Accadde in marzo - QdS

Accadde in marzo

Giuseppe Sciacca

Accadde in marzo

giovedì 17 Marzo 2022

Il mese di marzo del calendario gregoriano è stato nella storia del popolo israelita, un periodo sempre carico di avvenimenti

Il mese di marzo del calendario gregoriano, rispetto al calendario ebraico è collocabile, all’incirca tra i mesi di adar e nissan ed è stato, nella storia del popolo israelita, un periodo sempre carico di avvenimenti. Il primo tra quelli che ricorderemo risale al 1492. Ferdinando II d’Aragona ed Isabella di Castiglia, sua cugina e consorte, che per intenderci è colei che ha messo a disposizione di Cristoforo Colombo le tre famose caravelle, avevano in fine conquistato Granada ed avevano così definitivamente sconfitto i mori e liberato l’Europa dalla presenza musulmana, che perdurava da sette secoli.

I due sovrani, da allora chiamati i re cattolici, con il decreto dell’Ahlambra del 29 marzo 1942 disposero la cacciata degli ebrei, che non si fossero immediatamente convertiti al cattolicesimo, da tutti i loro possedimenti. Il decreto doveva essere eseguito, perentoriamente, entro il 31 luglio dello stesso anno. Si trattava della più imponente operazione di pulizia etnica che la storia sino a quella data avesse conosciuto. In Sicilia il terribile provvedimento venne eseguito nel mese di gennaio dell’anno successivo, giacchè i nobili dell’isola avendo la percezione di quanto poteva essere disastroso, per l’economia locale, l’allontanamento degli ebrei, considerato che con loro sarebbero scomparsi tanti commerci e le molteplici attività che tradizionalmente gli stessi svolgevano e non per ultimo, si sarebbero perso pure un popolo che era avvezzo a pagare, in silenzio, ogni tributo o balzello che secondo le necessità del momento veniva imposto.

Del resto questo periodo di moratoria, che veniva accordato agli ebrei, risultava di grande utilità ai nobili che lo avevano perorato, giacché chi partiva era costretto a svendere, oltre alle proprie case, tutto ciò che aveva, essendo limitatissimo il numero delle cose che gli espulsi potevano portare con loro. Le vendite condotte in stato di necessità consentivano, a chiunque avesse danaro, di comprare a prezzi irrisori. Peraltro, agli ebrei era imposto prima di lasciare la loro terra, di regolarizzare ogni pendenza con l’erario e paradossalmente, sinanche di risarcire la corona e la nobiltà del danno che avrebbero conseguito per la riduzione delle entrate in conseguenza della loro espulsione. Pochi furono quelli che decisero di restare e convertirsi, tra questi molti finirono vittime della Santa Inquisizione, che ebbe a dubitare della genuità della loro conversione.

Per dare la misura delle conseguenze del dramma che questa turpe espulsione ha generato basta prendere ad esempio tra le città dell’isola Palermo, Agrigento e Siracusa, dove in quell’epoca, in ciascuna di questi centri abitati, vivevano circa cinquemila ebrei, e dove rimasero poche decine di convertiti. A Catania vivevano non meno di duemila ebrei, distribuiti fra le due giudecche, la soprana allocata nella zona di monte vergine, area dove attualmente si trovano Piazza Dante, il Monastero dei Benedettini e le strade limitrofe, mentre quella sottana era ubicata nella zona di Piazza Duomo, pescheria e porto. Dopo la loro partenza, per mare, in una fredda giornata di gennaio, nulla rimase nell’isola di quanto di utile, proficuo e buono avevano apportato con la loro operosità. La cacciata degli ebrei dalla cittadina etnea è raccontato con la cura e la precisazione dello storico da Andrea Giuseppe Cerra, nel libro “Gli ebrei a Catania nel XV secolo” Edizioni Bonanno.

Il 29 marzo 1516 il Senato della Repubblica di Venezia decretava che gli ebrei ovunque residenti nel suo territorio, qualunque fosse la loro provenienza, da quel momento avevano l’obbligo di vivere all’interno di un’area a loro destinata, cinta da mura, rigorosamente delimita che si trovava nei pressi di San Gerolamo, denominata “Ghetto Novo”, con obbligo di essere rinchiusi sottochiave la notte, per uscirne il mattino, con obbligo di farvi ritorno la sera. Il nome ghetto viene fatto risalire al fatto che le fonderie esistenti nella zona scaricavano in quell’area i residui della lavorazione dei metalli. Gli ebrei da sempre taglieggiati dalle imposizioni più smodate, esclusi dall’esercizio di molte importanti professioni, gravati dal divieto di avere propri immobili, da quella data avranno per tre secoli, anche l’obbligo di soggiorno in un’area cinta da mura, sovraffollata ed insana. La parola ghetto da quel momento diventerà sinonimo di segregazione. Bisognerà attendere le truppe napoleoniche nel luglio del 1797 per avere l’abolizione dell’obbligo di risiedere nel ghetto e dell’egualmente odioso obbligo di portare sugli abiti un simbolo che distingueva gli ebrei dagli altri cittadini. La vita nel ghetto, i suoi costumi, le tradizioni e le tante vicende degli uomini che vi abitavano sono narrate nel libro “La storia del Ghetto di Venezia” di Riccardo Calimani, Ed. Mondandori.

Il 29 marzo 1948, Carlo Alberto re di Sardegna, sul campo di battaglia di Voghera, firma il decreto con cui vengono riconosciuti, per la prima volta, agli ebrei pari diritti civili rispetto a tutti gli altri cittadini, così come era avvenuto nel precedente mese di febbraio, per i cittadini di fede protestante Valdese. Queste disposizioni che ponevano fine a secoli di discriminazioni per motivi religiosi vennero chiamate “Regie Patenti”, davano luogo all’emancipazione degli ebrei, consentendo loro di poter accedere a tutti i corsi scolastici ed universitari. I diritti politici saranno riconosciuti nel successivo mese di giugno con la c.d. “legge Sineo” che stabilì che la differenza di culto non incide sul godimento dei diritti civili e politici, e quindi, alla ammissione alle carriere civili e militari. Re Carlo Alberto che nello stesso periodo farà del Regno di Sardegna una monarchia costituzionale e che come la storia ricorda come persona incerta ed indecisa, venne incoraggiato a questo passo dal fatto, che pochi giorni prima della firma del decreto, 150 cittadini torinesi di fede ebraica si erano presentati a Chivasso per unirsi ai volontari per prendere parte alla guerra di indipendenza contro gli austriaci. Questo riconoscimento di diritti civili venne ben visto dal primo ministro Camillo Benso conte di Cavour, che immediatamente introdusse, nella sua segreteria, un ebreo. Per un primo approccio alla conoscenza del periodo storico è di grande utilità il libro di Paolo Pinto “Carlo Alberto (Il Savoia amletico)” Ed. Bur.

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