Abusi edilizi, ruspe ferme e nuovi tentativi di sanatoria - QdS

Abusi edilizi, ruspe ferme e nuovi tentativi di sanatoria

Abusi edilizi, ruspe ferme e nuovi tentativi di sanatoria

Roberto Greco  |
venerdì 28 Luglio 2023

Mentre in Sicilia si contano ogni giorno tre reati legati al cemento e in 16 anni è stata eseguita solo un’ordinanza di demolizione su 5, all’Ars torna una proposta di sanatoria

PALERMO – Scriveva Roberto Gervaso, noto giornalista e scrittore che “l’abuso nasce dalla presunzione di un privilegio”. Mai parole sono le più adatte per definire il concetto di abusivismo edilizio, fenomeno che, nonostante i tentativi legislativi che si sono succeduti nel corso degli anni, sembra avere un’unica soluzione, quella del condono trasformando così l’abuso in privilegio.

In realtà, oltre a danneggiare la cultura della legalità, la logica dell’abuso favorisce lo sfruttamento dei lavoratori, il proliferare della criminalità organizzata e mette in atto un meccanismo di compromissione del territorio, causando il degrado del paesaggio e, in alcuni casi, danni idrogeologici. Le radici del fenomeno affondano nel c.d. “boom economico”, quando, intorno agli anni ’50 e ’60, il nostro paese, che era ancora prevalentemente rurale, ha registrato un’immensa espansione edilizia e un rapido processo d’industrializzazione.

Questi fenomeni hanno favorito il ricorso all’abusivismo, che rispondeva, dal punto di vista di costi e tempistiche, alle nuove esigenze. In Sicilia il primo tentativo di riordino si deve alla legge L.R 78/1976 ma, nel tempo, una sorta di regolarizzazione è avvenuta con le due sanatorie edilizie del 1985 e del 1994 e poi con un terzo condono risalente al 2003. Un successivo tentativo riordino è stato tentato con il Dl 120 del 2020, il c.d. “Semplificazioni”, che ha mirato al superamento dell’inerzia delle amministrazioni comunali in fatto di demolizioni, facendo passare la prerogativa nelle mani dello stato centrale, ossia alle prefetture.

Nello scorso mese di marzo, Legambiente ha reso pubblico un suo dossier che affronta questa spinosa tematica. Si tratta di una disamina impietosa dello stato dell’abusivismo edilizio, fenomeno che, come suggerisce Legambiente, è possibile definire “ciclo illegale del cemento”. La Sicilia è sul podio, classificandosi al terzo posto di questa negativa classifica e, contrariamente a ciò che si può pensare, il dato relativo al 2022 ci indica che nell’isola sono stati commessi ben 1.057 reati, con un incremento del 25,7% rispetto al 2021. La matematica, che non è un’opinione ci dice che ogni giorno, mediamente, vengono realizzati circa 3 abusi per i quali, sempre nel 2022, sono state denunciate 1.036 persone ed effettuati 141 sequestri.

La maglia nera siciliana spetta a due province, Messina, con 82 reati accertati e solo 12 sequestri, e Agrigento, con 78 reati cui sono seguiti 58 sequestri. Ma, dall’accertamento del reato al sequestro e alla demolizione, la strada sembra lunga e impervia. Dato costante è la mancanza delle risorse economiche necessarie per l’abbattimento e il ripristino del territorio ricordando che in Sicilia dal 2004 al 2020 sono stati abbattuti il 20% degli edifici abusivi oggetto di ordinanze. Un piccolo contributo, in realtà, è arrivato quando, nello scorso mese di maggio, il vicepresidente del Consiglio e ministro Matteo Salvini ha firmato un nuovo decreto per l’assegnazione di ulteriori risorse per il “Fondo Demolizioni” che ha previsto 40 nuovi interventi di smantellamento di cui 10 in Sicilia.

