Acqua e zammù? A Palermo più di una bibita all'anice, le curiosità - QdS

Acqua e zammù? A Palermo più di una bibita all’anice, le curiosità

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Acqua e zammù? A Palermo più di una bibita all’anice, le curiosità

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domenica 04 Luglio 2021

Tutto quello che c'è da sapere sulle origini e l'uso della famosa "acqua e zammù", noto "elisir" del Palermitano.

Se, accolti in casa di palermitani, vi verrà offerto, quasi come si trattasse di una pozione magica, un bicchiere colmo di acqua su cui galleggia una nuvoletta di anice cui seguirà la classica domanda –  dando per scontata la risposta affermativa –  “Gradite acqua e zammù ?”, non stupitevi.

Acqua e zammù

A Palermo, infatti, offrire acqua e anice è molto più che  proporre una bibita rinfrescante. Si tratta di un’ usanza antica, un rito che si tramanda da generazioni accompagnando la calura dei mesi estivi e conservando il ricordo del refrigerio ottenuto anche durante i mesi invernali.

Sebbene, per chi non è palermitano, il termine zammù possa apparire incomprensibile, in realtà esso deriva dal termine sambuco e rappresenta un’antica consuetudine che i palermitani erano soliti offrire come digestivo, a fine pasto, accompagnandolo con la cosiddetta “mosca” ossia un chicco di caffè inserito all’interno del bicchierino.

Il beneficio che si trae dalla semplice vista, prima ancora che dall’assaggio, di quella “nuvoletta” biancastra che si crea sulla superficie di un bel bicchiere colmo di acqua gelata,  suscita un conforto che non ha eguali, ben noto ai palermitani soprattutto durante la calura estiva.

In origine questo prezioso “elisir” era ottenuto distillando semi e fiori di sambuco, detto zambuco e da qui la parola zambu e zammù e fu importato in Sicilia dagli arabi diffondendosi presto in ogni casa contandina per correggere e disinfettare l’acqua delle cisterne e dei pozzi.

Grazie alla capillare opera dell’acquaiolo (acquavitaru) l’acqua potabile veniva resa più dissetante da questo ingrediente che la rendeva quasi una “pozione magica” contro l’arsura delle giornate afose. Il suo arrivo era annunciato dal tipico abbannìo (grido) “acqua frisca ca è bella gilata. e s’un è frisca tirati ‘u bicchieri nn’all’aria” ovvero “acqua fresca che è bella gelata, e se non è fresca buttate il bicchiere in aria”.L’ attività dell’acquaiolo si svolgeva in tutte le stagioni, attrezzato con un piccolo deschetto di legno (tavulidda), genere di sgabello, sul quale erano posti, fermati da un cordoncino di rame i bicchieri di vetro e dei piattini di rame per accompagnare il bicchiere, un colino per il succo di limone, e perfino i lampioni per la luce della sera, che rendevano il tutto ancora più allettante. www.caponataweb.com[/caption]

Il deschetto era decorato con i colori vivaci, tipici dei carretti siciliani e addobbato con gli identici pendagli e nastri, al fine di rendere più piacevole la lunga sosta dei clienti in attesa. La brocca (quartara) era in coccio e aveva il vantaggio di mantenere fresca l’acqua al suo interno,  alla cui imboccatura era fissato un “cannolu” di rame per agevolare la “mescita”.

L’acquaiolo aveva il pantalone destro avvolto da un gambale di cuoio dove appoggiava la brocca per riempire il bicchiere, con gesto rituale si preoccupava di disinfettare il bordo del “gotto” (bicchiere) e vi faceva colare un filo di zammù, da lui realizzato, da un’apposita ampolla dotata di un lungo e sottile “beccuccio” ramato, eseguendo il tutto con una velocità e abilità degne di un  prestigiatore.

Andava in giro anche nei giorni festivi prediligendo i luoghi più affollati, ville e le piazze, la passeggiata “alla marina”, al “cassaro”, a volte poi sostava in un luogo fisso, così nacquero i chioschi che offrivano refrigerio agli avventori alla modica cifra di venti o trenta centesimi.

Inizialmente si trattava di strutture piuttosto precarie, successivamente divennero di muratura e, chi poteva permetterselo, si rivolgeva ad architetti che realizzavano progetti di in stile liberty, secondo la scuola di Ernesto Basile, massimo esponente del liberty europeo, la cui fama varcò di molto i confini dell’isola.

Ancora oggi sparsi per la città rimangono diversi chioschi che oltre ad offrire l’acqua e zammù, smerciano ogni sorta di bibite. I loro chioschi sono sempre addobbati come una volta, incorniciati da limoni e arance.

Nel lontano 1813 all’interno di una tabaccheria ubicata nella piazza della Fieravecchia, oggi piazza della rivoluzione, di proprietà della famiglia Tutone, iniziò la produzione dell’anice unico, a livello industriale, s’imbottigliò in una particolare bottiglia nella cui etichetta, di colore giallo-oro bordata di rosso, fu riprodotta l’effige della statua del vecchio genio Palermitano, dove si sviluppò questa tradizione veramente “geniale”. Il chiosco attiguo al locale, divenne punto di ritrovo di gente d’ogni classe sociale, perfino dall’aristocrazia palermitana che vi si recava per dissetarsi con l’acqua e zammù.

Da allora non esiste casa palermitana in cui nella credenza non sia conservata una bottiglia, dalle dimensioni variabili, del prezioso elisir da bere durante i pasti, soprattutto estivi, e a fine pasto come digestivo. Il suo gusto fresco, oltre ad aiutare la digestione, esalterà il gusto di tutte le pietanze estive tipiche della tradizione siciliana, dalla classica pasta al pomodoro e melanzane, alla parmigiana, e di qualsiasi pietanza abbia un gusto piuttosto deciso che necessiti di essere “alleggerito” da una bibita fresca e dissetante. 

In ogni caso, in qualsiasi momento, ricordatevi che è sempre bene rispondere “sì” alla domanda “Gradite acqua e zammù”?

Manuela Zanni

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