Aldo Baglio su Netflix con "Una boccata d'aria": intervista all'attore siciliano

Aldo Baglio su Netflix con “Una boccata d’aria”: l’intervista al comico siciliano

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Aldo Baglio su Netflix con “Una boccata d’aria”: l’intervista al comico siciliano

Sandy Sciuto  |
venerdì 28 Ottobre 2022

Dopo “Scappo a casa”, per l'attore siciliano è il secondo film da protagonista senza Giovanni e Giacomo. Una scommessa vinta.

Dopo essere approdato in sala lo scorso 7 luglio, “Una boccata d’aria” è arrivato su Netflix dove, da qualche settimana, il film si mantiene nella Top Ten dei film più visti sulla piattaforma.

Il film, diretto da Alessio Lauria racconta la storia di Salvo che, dopo aver saputo che il padre con cui non ha alcun rapporto da diverso tempo è morto, lascia Milano e parte alla volta della Sicilia, la sua terra natìa. Il reale obiettivo dell’uomo è convincere il fratello Lillo a vendere il casale di famiglia così da usare i soldi per salvare la sua pizzeria, prossima al fallimento. Riuscire nell’intento si rivela un compito davvero arduo e Salvo si ritroverà costretto a fare i conti con le scelte prese nel corso della sua vita.

È Aldo Baglio ad interpretare il personaggio di Salvo nonchè a firmare la sceneggiatura con Valerio Bariletti, Morgan Bertacca e lo stesso regista per un film che parla di radici e rinascita con un cast di attori del calibro di: Lucia Ocone, Giovanni Calcagno, Ludovica Martino, Marcello Mazzarella, Manuela Ventura e Tony Sperandeo.

Dopo “Scappo a casa”, è il secondo film da protagonista per Aldo Baglio senza i colleghi del trio Giovanni e Giacomo. Una scommessa vinta per il comico e attore siciliano che commenta: “Mi auguro che il film abbia così tanto successo da poterne fare un altro”.

“Una boccata d’aria” è arrivato su Netflix da qualche settimana. È nella Top Ten dei film più visti sulla piattaforma. Vi aspettavate questa accoglienza?

Ci speravamo. Già quando ho visto che eravamo nella Top Ten al settimo posto ero molto contento. Poi immagino ci sia stato un passaparola, ha scalato fino ad arrivare al secondo posto. Questo ha fatto felice non solo me, ma anche tutti quelli che hanno partecipato a questa avventura.

In “Una boccata d’aria” lei interpreta Salvo, emigrato a Milano tanti anni prima dove ha aperto una pizzeria ma si ritrova pieno di debiti. È il secondo film da protagonista e senza il trio: perché ha sentito l’esigenza di scrivere questa sceneggiatura con Valerio Bariletti e Morgan Bertacca e di interpretare Salvo?

Non siamo partiti dalla storia, ma dal profilo di Salvo e abbiamo cercato di movimentarlo. Nella nostra testa doveva passare delle difficoltà e abbiamo perseverato in questo senso fino a quando si è costruita una storia interessante. C’è un cambiamento di vita con il trasferimento di residenza. Un ritorno a una terra che Salvo ha dimenticato, ma la terra non si è dimenticata di lui. Salvo deve solo accettare che le cose sembra precipitino, in realtà è un’ulteriore chance della vita, una rinascita, un ritrovare una libertà intellettuale da parte di tutti.

Cosa ha in comune Aldo Baglio con il personaggio Salvo?

(Ride ndr) Casualmente, durante la pandemia, anch’io sono ritornato a vivere in Sicilia. Abbiamo in comune la famiglia: mi sono attorniato di attori e attrici che conformavano la mia famiglia. E poi l’insonnia. Anche se è trattata molto poco, ho vissuto anche quella e l’ho inserita nel film.

Nel film c’è un cast molto siciliano, tranne qualche eccezione, e anche la colonna sonora è di un cantautore siciliano.

Per tutto quello che si svolge in Sicilia è giusto anche chiamare degli attori del posto perché dobbiamo rendere credibile il tutto. Tony Sperandeo è un mostro, non c’è dubbio. Io mi sono anche innamorato di Giovanni Calcagno che è bravissimo. Secondo me c’è una compatibilità fantastica tra noi. Della Ocone lo sapevamo già. I ragazzi funzionano. Manuela Ventura che sembra faccia una parte piccola, invece è spalmata per tutto il film ed è fantastica. Ho voluto bene a tutti in questo film.

