Baracche a Messina, una vergogna istituzionale. Ultima chiamata per Stato, Regione e Comune - QdS

Baracche a Messina, una vergogna istituzionale. Ultima chiamata per Stato, Regione e Comune

Lina Bruno

Baracche a Messina, una vergogna istituzionale. Ultima chiamata per Stato, Regione e Comune

sabato 12 Settembre 2020

Dopo oltre cento anni è indispensabile dare risposte alle diecimila persone che vivono in condizioni drammatiche. Alla Camera, in Commissione Ambiente, si lavora per condensare le tre proposte in tema di risanamento avanzate da Forza Italia, Movimento 5 stelle e Pd

Tante parole, troppe, sono state spese negli ultimi decenni per delineare e raccontare il fenomeno delle baraccopoli messinesi. Pochi e fallimentari sono stati invece i tentativi per risanare davvero il territorio, ferito da più di settanta insediamenti con oltre 2.500 baracche e circa diecimila persone la cui vita scorre dentro agglomerati diroccati, magari coperti di eternit e con scarichi fognari in strada.

Numeri da paura, che fanno sorgere spontanea una domanda: dove sono state, in tutti questi anni, le istituzioni e la politica? Quest’ultima è sembrata essere sempre una parte del gioco: alla richiesta di case seguiva sempre una promessa che, anche quando si concretizzava, non mutava la situazione perché nelle abitazioni degli assegnatari si collocavano altre famiglie che avrebbero poi potuto chiedere al nuovo candidato di turno.

Un fenomeno che parte dal 1908 ed è diventato nei decenni specchio delle mutazioni sociali, politiche ed economiche della città, assumendo sempre più quelle connotazioni distorte che dicevamo e che la Legge regionale 10/1990 non è riuscita ad affrontare. Quella legge stanziava 500 miliardi di lire, circa 258 milioni di euro, ma ne sono stati spesi più o meno 110 per costruire in 29 anni 498 unità immobiliari. I soldi non sono mai stati il problema, c’erano. A mancare sono stati capacità e voglia di spenderli.

ArisMe ha trovato macerie, una situazione aggravata rispetto al 1990”. Così ha detto in più occasioni Marcello Scurria, presidente dell’Agenzia per il Risanamento. Il sindaco Cateno De Luca, con le sue “provocazioni” ha rilanciato la questione aprendo la strada al percorso in atto. Ma operare a livello locale non è più sufficiente. Ecco perché il risanamento delle aree baraccate è in Commissione Ambiente della Camera dei Deputati e, dopo la pausa elettorale, dovrebbero riprendere le audizioni.

Si lavora alla stesura di un testo unico che possa fare sintesi tra le proposte presentate. Malgrado si sia partiti in modo diverso, tra maggioranza e opposizione sembra che ormai ci sia unità di intenti, perché si gioca una partita importante e nessuno vuole restare indietro. “Avevo presentato una proposta già a inizio legislatura – dice Matilde Siracusano, deputato di Forza Italia – ma grazie anche alla spinta mediatica la questione è stata presa in carico da tutto il gruppo di FI, a cominciare da Mariastella Gelmini, rimasta sconvolta dalla visita nelle baraccopoli. Ho ritirato il testo iniziale e ho presentato un’altra proposta che poi hanno firmato anche Lega e FdI”.

Siracusano preme per un’accelerazione dell’iter. “In una riunione – aggiunge – il ministro Provenzano ci ha chiesto di non velocizzare perché era necessario trovare un accordo sul commissario”. Nella proposta dell’esponente di FI questa figura, con poteri straordinari e necessari a garantire l’attuazione del risanamento, sarebbe dovuto essere il sindaco di Messina, ma negli altri due testi presentati alla Camera, dal deputato Pietro Navarra (Pd) e Francesco D’Uva (M5s) la nomina spetta al Governo d’intesa con il presidente della Regione.

