’aumento del lavoro nero. Fenomeni che – aggiunge Lucchesi – generano quel tasso di povertà e quella condizione di esclusione sociale che viviamo in Sicilia”.

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