"Controlli più semplici ed uniformi grazie alla digitalizzazione" - QdS

“Controlli più semplici ed uniformi grazie alla digitalizzazione”

Valerio Barghini

“Controlli più semplici ed uniformi grazie alla digitalizzazione”

martedì 27 Luglio 2021

Giuseppe Busia, ospite del QdS per il 2.921° forum con i Numeri Uno. “Ma anticorruzione significa anche avvalersi di un apparato competente”

Presidente Busia, l’Anac è un ente nato nel 2014. Pensando a sette anni fa, però, si ha l’impressione che la mole di lavoro e di competenze sia aumentata.
“È così. E ora, nell’era post pandemica, è ancora più evidente: con il Pnrr, infatti, molto passerà attraverso i contratti pubblici e vi è la necessità che questi vengano controllati. Anac ha un enorme potenziale che io ho chiesto di rafforzare”.

Ma non c’è il pericolo che troppi controlli siano controproducenti rispetto all’esigenza di snellire le procedure?

“Certamente un rischio di sovrapposizione esiste. I controlli, però, vanno concentrati dove servono affinché non diventino un onere e un peso per chi li fa (che spreca inutilmente risorse e forze che potrebbe dirottare altrove) e per chi li riceve. In questo senso la digitalizzazione e le banche dati nazionali, fortemente da me volute fin dal mio insediamento, costituiscono strumenti importanti, consentendo controlli più semplici e uniformi. Addirittura, per mezzo delle banche dati le stesse amministrazioni possono autocontrollarsi. Un altro ambito che Anac sta implementando è la cosiddetta ‘vigilanza collaborativa’, già esistente per la materia contrattuale e che stiamo estendendo alla trasparenza. In sostanza, l’Autorità si pone a fianco delle amministrazioni, fidandosi della discrezionalità del funzionario il quale, spesso, si trova di fronte a norme poco chiare. Una discrezionalità che, anche attraverso leggi comprensibili, consenta di formare pool di buoni amministratori capaci, che hanno presente il range entro il quale agire e che possono spendere bene i soldi pubblici. Perché anche questo è anticorruzione: avvalersi di un apparato selezionato e competente, investendo in persone capaci, che concepiscono come un onore il ‘servire per il bene collettivo’. Anac offre un presidio di legalità, verificando che le regole siano applicate in modo corretto. Anticorruzione, oggi, non significa solo contrastare il passaggio delle cosiddette ‘mazzette’”

Un concetto innovativo.
“Assolutamente sì: i tempi si accorciano e i soldi pubblici vengono spesi meglio. Anac in questo momento è il guardiano della spesa positiva e puntuale. D’altro canto, oggi, chi amministra, si confronta con cittadini più esigenti e più controllanti rispetto a una volta e che attraverso un semplice computer di casa possono collegarsi alla rete e vedere come sta gestendo quel Sindaco o quel Governatore. L’amministratore non è una sorta di sovrano seduto sul trono che decide e che poi fa calare dall’alto il proprio verdetto. La democrazia non è quella cosa che si fa viva ogni cinque anni, il giorno delle elezioni: la si esercita durante tutto il mandato attraverso lo strumento del controllo che, a sua volta, lo si pratica attraverso la partecipazione. Perché in una società sempre più complessa il sapere e il decidere non è prerogativa del solo eletto ma diventa una sorta di bene collettivo. Gli istituti su cui Anac lavora servono anche a questo: ad accrescere il livello di democrazia e partecipazione civica. Un aspetto che riduce l’opacità su cui vive e si alimenta la corruzione”.

