Asili nido, bimbi meridionali discriminati. Ne sono esclusi e non acquistano competenze - QdS

Asili nido, bimbi meridionali discriminati. Ne sono esclusi e non acquistano competenze

Pietro Crisafulli

Asili nido, bimbi meridionali discriminati. Ne sono esclusi e non acquistano competenze

domenica 08 Settembre 2019

Save the Children lo sottolinea nel rapporto "Disuguaglianze e opportunità nei primi anni di vita" come queste strutture siano determinante per prevenire la povertà educativa". A causare la discriminazione è il Federalismo fiscale voluto dalla Lega Nord e che, anche in questo, penalizza fortemente il Sud: escluso un milione di bambini secondo dati della Fp Cgil e centoventimila soltanto in Sicilia. Le ripercussioni negative riguardano soprattutto i minori provenienti da famiglie economicamente svantaggiate. "Fondamentale che il nuovo Governo assuma tra le proprie priorità quella dell'investimento sull'infanzia". Tutte le cifre dell'indagine pilota

Frequentare l’asilo nido migliora qualità e competenze nei bambini, eppure, in Italia, solo un bambino su dieci può accedere a un asilo nido pubblico, con picchi negativi tutti al Sud a causa del Federalismo fiscale voluto dalla Lega Nord e che penalizza in maniera grave i Comuni del Meridione non soltanto in questo settore.

Così, se in Val d’Aosta la copertura dei nidi è al 28%, nella Provincia autonoma di Trento al 26,7%, in Emilia Romagna al 26,6% e in Toscana al 19,6%, nelle regioni meridionali la copertura è quasi inesistente.

Meridionali discriminati fin da bambini

Tanto per fare degli esempi, solo il 2,6% dei bimbi in Calabria e il 3,6% in Campania può frequentare un nido pubblico, seguono Puglia e Sicilia con appena il 5,9%.

Ma in tutto il Sud è praticamente impossibile e le ripercussioni negative riguardano soprattutto i minori provenienti da famiglie economicamente svantaggiate e che hanno dunque maggiori difficoltà nell’accedere alla rete degli asili privati non convenzionati.

È quanto emerge dal rapporto “Il miglior inizio – Disuguaglianze e opportunità nei primi anni di vita” diffuso da Save the Children – in concomitanza con l’inizio dell’anno scolastico nel nostro Paese.

Il rapporto contiene i risultati di una indagine pilota condotta tra marzo e giugno in dieci città italiane – Brindisi, Macerata, Milano, Napoli, Palermo, Prato, Reggio Emilia, Roma, Salerno e Trieste – realizzata in collaborazione con il Centro per la Salute del Bambino e l’Università di Macerata.

Un milione di bambini escluso dal Federalismo fiscale

L’allarme era stato lanciato nei giorni scorsi dalla Fp Cgil Nazionale, che, dopo un’indagine condotta sui dati Istat, aveva rivelato che oltre un milione di bambine e bambini – praticamente quasi tutti meridionali – tra zero e tre anni è escluso dagli asili nido in un Sud estremamente penalizzato dal cosiddetto Federalismo fiscale.

Il sindacato aveva denunciato a livello nazionale la necessità di “invertire la rotta sugli investimenti sul personale che opera nel settore, attraverso nuove assunzioni, percorsi di riqualificazione e rinnovo del contratto nazionale”.

Centoventimila i bimbi siciliani esclusi dal Nido

Qualche giorno dopo la Fp Cgil siciliana aveva denunciato che, soltanto in Sicilia, i bambini esclusi dal nido sono ben centoventimila.

Come si può leggere dettagliatamente più in basso, il fatto di non poter frequentare gli asili nido per i piccoli siciliani significa avere meno competenze rispetto ai piccoli italiani del centro nord. E questo, insieme con i minori investimenti sulla scuola, contribuiscono a spiegare i bassissimi risultati dei meridionali in genere nelle prove Invalsi.

Come il Federalismo fiscale leghista colpisce il Sud

Per scoprire come il Federalismo fiscale leghista colpisca il Sud bisogna risalire al 2014, quando il quotidiano napoletano “Il Mattino” denunciò la vicenda e scatenò, sul fronte degli asili nido, i ricorsi presentati da settanta Comuni del Mezzogiorno con capofila Riccia in Molise, Altamura in Puglia e Cinquefrondi in Calabria e recepiti dal Tar del Lazio: il caso degli asili nido zero, infatti, è solo il più clamoroso di una serie di storture che incidono sui diritti di cittadinanza nel Meridione.

