Non una lite, neanche un battibecco, alla peggio un confronto. Passata la nottata, il racconto di quanto accaduto nelle scorse ore in commissione Bilancio all’Ars sembra assumere tinte pastello. Eppure tra chi c’era – tanto tra quelli rimasti fino a notte fonda quanto fra coloro che, fattesi le 21 del 9 novembre, hanno abbandonato la seduta – non manca chi assicura ci siano stati toni accesi. A scatenare la tensione, nel corso dell’esame del maxi-emendamento incentrato sulla distribuzione di sussidi a Comuni e associazioni, sarebbe stato l’articolo 4 del testo concernente un’interpretazione autentica di alcuni passaggi di una legge regionale del 1951, quella che tratta l’elezione dei deputati all’Ars.
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Nello specifico l’intervento chiarificatore riguarda il tema dell’ineleggibilità, lì dove prevede che non sono eleggibili “gli amministratori e i dipendenti con funzioni di rappresentanza o con poteri di organizzazione o coordinamento del personale, di istituti, consorzi, aziende, agenzie ed enti dipendenti dalla Regione ovvero soggetti alla sua tutela o vigilanza”. La proposta è quella di sanzionare solo chi esercita tali funzioni e poteri “unicamente in istituti, enti, consorzi e agenzie che abbiano un rapporto di dipendenza con la Regione Sicilia” e che dunque “siano sottoposti alla tutela e al controllo dell’ente territoriale”; non riguardando invece chi opera in enti nei confronti dei quali la Regione ha “un rapporto di mera tutela e vigilanza”. Materia per amministrativisti che però, secondo qualcuno, potrebbe essere ridotta a questo: un tentativo di salvare lo scranno di Dario Daidone, l’esponente di Fratelli d’Italia che, dall’indomani del voto, è incalzato da Carmelo Nicotra, il primo dei non eletti nel collegio di Catania.
Stando a quanto appreso dal QdS, la tensione sarebbe salita dopo che Luca Sammartino – assessore con delega ai rapporti con l’Ars e principale riferimento leghista tra i deputati catanesi – avrebbe comunicato via telefono con Michele Catanzaro. Il dialogo avrebbe riguardato anche l’inopportunità di sostenere la norma sull’interpretazione autentica. Una sollecitazione che sarebbe stata colta da Marco Falcone – assessore al Bilancio e figura forte di Forza Italia nell’area etnea – che avrebbe reagito con stizza, chiedendo un faccia a faccia con l’esponente Dem.
Confronto che non è avvenuto sottovoce e, per questo, colto da diversi tra i presenti: Falcone non avrebbe gradito la richiesta di Sammartino e, soprattutto, la disponibilità mostrata da Catanzaro. Come a dire: l’unità d’intenti trovata sulla ripartizione a pioggia delle risorse andava salvaguardata anche per gli altri passaggi del maxi-emendamento, compreso l’articolo 4. Alla fine, però, è andata che il Pd ha lasciato la seduta e la commissione è andata avanti fino a tarda nottata, quando Falcone ha invitato i rimasti a un selfie di gruppo: “Passata la mezzanotte. Conclusi i lavori in commissione, un selfie ci sta. Oltre i partiti… Buonanotte Sicilia”, ha scritto l’assessore.
Il giorno dopo, però, gli animi sono quasi tutti pressoché cheti: “Nessun litigio con Catanzaro, si è discusso soltanto della possibilità di tenere dentro il maxi-emendamento interventi di natura ordinamentale, c’è chi era d’accordo e chi no. Il testo, in ogni caso, dovrà ancora passare dall’aula”, dichiara Falcone al QdS. Dalle parti dell’assessore Sammartino la volontà è quella di gettare acqua sul fuoco, o meglio di chiedersi intanto se davvero ci siano fiamme da spegnere: “Telefonate a Catanzaro? L’assessore è stato incaricato dal presidente Schifani di tenere i rapporti con i partiti all’Ars, telefonate ne fa tantissime sia con esponenti della maggioranza che dell’opposizione. L’orientamento privilegiato dall’assessore è quello di non inserire norme ordinamentali, per il resto ogni ricostruzione è campata in aria”. Dal Pd, in attesa di una nota chiarificatrice, trapela poco: “C’è stata una telefonata, è vero, ma se siamo andati via dalla seduta è perché non siamo d’accordo con questa distribuzione di mancette a pioggia”, è il commento raccolto dal QdS.
Chi non crede che tutto possa essere ridotto a una questione strettamente di merito, su cosa dovesse contenere o meno l’emendamento, suggerisce di guardare altrove. Di spostare lo sguardo sui possibili movimenti da un partito all’altro, sulla campagna acquisti che in politica non si ferma mai. Ed è su questo fronte che torna in auge la contesa tra Dario Daidone e Carmelo Nicotra. Il primo, finora, è riuscito a mantenere il proprio seggio all’Ars grazie alla decisione di impugnare la sentenza di primo grado del tribunale civile di Catania che aveva dato ragione a Nicotra, riconoscendogli il diritto di subentrare all’Ars a causa del ritardato abbandono – rispetto al voto delle Regionali 2022 – di Daidone dagli incarichi all’Irfis e all’Asp di Catania.
Il secondo, invece, continua a sperare in un’elezione a deputato, che potrebbe arrivare a dicembre nel caso la corte d’appello dovesse confermare il verdetto di primo grado. Se elezione dovesse essere, Nicotra potrebbe entrare a Palazzo dei Normanni con la casacca della Lega. Rotti ormai i rapporti con Fratelli d’Italia, per il mancato sostegno, Nicotra infatti è dato vicino al Carroccio. Una vicinanza che al momento non è confermata da nessuno, né dal diretto interessato né dal partito, ma che comunque rientra nel ristrettissimo ventaglio di possibilità per un posizionamento all’interno del centrodestra catanese. E soprattutto è sufficiente, per i più maliziosi, a fornire un’interpretazione diversa di quanto accaduto ieri in commissione Bilancio.