Una linea che sembra essere prevalsa e potrebbe portare a un esito positivo della votazione di uno strumento legislativo capace, secondo Matilde Siracusano, di mettere fine allo scempio delle baracche entro tre anni dall’approvazione.

Non vogliono dare scadenze temporali, invece, gli altri due deputati al lavoro sulla questione. “La Commissione Ambiente – spiega D’Uva – da inizio legislatura non è riuscita a sfornare nessuna proposta di legge di iter parlamentare. Il percorso deve andare avanti però e io auspico che qualora non si riesca entro fine anno ad approvare una legge, ed è complicato che possa succedere, si possa intervenire in Finanziaria con un emendamento. La mia proposta è di aprile 2019, ma in realtà sulla questione avevo già lavorato con un emendamento alla Finanziaria del dicembre 2018, quando il sindaco De Luca fece scoppiare il caso. Si disse che sarebbero serviti 35 milioni ed è questa la cifra che avevo previsto. Un’operazione non riuscita, ma nel frattempo il quadro politico è cambiato, la maggioranza è cambiata e la collega Siracusano ha giocato un ruolo importante nell’opposizione”.

Nel corso delle audizioni si dovrà capire anche che cifra servirà. Nella proposta dell’onorevole Siracusano si prevede un impegno per tre anni di 250 milioni di euro, 230 milioni sono previsti nel testo dell’onorevole Navarra, ma la definizione del totale si potrà avere solo in sede di Comitato ristretto. “I soldi – conclude D’Uva – non dovrebbero essere un problema e neppure il commissario. Sono fiducioso-che entro fine anno si possa raggiungere l’obiettivo”.

Con un emendamento alla finanziaria ci aveva provato anche Pietro Navarra, che sottolinea il proficuo raccordo con i colleghi D’Uva e Siracusano. “Il Governo – dice – interviene davanti all’inerzia della Regione Sicilia, che per trent’anni se n’è fregata delle baracche di Messina, pur essendo materia regionale. Adesso la cosa fondamentale e che ci sia un provvedimento d’intesa tra Governo nazionale e regionale prima ancora, come ha detto Provenzano, di mettere un euro sulla legge in discussione. Possiamo anche intervenire in finanziaria per accelerare”.

“In ogni caso – conclude – è prioritario, se non vogliamo rischiare che si ripeta la fine della Lr 10/1990, definire il modello gestionale e organizzativo, gli uffici a supporto del commissario, le procedure e quanto semplificate, il ruolo di ArisMe. Ma dalla Regione non sembrano esserci segnali”.

Storie di chi vive un’emergenza quotidiana aspettando che le promesse diventino realtà

Pareti cadenti, acqua maleodorante e disabili costretti a lavarsi all’aperto

Sembrano essere le donne a sentire il peso maggiore della vita in baracca. Seguendo un compagno con un lavoro precario, pensando che una casa prima o poi arriverà, sentendo la responsabilità di figlia nei confronti di genitori disabili o quello di madre verso figli che si ammalano vivendo in ambienti malsani.

Sono le donne quelle che spesso danno vita a proteste più o meno plateali o che si recano da un ufficio all’altro per emergere dall’invisibilità. Carmela Girone ha 48 anni, suo marito è morto 12 anni fa poco dopo avere trovato un lavoro che gli avrebbe consentito di pagare un affitto. “La bara – racconta – nella baracca non ci entrava, lo hanno dovuto portare fuori con il lenzuolo”.

Nel plesso dell’ex lavatoio in cui abita l’ha messa provvisoriamente il Comune dopo lo sgombero delle baracche di Ritiro. “Sono state assegnate le case – dice – ma non a tutti. Qui dovevamo stare solo due anni, ma ne sono passati 31. Le pareti sono piene di muffa, gli intonaci cadono e piove dentro. Non ho servizi igienici, così utilizzo il bagno di mia madre, che abita accanto”.

La casa è chiaramente inagibile, lo ha accertato il Comune che però non ha trovato un’altra soluzione per Carmela, che vive con la figlia separata e i due nipotini.