Nel film, Salvo è proprietario di una pizzeria che faceva parte di un sogno da bambino più grande e che avrebbe dovuto vedere coinvolto anche il fratello. Parliamo di sogni: quanto contano per lei?

Ho sempre sognato poco. Da ragazzino sognavo di vincere alla lotteria o al totocalcio. Non avevo delle velleità di lavoro che poi è venuto da sé. Nel momento in cui è capitato, mi sono detto “Proviamoci” e ha funzionato, ma non c’è stata mai la speranza di dire domani farò l’attore. Quando mi sono trovato ad essere tale, ho detto “Grandioso” se riusciamo ad avere un nostro zoccolo duro, riusciremo ad avere spazi teatrali e ad essere riconosciuti. Poi la vita è andata meglio per cui io non l’ho sognato, io ho vissuto il sogno. È diverso.

Nel film un proverbio siciliano la fa da padrone: “Beato quell’uccello che fa il nido al suo paese.” Per lei è una verità, mezza verità o una bugia?

Beh, il tuo paese ha una cultura, una ricchezza interiore. Quando vai all’estero, la perdi un po’ perché inizi a impregnarti della cultura del paese in cui ti trovi. Tutte le culture hanno un’impronta. Per quanto mi riguarda, sono nato a Palermo, ho sempre vissuto a Milano ma Palermo non l’ho mai dimenticata. Sono figlio di entrambe le culture. Ho sempre avuto un forte imprinting siciliano. Mi sono sempre tenuto stretto il dialetto che ho recuperato dai miei genitori e parenti. Sono anche figlio di Milano, però, perché mi ha dato la possibilità di fare il lavoro che faccio e quindi gli devo molto.

Qual è una sua boccata d’aria nella vita personale e una nella vita professionale?

La mia boccata d’aria personale è la famiglia, il posto in cui mi rifugio. È la mia difesa, il mio scudo. La mia boccata d’aria professionale è riuscire ad essere libero a 360 gradi e fare quello che voglio. Ho già cominciato a farlo e spero di non smettere più.

Una carriera ultratrentennale, c’è qualche rimpianto?

Credo che la strada percorsa mi abbia portato qui oggi, al presente. Ciò che sto facendo nel presente lo devo a tutto quello che è successo prima. Non rinnego nulla, anzi. Se dovessi tornare indietro, vorrei si ripetessero tutti gli eventi che si sono succeduti.

È innegabile che lei è entrato nella storia della comicità italiana. Come nasce una battuta che diventa un cult?

Tu dici il tormentone? Beh…è una cosa che fa abbastanza ridere e si prova a riprodurre lo stesso effetto fino magari a non poterne più. Alcuni tormentoni possono essere fastidiosi. È una parte della comicità che dà serenità alla gente perché ti riconosce attraverso quello. Però è impossibile da spiegare la comicità. Ce l’hai o non ce l’hai. Sai vederla oppure no. Ma spiegare perché una cosa fa ridere è un po’ un mistero.

Cosa la fa ridere?

Tutto mi fa ridere, figurati. Rido di qualsiasi cosa: di una faccia, di un tentennamento di una persona, su cose infantili, cose macabre. Non è cambiato niente per me. Non perché faccio il comico, devo vedere solo comicità di alto livello. Anzi mi piace buttarmi tra la folla e non essere riconosciuto perché mi piace osservare.

È facile o difficile fare oggi comicità?

Secondo me il comico rimane comico. I momenti storici cambiano. Oggi non mi sembra che abbiamo una trasmissione come “Mai dire gol” piuttosto che come Arbore. Erano trasmissioni più goliardiche, fatte col cuore. Mi sembra che oggi vengano a mancare delle produzioni televisive che danno spazio al comico. Oggi il comico se si presenta su un palcoscenico in televisione diventa seriale, non diventa più libero. Noi abbiamo avuto la fortuna di fare “Mai dire gol” dove ci si esprimeva con libertà. Il talento tra i giovani è sempre esistito. Prima c’erano delle palestre, adesso non ci sono più.

Chi le piace dei comici attuali?

