L’assegno di disoccupazione spetta anche ai detenuti che lavorano in carcere: una sentenza del Tribunale di Milano conferma tale principio della Costituzione
La ‘disoccupazione’ spetta anche ai detenuti che lavorano dentro al carcere. Lo ha stabilito una sentenza del Tribunale del Lavoro di Milano che ha condannato l’Inps secondo quanto riporta l’Agi a corrispondere la Naspi, il sussidio dell’ente previdenziale per chi ha perso un impiego, a un ex carcerato che aveva svolto per quasi due anni la funzione di addetto alla consegna e alla gestione della spesa e come cuoco.
Riferimento alla Costituzione
Nella sentenza, il giudice Luigi Pazienza si richiama al principio che “il lavoro penitenziario non può consentire l’introduzione di un trattamento differenziato tra i detenuti e gli altri cittadini in materia di assicurazione contro la disoccupazione” citando gli articoli 35 e 3 della Costituzione sulla tutela del lavoro e sulla rieducazione del condannato. In sostanza, è la sintesi del magistrato, “non possono sussistere ragioni per escludere il diritto alla Naspi qualora ricorrano tutti i presupposti previsti dalla normativa specifica e non vi sono differenze tra lavoro penitenziario svolto all’interno alle dipendenze del Ministero e quello reso all’esterno in favore di un soggetto terzo”.
“Una sentenza che fa chiarezza”
“E’ una decisione molto importante – commenta all’AGI Francesco Maisto, Garante dei diritti delle persone private della libertà del Comune di Milano – perché tante persone si erano viste negare questo fondamentale sostegno al reddito in seguito a una circolare del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, poi avallata dall’Inps nel marzo 2019. Ora viene fatta finalmente chiarezza su un punto inderogabile: al detenuto deve essere assicurato lo stesso trattamento economico e previdenziale cui hanno diritto i cittadini liberi e non è possibile occultare questo diritto con la ‘finzione’ che il lavoro penitenziario rientri nell’ambito di altre attività ‘ricreative’ che si svolgono all’interno del carcere. Il lavoro è lavoro per tutti”. Il rapporto tra l’uomo e l’amministrazione penitenziaria era cessato solo per il ‘fine pena’ e, in seguito, l’ex recluso aveva presentato domanda per l’indennità dimostrando, buste paga alla mano, che l’attività prestata era stata continuativa. (di Manuela D’Alessandro, AGI).