Poche risposte, purtroppo, arrivano dalla classe politica siciliana che sembra più propensa a non risolvere il problema lavorando sul concetto di sanatoria che non su quello di eseguibilità della persecuzione del reato commesso. A tal proposito, nell’ambito della discussione del Dl 499 relativo alle “Disposizioni in materia di urbanistica ed edilizia” in discussione alla IV Commissione dell’Ars, quella che si occupa di “Ambiente, Territorio e Mobilità”, è stato presentato dal capogruppo di FdI Giorgio Assenza, un emendamento che mira alla riapertura della sanatoria del 1985 permettendo l’approvazione delle domande, già presentate, per gli immobili realizzati entro i 150 metri dalla battigia fra il giugno del 1976 e il giugno del 1985. Un colpo di spugna che rischia di vanificare il lavoro delle amministrazioni comunali che, con fatica, hanno cercato di dare una risposta positiva agli abbattimenti.

Tra questi il comune di Carini, località di circa 40.000 abitanti in provincia di Palermo. “Gli abbattimenti nel comune di Carini sono iniziati nei primi anni ’90, quando ricoprivo il ruolo di Assessore ai Lavori Pubblici e all’Urbanistica – ha raccontato a QdS il sindaco Giovi Monteleone – ma, da quando sono stato eletto Sindaco otto anni fa, ho cercato non solo di dare un’accelerata ma, soprattutto, ho cercato di realizzare interventi più omogenei possibili. Purtroppo spesso siamo vincolati ai tempi delle sentenze amministrative e ai diversi pareri necessari. In realtà il contenzioso amministrativo ci fa perdere tempo prezioso. Operazioni come queste, peraltro, rischiano di vanificare tutto l’operato che le amministrazioni comunali hanno fatto in questi anni”.

In presenza di una forte volontà sembra quindi possibile, e lo dimostra il lavoro fatto in questi anni, mettere “a sistema” il problema delle demolizioni. “Ogni hanno abbiamo messo in bilancio un importo di circa 200.000 euro per le demolizioni, il che significa, in otto anni, aver destinato oltre 1 milione e mezzo di euro alla soluzione del problema. Questo ci ha permesso di ottenere dal MIT, il Ministero della Transizione Ecologica, il cofinanziamento. Oggi ci sono 6 abbattimenti in itinere e per altri 25 abbiamo già ottenuto il finanziamento necessario. Siamo però molto preoccupati dalla proposta avanzata da una parte della maggioranza in Commissione Ambiente Territorio e Mobilità anche perché, ancora una volta, incoraggia i proprietari al contenzioso, allungando ancora una volta i tempi e la nostra capacità d’intervento”.

La mancanza di tutela della legalità in campo edilizio e, più in generale, dell’ambiente, che passa anche attraverso l’abbattimento sia dei c.d. ecomostri sia delle abitazioni private costruite abusivamente, rischia di non rendere fruibile ampie parti del territorio e delle coste, creando difficoltà anche allo sviluppo turistico ed economico dell’isola.

Il presidente di Legambiente Sicilia, Giuseppe Alfieri: “Prefetture bloccate, adeguare le norme per accelerare con gli abbattimenti”

Nei giorni scorsi, l’equipaggio di Goletta Verde è stato impegnato in una navigazione verso Aspra, una località in provincia di Palermo, per chiedere l’abbattimento dell’ecomostro del Sarello. L’obiettivo era di puntare i riflettori sulla necessità di una corretta gestione del demanio marittimo in Sicilia, in concomitanza del lancio del dossier riguardante la piaga dell’abusivismo edilizio in Sicilia curato dell’Osservatorio nazionale Ambiente e legalità di Legambiente. Sulle problematiche legate all’abusivismo edilizio, il QdS ha intervistato l’avvocato Giuseppe Alfieri, presidente regionale di Legambiente Sicilia.

Presidente, sulla base del vostro rapporto pubblicato di recente il fenomeno dell’abuso edilizio in Sicilia non sembra assolutamente sotto controllo anzi, i dati evidenziano che il fenomeno è in continua crescita…
“Purtroppo sì. Ci troviamo di fronte ad un fenomeno che, anno per anno, mantiene la propria gravità. L’ultimo rapporto ‘Ecomafie’ testimonia come la Sicilia, nella classifica delle regioni italiane per numero di reati relativi al ciclo illegale del cemento, sia al terzo posto, un primato assolutamente negativo”.