La banca dati nazionale da lei caldeggiata è una realtà?
“In parte sì. È qualcosa che stiamo potenziando e che, già come è strutturata adesso, l’Europa ci invidia. Non si tratta, infatti, di una mera raccolta di dati ma è una sorta di interconnessione con le altre banche dati sulla base di elementi standard. Nell’ottica di digitalizzazione e semplificazione, infatti, le informazioni devono essere interoperabili. Quando viene fatta una gara, come primo step verifico i requisiti dell’impresa, cioè se essa sia in regola con i pagamenti di tributi e contributi. Con la banca dati nazionale io mi collego all’Agenzia delle Entrate e verifico la parte tributaria; entro nel sito dell’Inps e controllo che sia a posto con il versamento dei contributi previdenziali; mi connetto al Casellario giudiziale e appuro l’esistenza o meno di carichi pendenti. Si crea a livello nazionale un unico elenco che, grazie ad Anac, svincola sia l’amministrazione che l’impresa che possono così concentrarsi sulla gara, ottimizzando tempi e risorse. Addirittura, è prevista la possibilità per l’amministrazione pubblica, dopo che ha fatto l’intervento, di aggiornare la banca dati nazionale. Per il resto, l’amministrazione non deve fare altro che usare le piattaforme già esistenti. Ovviamente, però, è necessario un processo di digitalizzazione che passa attraverso la reingegnerizzazione della Pubblica Amministrazione. La quale deve imparare ad usare le tecnologie al pari dei grandi giganti del web. Attraverso la conoscenza dei dati e la verifica degli indicatori posso capire se sto spendendo bene i soldi pubblici e dove c’è, eventualmente, una sacca di corruzione. Che, ribadisco, non significa necessariamente solo giro di ‘mazzette’”.

Le amministrazioni pubbliche, a tutti i livelli, sono collaborative con questa nuova concezione di Anac?
“Alcune sacche di resistenza ancora si incontrano, sia di tipo culturale sia come diretta conseguenza di interessi privati, sebbene questa seconda casistica stia diventando minoritaria. A prescindere dalla ‘tipologia’, si tratta di resistenze che sicuramente vanno scardinate in modo definitivo, soprattutto alla luce della gestione post pandemia: le risorse messe a disposizione dal Pnrr sono ingenti ma non infinite e, comunque, sono debito che si scarica sulle generazioni future. Ma proprio perché tale dobbiamo investirle bene, altrimenti non rende e consegniamo ai nostri eredi un fardello. Per cui abbiamo il dovere di spendere bene e con razionalità questi soldi. Un altro raggio di azione di Anac, ad esempio, è quello della verifica della congruità del prezzo. Molti, soprattutto in tempi di emergenza come quello che stiamo vivendo, si trovano ad acquistare beni o servizi a prezzi fortemente oscillanti. All’inizio viene stipulato un contratto di cui se ne paga una parte. Dopodiché viene chiesto un parere ad Anac che, se negativo, porta a un taglio del prezzo. Un altro strumento, poi, da me fortemente voluto è il Portale Unico della Trasparenza che consente di non disperdere i dati e di farli confluire su un unico sito. Questo permette che le informazioni diventino confrontabili e di comprendere cosa funziona e cosa no. Il Portale, poi, diventa anche occasione di confronto sull’operato delle singole amministrazioni e di scambio delle migliori pratiche, perfezionando così l’azione al servizio dei cittadini. A un amministratore importa poco sapere che un bene è stato pagato 10 euro. Gli interessa, piuttosto, appurare quanto l’hanno pagato gli altri per vedere se ha fatto bene e se può fare meglio”.

Si è parlato di semplificazione e ottimizzazione di tempi e risorse. Qual è la sua opinione riguardo al Codice degli appalti?
“Per quanto riguarda il Codice, noi, di fatto, stiamo applicando tutte le regole di derivazione europea, adattandole alla realtà italiana. Non nego che questo, alcune volte, abbia comportato l’introduzione di alcuni aspetti che, anziché snellire, hanno complicato le cose. Problematiche sulle quali, però, bisogna intervenire con il bisturi e non con l’accetta, andando a smussare qualche spigolosità di troppo. Alcune modifiche sono state proposte proprio da Anac, come la già menzionata banca dati nazionale dei contratti pubblici o il fascicolo dell’operatore economico, una sorta di ‘cruscotto’ attraverso cui il cittadino può verificare e valutare l’operato della Pubblica amministrazione, chiedendone poi conto: se si vede che un Sindaco non sta spendendo bene i soldi, se si candida alla tornata elettorale successiva i cittadini non lo rieleggono. Attenzione, però: con eccessivi interventi normativi non si risolvono i problemi. Men che meno in un Paese in cui le leggi, sovente, vengono scritte in maniera criptica e poco chiara. Ciò che serve non sono continue e nuove regole (in tal senso il Codice dei contratti pubblici è un cantiere a cielo aperto, con norme che, spesso, non trovano attuazione) ma dare alle amministrazioni ‘gambe’ e risorse, mettendole in condizione di porre in essere le riforme. Ma per fare questo è sufficiente applicare quanto già esiste”.

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