La baracca di Anna Pennistri, 35 anni, è a Bisconte e non è in condizioni migliori. Era di sua nonna, racconta, e ora lei vive ancora lì con i genitori e un fratello. “Dalla doccia – spiega – viene fuori acqua maleodorante, gli impianti non funzionano e quando piove è un disastro”.

Quella di andare in affitto non è un’opzione praticabile, perché il padre fa lavori saltuari e per il momento altre entrate non ce ne sono. “Ho fatto tre mesi nei cantieri servizio – racconta – poi sono finiti. Percepisco il Reddito di cittadinanza, ma non ci arriviamo lo stesso con le spese”.

Mariangela Spadaro, 24 anni, vive in una baracca di Fondo Fucile con il compagno da cui aspetta un figlio, la sorella di otto anni e i genitori invalidi. Un tugurio che si dividono cinque persone e tra questi il padre su una sedia a rotelle, che deve lavarsi all’aperto perché la carrozzina in bagno non entra.

L’ultima storia che vogliamo raccontare è quella di Beatrice Surace, 53 anni, che da 35 anni, da quando si è sposata vive in una baracca di via Catanoso, una casupola precaria dove piove dentro, sfuggita come altre dai vari censimenti e solo adesso emersa dall’invisibilità. Dopo la separazione abita da sola e non sembra in grado di immaginare altra vita se non lì, in attesa di quel sogno chiamato casa.

Il piano per il risanamento del sindaco Cateno De Luca

“Senza poteri speciali si procede a rilento”

“Sullo sbaraccamento oggi si apre una prospettiva diversa. Tutte le nostre azioni, più o meno forti e condivisibili, hanno portato a un primo risultato, che finalmente il caso è nazionale, essendo all’ordine del giorno del Parlamento. In due anni abbiamo fatto ciò che non è stato realizzato in trent’anni. Questo lo dicono i numeri e soprattutto la prospettiva creata è cambiata”. Il sindaco Cateno De Luca ha rivendicato così un ruolo rispetto alla rilevanza che assunto la questione.

Tra i risultati vantati dal primo cittadino, la demolizione delle Case D’Arrigo nei tempi dettati dal cantiere della via Don Blasco, l’avvio del censimento (Lr 17/2019) dei nuclei non presenti negli ambiti previsti dalla Lr 10/1990, passati da sette a nove. Il Comune ha anche partecipato a due bandi per oltre dieci milioni di euro per la riqualificazione del Rione Taormina, con la realizzazione di 78 alloggi, un asilo e 18 residenze speciali. Sono stati acquistati 82 alloggi su 750 offerte di vendita, dato deludente rispetto alle aspettative.

Si sta completando inoltre, ha ricordato De Luca, il progetto di demolizione complessivo per cui è stato chiesto di rimodulare i 13 milioni di euro già assegnati per gli acquisti degli alloggi. De Luca, nel nuovo cronoprogramma pubblicato lunedì, ha annunciato lo stanziamento di 15 milioni di euro per ridurre le baraccopoli. Entro il 31 ottobre ha promesso che saranno completati alcuni ambiti residui all’Annunziata Alta per dieci famiglie; Salita Tremonti quattro famiglie; via Macello Vecchio tre famiglie; via Delle Mura cinque famiglie; Camaro Sottomontagna dodici famiglie. Entro il 31 dicembre dovranno lasciare le baracche di Fondo Fucile 95 famiglie e entro il 30 giugno 2021 ci sarà il completamento dell’operazione di risanamento a Camaro Sottomontagna che riguarderà 75 famiglie.

“Parallelamente – ha concluso il sindaco – si sta procedendo ad appaltare le opere di demolizione e smaltimento delle baracche. Da luglio 2021 proseguiremo con gli altri ambiti. Senza poteri speciali si procede a rilento, ma confidiamo nel Parlamento Italiano”.

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