Qual è la portata del fenomeno?
“Stiamo parlando, nel 2022, di quasi 4 reati al giorno. Negli ultimi anni, inoltre, questo fenomeno ha refluenze dirette anche sull’assetto del territorio. Quando si parla di abusivismo edilizio si pensa subito ai c.d. ecomostri, agli abusi a ridosso del mare ma, in realtà, ci sono moltissimi abusi che sono stati commessi ai danni del territorio in luoghi fragili, sottoposti a vincolo e in luoghi che, dal punto di visto sismico e idrogeologico, sono molto complessi e delicati e che hanno determinato situazioni gravi in tutta Italia e, in Sicilia, nel messinese, una delle province più problematiche sia dal punto di vista dell’assetto territoriale sia dell’impatto di questo fenomeno. Non a caso proprio Messina è al primo posto per numero di reati accertati nel ciclo del cemento”.

A suo giudizio, siamo in presenza di una legislazione adeguata? Perché non siamo riusciti a “mettere a sistema” gli abbattimenti?
“Dobbiamo evidenziare due aspetti. Il primo è quello relativo alla normativa edilizia, quella che regola le costruzione e la seconda è quello che regola gli abbattimenti. Su questo secondo aspetto, in Sicilia, ma la situazione non è molto diversa in Italia nel suo complesso, c’è da fare moltissimo perché stiamo parlando di poco più 900 abbattimenti effettuati a fronte di oltre 4000 ordinanze di demolizione. I fattori sono diversi, per esempio le difficoltà dei Comuni di reperire le risorse economiche necessarie, i problemi di responsabilità dei singoli. Fortunatamente non è così dovunque perché diverse amministrazioni comunali hanno dimostrato di poter essere virtuosi, anche sfruttando la possibilità di fondi specifici messi proprio a disposizione per gli abbattimenti. L’introduzione di una norma, contenuta nel Dl 120/2020, che ha dato la possibilità alle Prefetture di sostituirsi ai Comuni nella fase degli abbattimenti ma successivamente è intervenuta una circolare ministeriale che ha, di fatto, ristretto il margine di azione dei prefetti fornendo un’interpretazione restrittiva consentendo il potere di azione dei Prefetti esclusivamente sugli immobili per i quali è stato accertato l’illecito successivamente alla norma, ossia la irretroattività della norma creata. Questo ha causato, inevitabilmente, un blocco delle demolizioni per tutti quegli immobili sui quali il reato era già stato accertato. A nostro giudizio c’è bisogno di una revisione e di un adeguamento di questa norma per superare questo ‘cul de sac’”.

Oltre all’aspetto tipicamente giurisdizionale, ritenete che ci sia un aspetto culturale su cui intervenire? Quali possono essere, a vostro giudizio, le attività di formazione e divulgazione di una nuova sensibilità nei confronti di una fenomeno che, senza dubbio, affonda le sue radici in un atteggiamento illegale?
“Senza dubbio. Il nostro target deve essere quello delle nostre generazioni e dobbiamo farlo attraverso esempi concreti. Mi spiego. Quanta porzione di costa, quanti tratti di mare non sono più visibili dalle litoranee che possiamo percorrere e che, decenni fa, erano visibili e fruibili da parte dei cittadini e che non lo sono più a causa degli abusi edilizi che sono stati fatti sulle coste a meno di 150 metri dal mare e che hanno determinato un problema di legalità e di deturpazione del paesaggio, della bellezza e di sicurezza del territorio? Risulta evidente che la politica debba fare la sua parte perché se, contrariamente a quanto fanno molti Sindaci che spingono sull’acceleratore del ripristino della legalità e della bellezza dei territori con le demolizioni, altri politici continuano ancora oggi a fare proposte di condoni per sanare situazioni già ritenute insanabili e che hanno comportato da parte della Corte Costituzionale numerosi provvedimenti di bocciatura delle norme che la Regione Siciliana ha tentato, in questi anni, di portare avanti. La politica deve dare un segnale diverso perché è una questione di legalità, di giustizia sociale, bellezza e sicurezza del territorio. Oggi, anche a seguito delle problematiche ambientali legali ai cambiamenti climatici, non possiamo permetterci di perdere un solo centimetro di suolo. È in questa direzione che, da tempo, chiediamo una legge sul divieto di ulteriore ‘consumo di suolo’, perché è diventato un problema di sicurezza nazionale, di sicurezza territoriale e di sostanziale integrità non solo dei nostri territori ma delle nostre comunità”.