Uno che meritava più successo di quello che ha avuto per me è Maccio Capatonda. Poi Michele Forrest, Raoul Cremona. Tutta gente che fa parte dei miei anni. Sono molto legato a quel mondo degli anni ’80 quindi penso anche a Paolo Rossi, I Comedians. Poi c’è un comico che ho scoperto in questi ultimi tempi. Si tratta di Andy Kaufman. Ho visto il documentario con Jim Carrey su Netflix. Mi ha sconvolto e mi ha anche cambiato la vita. È una persona fuori dai canoni del comico.

Lei è nato in Sicilia anche se da piccolo è emigrato con i genitori. È tornato ad abitarci. È un siciliano nostalgico?

La nostalgia rimane attaccata all’infanzia. Per rivivere quelle nostalgie dovrei ritornare bambino. Adesso vivo in Sicilia quindi non posso avere nostalgia della terra, forse dei tempi sì.

Di recente ci sono state le elezioni regionali: cosa spera per la Sicilia?

Bah…cosa spero per il mondo. Il problema è che in questo momento di speranza ce n’è poca. Ci sono molte cose che stanno andando in una direzione di un futuro che non mi piacerà.

È ancora tanto tifoso dell’Inter?

Siiii, certo. Oramai sono tifoso dell’Inter, del Monza, del Palermo. Non sono un malato di calcio. Se non guardo la partita, vado a vedere il risultato. L’Inter ha fatto un buon campionato: è arrivata seconda. Ha dato delle soddisfazioni. Il Monza è andato in Serie A, il Palermo in Serie B. Il Monza sta macinando dei risultati positivi. Per l’Inter il campionato è ancora lungo. Poi c’è un Napoli strepitoso. Io sono sportivo, non sono solo tifoso. Se deve vincere qualcuno quest’anno, probabilmente è il Napoli perché continua ad avere questo gioco fantastico. Sono anche abbastanza obiettivo nel senso che non mi scaglio contro gli avversari. Prima di essere tifoso, sono per lo spettacolo.

Ho visto che ha i social ma non li usa: come mai?

Perché sono un uomo dei primi del ‘900 io. A me devi dare una pietra e uno scalpello e posso scriverti delle cose. Il computer e i telefonini mi mandano fuori di testa. Quando ho bisogno, chiedo sempre ai miei figli perché non mi so muovere. Lo temo molto come oggetto perché mi deprime e ne ho timore. Hai una conoscenza a portata di mano ogni volta che vuoi. È fantastico da questo punto di vista, ma dall’altra siamo diventati un po’ schiavi. Questa cosa mi rende refrattario. Di conseguenza, sto lontano dai social.

Dalla conversazione che abbiamo avuto, ho percepito che la popolarità le ha dato ansia nella vita. È una mia sensazione o c’è qualcosa di vero?

Tutti, nessuno escluso, passano da questa cosa qui ossia che il successo ad un certo punto dà ansia. Quindi hai bisogno di capire chi sei, dove sei messo, dove devi cercare per alleggerire questo peso. All’inizio, quando è esploso il successo con “Tre uomini e una gamba”, io ero abbastanza chiuso in casa. Avevo il terrore di uscire. Quando uscivo, le persone arrivavano quando mangiavo e chiedevano una foto. Io dicevo di no perché stavo mangiando, ma le stesse persone rispondevano che non mi avrebbero più guardato perché ero una brutta persona. Io magari gli ridevo pure in faccia, diventavo pure cattivo, facevo il gradasso ma poi non riuscivo a dormirci la notte. Nella vita hai delle fasi che ti possono aiutare, in cui devi capire o in cui ti sei smarrito. e, ad un certo punto, è arrivata l’illuminazione. È più facile dire di sì. Vuoi fare la foto? Ma sì, volentieri. È più appagante se tu sei libero. L’ho capito dopo e adesso non ho più paura di uscire né di affrontare la gente. L’ho superata. Ho trovato un mio equilibrio.

Comico, attore, sceneggiatore: cosa manca che vorrebbe realizzare?

Voglio continuare a guardarmi dentro e fare cose che per me sono anche terapeutiche. Mi manca di fare il regista, ma non lo farei mai perché non fa parte della mia competenza. Vorrei solo approfondire ciò che già so fare. E sto già facendo ciò che so fare. È già un sogno che realizzo giorno per giorno.

Sandy Sciuto

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