A volere il federalismo fiscale furono i governi Berlusconi a trazione leghista. La Legge delega n. 42 di Riforma del Federalismo fiscale venne firmata da Roberto Calderoli il cinque maggio del 2009. La legge conteneva già principi e criteri direttivi per l’attuazione del federalismo fiscale. Vennero poi emanati, prima della caduta, nel 2011, del Governo Berlusconi – del quale faceva parte, come sottosegretario al Lavoro, l’attuale presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci – ben nove decreti legislativi.

Le regole diaboliche del Federalismo fiscale leghista

Secondo Marco Esposito, giornalista del “Mattino” e autore del libro “Zero al Sud” che dimostra come il federalismo fiscale abbia affossato i Comuni italiani da Roma in giù, parla di “regole diaboliche”.

“Praticamente – spiega – invece di dare il livello essenziale a tutti, cioè un minimo da garantire a tutta Italia, si è stabilito che chi aveva poco era giusto che avesse poco”.

Tra gli esempi pratici quello del già citato Comune pugliese di Altamura che ha 70.000 abitanti, 1.800 bambini e risulta un fabbisogno di asili nido pari a zero.

Esposito, nel libro, spiega perché le regole siano diaboliche paragonando due città, Reggio Calabria e Reggio Emilia: alla prima il diritto riconosciuto per gli asili nido è novantamila euro, alla seconda, un po’ più piccola della prima, vengono riconosciuti ben nove milioni di euro, ossia cento volte di più.

“Il nuovo governo investa sull’infanzia”

“È fondamentale – commenta Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children – che il nuovo Governo assuma tra le proprie priorità quella dell’investimento sull’infanzia a partire dai primi anni di vita, promuovendo in Italia un’Agenda per la prima infanzia. Un’agenda che preveda un piano organico di interventi di sostegno alla genitorialità, servizi educativi di qualità e accessibili a tutti, misure di welfare familiare, lotta alla povertà economica ed educativa, sostegno all’occupazione femminile e conciliazione tra lavoro e famiglia”.

Tutti i numeri dell’indagine

L’indagine ha coinvolto 653 bambini di età compresa tra 3 anni e mezzo e 4 anni e mezzo, ai quali sono stati sottoposti una serie di quesiti.

I bambini che hanno frequentato l’asilo nido hanno risposto in maniera appropriata a circa il 47% dei quesiti proposti a fronte del 41,6% di quelli che hanno frequentato servizi integrativi, che sono andati in anticipo alla scuola dell’infanzia o che sono rimasti a casa e non hanno quindi usufruito di alcun servizio.

Una differenza che si fa ancor più marcata per i minori provenienti da famiglie in svantaggio socio-economico.

Minori competenze per chi non frequenta il nido

Tra questi, infatti, coloro che sono andati al nido hanno reagito appropriatamente al 44% delle domande contro il 38% dei bambini che non lo hanno frequentato.

Per quanto riguarda l’ambito matematico, ad esempio, i bambini tra i tre anni e mezzo e i quattro anni e mezzo in condizioni di svantaggio socio-economico che non hanno riconosciuto alcun numero sono stati il 44% tra coloro che sono andati al nido, percentuale che arriva al 50% per i bambini che non lo hanno frequentato.

Allo stesso modo, se più del 14% dei bambini che hanno frequentato il nido riconosce tra 6 e 10 numeri, la percentuale scende al 9,6% per chi non ci è andato. Inoltre, l’indagine dice che i bambini in svantaggio socio-economico che hanno frequentato il nido riconoscono più lettere rispetto agli altri.

Determinante per prevenire la povertà educativa, dall’indagine, risulta essere la durata della frequenza dell’asilo nido. I dati dicono che l’Italia – e come abbiamo visto soltanto a causa della discriminazione dei bambini meridionali – è ancora molto lontana dal target stabilito dall’Ue di garantire ad almeno il 33% dei bambini tra 0 e 3 anni l’accesso al nido o ai servizi integrativi.

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