Il professore Cariola: “Devono prevalere le scelte dello Stato su quelle regionali”

L’emendamento al Dl. 499, attualmente in discussione nella IV Commissione, rischia, qualora fosse approvato e diventasse parte integrante del disegno legge, di scontrarsi con il controllo della Corte Costituzionale, A tal proposito QdS ha intervistato il professor Agatino Cariola, docente ordinario di Diritto Costituzionale presso l’Università di Catania.

Professore, la Regione Sicilia può legiferare in contrasto con la legislazione nazionale?
“La Sicilia ha sì competenza esclusiva in materia di urbanistica, o come si denomina oggi ‘governo del territorio’, ma ciò non le dà la possibilità di contraddire le scelte fondamentali della legislazione statale, quelli che si chiamano principi generali dell’ordinamento e norme fondamentali delle riforme. Inoltre, le leggi siciliane non possono violare e/o pregiudicare l’ambiente la cui tutela è di tutti i soggetti, ma di cui si fa carico soprattutto lo Stato. La tutela dell’ambiente è anzi nella riforma del 2001, in cui definisce una funzione che abilita lo Stato a intervenire sempre e dovunque. Non solo, tutte le volte in cui si parla di condono edilizio c’è un problema di trattamento egualitario di tutti i cittadini italiani per tutte le situazioni che possono verificarsi. Ancora una volta, cioè, devono prevalere le scelte dello Stato su quelle regionali, perché le prime sono destinate ad applicarsi sull’intero territorio nazionale”.

Nello specifico, questo emendamento sembra voler spostare in avanti di 10 anni l’applicazione di una norma precedente. E’ lecito?
“L’emendamento è redatto molto bene, perché pone un problema di coordinamento di norme regionali e ‘riapre’, per così dire, i termini della prima sanatoria, quella del 1985. In sostanza, qualora fosse approvato, potrebbero essere oggi sanati gli edifici realizzati prima dell’introduzione del c.d. decreto Galasso intervenuto a tutela dell’ambiente appunto. Significa che, dopo trenta anni, queste pratiche non si sono ancora chiuse e ci sono case al mare entro i 150 metri, al tempo costruite abusivamente, e in attesa di sanatoria. Se il Governo nazionale impugnasse la legge, difficilmente la Corte costituzionale la farebbe passare: la disciplina siciliana, infatti, risulterebbe unica in Italia”.

Dal punto di vista puramente tecnico, si tratta ancora una volta di una proposta di sanatoria mascherata da necessità d’interesse pubblico?
“Sì, l’emendamento è una sorta di sanatoria a distanza di quarant’anni”.

A suo giudizio, si potrebbe risolvere almeno in parte questa delicata questione, che riguarda interi comprensori abitativi, attraverso forme di scambio etico quali la riqualificazione e il mantenimento della qualità ambientale del territorio? Ci potrebbe essere, a questo proposito, un conforto legislativo per rendere perseguibile questa strada?
“Nessun conforto legislativo è possibile. Non credo nello ‘scambio etico’, rimango un individualista che vede tutti gli altri agire nel loro esclusivo interesse. Non c’è niente di socialmente utile da recuperare: qualcuno nei decenni scorsi si è costruito, a spese di tutti perché l’ambiente è di tutti, la sua villa o il suo villaggio sul mare e oggi vuole sanare per farlo aumentare di valore o trasmetterlo ai figli. Non si può parlare di mantenimento della qualità ambientale del territorio, proprio perché l’intervento edilizio abusivo ha stuprato e depredato il territorio. E nessuno ha mai pagato per questo, anzi chi l’ha fatto è stato particolarmente furbo. L’Italia e la Sicilia in particolare sono i mondi dei condoni, delle amnistie, delle paci fiscali, e di tutto ciò che premia furbi e delinquenti, perché chi non paga le tasse, quanti costruiscono abusivamente, chi sporca e danneggia, è un ladro di futuro. Non ho nessuna considerazione o scusanti per queste persone”.

