Una bottiglietta piena di benzina. Senza alcun messaggio allegato per dare contesto a quel ritrovamento. Cinque mesi dopo la scoperta della denuncia che – come raccontato dal Quotidiano di Sicilia a dicembre scorso – due fratelli imprenditori di Adrano avevano fatto alla polizia, ammettendo di essere stati avvicinati da un uomo che, in rappresentanza del clan Scalisi, aveva tentato di imporre il pizzo sui lavori per la realizzazione di una scuola ad Aci Sant’Antonio, un altro fatto inquietante è accaduto.
La vicenda, rimasta senza sviluppi per l’impossibilità di risalire all’autore, è contenuta nelle carte della nuova inchiesta che ha colpito il gruppo criminale legato alla cosca Laudani.
Nell’indagine, che coinvolge a vario titolo una quarantina di persone, la metà delle quali finita in carcere, trovano spazio i tentativi di soffocare l’imprenditoria locale nella morsa del racket. Le azioni criminali non sempre sono andate in porto, ma ciò non ridimensiona la portata del fenomeno.
Una risposta ritardata
“Il pubblico ministero segnala non essere stati acquisiti elementi per individuare gli autori – come spesso accade – Tuttavia, vi ravvisa il rinnovarsi dello schema ritorsivo di tipica matrice mafiosa nei confronti degli imprenditori che hanno osato denunciare un loro sodale e, dall’altro, in una reiterazione della richiesta estorsiva”.
È con queste parole che la gip Simona Ragazzi prende atto dello stallo in cui l’attività investigativa scaturita dalla nuova denuncia sporta dai titolari della società Italvie, attualmente coinvolta nelle vesti di subappaltatore o fornitore in numerosi cantieri in Sicilia, tra i quali la metropolitana Misterbianco-Paternò, la Bronte-Adrano e la diga di Pietrarossa.
Ben più elementi, invece, gli inquirenti hanno trovato su altri episodi. A essere coinvolto quasi sempre è stato Andrea Stissi, figlio di uno storico esponente del clan Scalisi e considerato uomo di fiducia del boss Alfredo Di Primo, che, dopo 27 anni di carcere, nel 2021 è tornato in libertà riprendendo subito le redini della cosca.
Stissi è la persona che nell’autunno dello scorso anno avvicinò gli imprenditori di Italvie, venendo arrestato poi alcune settimane dopo.
L’incontro
Tra i tentativi di estorsione ricostruiti nell’indagine ce n’è uno che ha riguardato una nota azienda di legnami.
L’11 marzo 20224, Di Primo e Stissi si sono presentati all’ingresso dello stabilimento e, dopo avere atteso il titolare, precedentemente avvertito della volontà di avere un incontro, gli hanno chiesto di lasciare il cellulare e di uscire fuori. I due, tuttavia, non sanno che ad ascoltarli erano le microspie installate sui loro telefoni.
“Allora, come siamo combinati? Dobbiamo cercare di sistemarla questa cosa, perché se no qua va a finire a tarallucci e vino”, afferma Di Primo. L’ex ergastolano prima detta le condizioni generali a cui l’imprenditore si sarebbe dovuto attenere – “una volta l’anno, ci fai un regalo” –, poi si spinge oltre: “A me ora interessa un’altra cosa”.
Stando alla ricostruzione degli inquirenti, Di Primo e Stissi avrebbero ambito da un lato a inserirsi nel settore dei trasporti provando ad accaparrarsi “i viaggi” che dal Nord servivano a rifornire l’azienda adranita, dall’altro avrebbero voluto imporre il pizzo sulla costruzione di decine di villette che l’imprenditore era in procinto di eseguire insieme ad altri soci.
“Ancora non li hai sbloccati i lavori, quelli di fronte di Carmelo”, chiede Stissi, ricevendo come risposta una scusa: inghippi burocratici con gli uffici comunali avevano rallentato la partenza del cantiere.
La paura
Tornato dai familiari, impauriti per quell’insolito incontro, la vittima si chiede come fosse stato possibile che gli esponenti del clan avessero saputo del progetto edilizio.
Nelle settimane successive, Stissi tornerà a più riprese a chiedere informazioni, dicendosi anche pronto a sollecitare proprie conoscenze all’interno del Comune per sbloccare le pratiche. I parenti dell’imprenditore, invece, sarebbero arrivati al punto di immaginare di abbandonare tutto e lasciare Adrano. “Io me ne andrei da questo paese, me ne andrei”, diceva la moglie della vittima.
“La conversazione – ha scritto la giudice per le indagini preliminari – appare di assoluto rilievo perché prova la paura e lo sconforto nel quale sono costretti a lavorare gli imprenditori della zona e come gli stessi considerino quasi ineluttabile l’essere sottoposti ad estorsione e si vedano costretti a pagare ben sapendo i gravi danni che gli indagati potrebbero arrecare loro”.

