Biofissazione dell’anidride carbonica, una delle ultime scommesse di Eni per ridurre le emissioni - QdS

Biofissazione dell’anidride carbonica, una delle ultime scommesse di Eni per ridurre le emissioni

Adriano Zuccaro

Biofissazione dell’anidride carbonica, una delle ultime scommesse di Eni per ridurre le emissioni

sabato 27 Giugno 2020

Impianti pilota per produrre bio-olio da coltivazioni intensive di alghe microscopiche, alimentate dalla CO2 delle operazioni upstream. La sperimentazione nel polo tecnologico di Ragusa

Biofissazione dell’anidride Carbonica attraverso la coltivazione di microalghe, la mission che Eni persegue.

Nel Centro Ricerche per le Energie Rinnovabili e l’Ambiente di Novara Eni sta sviluppando insieme al Politecnico di Torino e a start-up italiane una tecnologia di biofissazione in cui le alghe sono alimentate da luce artificiale che sfrutta le lunghezze d’onda preferite dalle piante per la fotosintesi.

Trovare nuovi modi per fissare l’anidride carbonica e riutilizzarla in processi industriali è strategico per ridurre le emissioni di gas climalteranti. Per la loro capacità di “chiudere il cerchio” del carbonio di origine antropica, questi interventi utilizzano l’approccio dell’economia circolare, già parte del modello di business di Eni. In questo caso, il consumo delle molecole di CO2 avviene attraverso un processo naturale e cioè la biofissazione da parte di alghe microscopiche, coltivate in modo intensivo nei fotobioreattori. Oltre a ridurre le emissioni del settore upstream e/o altri settori, da cui proviene l’anidride carbonica che fa crescere le coltivazioni algali, il sistema ha il doppio vantaggio di non occupare suolo agricolo, poiché è ospitato all’interno di un sito industriale Eni. Un ulteriore beneficio sta nelle opportunità di sviluppo locale che l’attivazione di progetti imprenditoriali basati su questi impianti potrebbe portare sul territorio.

Come tutte le piante, anche le alghe hanno bisogno del sole per crescere. In mare si sviluppano fin dove arriva la luce solare in modo inversamente proporzionale alla profondità, sotto di loro rimane una zona in penombra in cui la vita vegetale fa fatica a sostenersi. Per rendere efficiente il sistema di coltivazione è opportuno portare la luce su tutta la colonna d’acqua.

Tale principio è alla base del funzionamento dei “fotobioreattori”, sistemi che contribuiscono ad intensificare ed efficientare la biofissazione. Nell’impianto di Ragusa, basato su tecnologia BioSyntex Srl (BSX), sono stati installati sul tetto speciali pannelli costituiti da migliaia di lenti di Fresnel che inseguono il sole, ne catturano la luce, e la concentrano in speciali fibre ottiche.

Nella tecnologia installata al Centro Ricerche per le Energie Rinnovabili e l’Ambiente di Novara e sviluppata insieme al Politecnico di Torino e start-up italiane, invece, sono stati realizzati fotobioreattori planari in cui le alghe sono illuminate da un sistema a LED che garantisce il funzionamento nell’arco delle 24 ore. Potendo funzionare giorno e notte senza interruzione, l’impianto potrebbe produrre ca. 500 tonnellate di biomassa l’anno per ettaro, intrappolando ca. 1000 tonnellate di CO2.

Eni ha già studiato la biofissazione di CO2 mediante microalghe con luce solare, sia in open pond (presso la Raffineria Eni di Gela) sia in fotobioreattori (presso sito Enimed, a Ragusa). In quest’ultimo caso, lo studio si è basato su tecnologia di BioSyntex Srl (BSX); la specifica applicazione prevedeva coltivazione di microalghe alimentate da CO2 proveniente da attività gestite dalla controllata EniMed e luce solare concentrata attraverso pannelli costituiti da migliaia di lenti di Fresnel che inseguono il sole concentrando la luce in speciali fibre ottiche.

I punti di forza delle tecnologie di decarbonizzazione tramite microalghe sono: il basso consumo energetico, l’elevata efficienza, la semplicità, la modularità e compattezza e, in casi specifici di sfruttamento di LED a lunghezza d’onda ottimizzata, il funzionamento h24/7. Una volta sviluppati a livello industriale, questi impianti potrebbero dare un contributo importante alla riduzione delle emissioni di CO2 delle operazioni upstream e di altri settori industriali, con il vantaggio di ottenere un prodotto finito come la farina algale, utilizzabile nel settore downstream, estraendone il bio-olio algale, o commercializzabile per altri processi produttivi, verso altri mercati, e.g. agroalimentare e nutraceutico.

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