Intervista al capogruppo di Fratelli d’Italia all’Ars, Giorgio Assenza, che ha presentato l’emendamento

L’avvocato Giorgio Assenza è il capogruppo di Fratelli d’Italia all’Assemblea Regionale Siciliana nell’attuale legislatura. A lui si deve un emendamento al Dl n.499 “Diposizioni in materia di urbanista ed edilizia” in discussione alla IV Commissione, quella che si occupa Ambiente, Territorio e Mobilità. Il QdS lo ha intervistato per meglio comprendere le ragioni e le finalità del suo, discusso, emendamento.

Deputato, ci vuole spiegare le motivazione del suo emendamento?
“Il mio emendamento, presentato a titolo personale e che non vuole impegnare né Fratelli d’Italia né il governo regionale, ha l’obiettivo di dare corso alla sanatoria del 1985 per le istanze già presentate allora e relative ad immobili realizzati entro i 150 metri dalla battigia fino a giugno del 1983. In base al condono edilizio nazionale del 1985 erano sanabili anche gli immobili realizzati entro i 150 metri dalla battigia. Tuttavia, questa possibilità in Sicilia a molti non è stata concessa, a causa di una difformità d’interpretazioni fra uffici burocratici e per un recepimento non chiaro delle norme siciliane in materia. L’art. 15 della legge regionale n. 78 del 1976 prevede che ai fini della formazione degli strumenti urbanistici generali comunali debbano osservarsi, ad eccezione delle zone A e B, alcune prescrizioni fra cui quella che le costruzioni siano ad almeno 150 metri dalla battigia. L’art. 18 della stessa legge, quale disposizione provvisoria, faceva salve le disposizioni contenute nei piani regolatori già vigenti”.

Nel 1985 però arrivò una sanatoria nazionale che fu recepita dalla Regione Siciliana…
“La sanatoria nazionale del 1985 non prevedeva alcuna esclusione per gli immobili costruiti in prossimità del mare. La Regione Siciliana la recepì ma fece salve le previsioni della propria legge del 1976. Nel primo periodo di applicazione sia i Comuni che la giurisprudenza non crearono problemi perché, correttamente, interpretavano la norma siciliana come vincolante solo per gli enti nell’adozione degli strumenti urbanistici e non per i privati. In seguito emerse un orientamento giurisprudenziale diverso e intervenne la legge regionale n. 15 del 1991 in base alla quale la legge n. 78 del 1976 deve applicarsi anche nei confronti dei privati. Da qui il caos: l’esame delle pratiche si bloccò, fioccarono le ordinanze di demolizione, ci furono migliaia di ricorsi al Tar e poi al Cga. Una disparità di trattamento evidente non solo tra la Sicilia e il resto d’Italia ma anche all’interno della stessa Sicilia: alcuni Comuni, infatti, sanavano poiché avevano PRG anteriori al 1976, mentre altri negavano il condono”.

Quanti sono gli immobili oggetto del suo intervento?
“Il tema riguarda circa 250 mila immobili in Sicilia che si trovano da 40 anni in una specie di ‘limbo’: sono quasi tutti accatastati, c’è gente che ci vive e paga l’Imu e altre imposte eppure sono abusivi, proprio perché non è stato loro concesso di usufruire del condono edilizio del 1985. Si tratta di una palese ingiustizia che a mio parere dovrebbe essere eliminata, non a caso è la terza legislatura che propongo una norma con questo obiettivo. Ho percepito un consenso diffuso e trasversale all’Ars, sono chiaramente disponibile con tutti ad approfondire l’argomento per concordare la soluzione migliore”.

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Un commento

  1. emanuele ha detto:

    nelle isole eolie, a Vulcano, nel 1991 il comune di Lipari, ha sanato baracche di ondulina, oggi attività commerciali a meno di 15 metri dalla battigia e perseguito altri ( me incluso) per reati assai meno gravi…ma in Sicilia tutto è possibile, che vergogna..

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