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Burocrazia, stop alla cultura criminale del non fare, sanzioni certe per chi rema contro

redazione

Burocrazia, stop alla cultura criminale del non fare, sanzioni certe per chi rema contro

sabato 23 Novembre 2019

La mancanza di responsabilità del ceto burocratico ha paralizzato le risorse e, quindi l’intera economia. Alla Regione siciliana ben 3,5 miliardi di euro chiusi nei cassetti

PALERMO – La Regione siciliana sommersa dai debiti si permette anche il lusso di non spendere la bellezza di 3,5 miliardi di euro.
La spaventosa cifra si evince dal rendiconto generale dell’esercizio finanziario 2018, approvato con la delibera di giunta n. 281 dell’8 agosto 2019.

Dai documenti emerge che i residui passivi (cioè somme impegnate ma non ancora spese entro il termine dell’esercizio) al 31 dicembre 2018 ammontano a 3,5 miliardi di euro. Non è difficile immaginare quali potevano essere i benefici per la nostra disastrata economia se la Regione fosse riuscita nell’impresa di immettere tutta questa liquidità nel circuito economico dell’Isola. Purtroppo, alla Sicilia continua a mancare l’ossigeno e i soldi, che ci sono, restano chiusi nel cassetto.

Colpa dell’incapacità politica ma soprattutto della burocrazia, nemica dello sviluppo, che ha fatto della subcultura del “non fare” la sua bandiera.
La mancanza di senso di responsabilità da parte del ceto burocratico che frena tutto ha prodotto inevitabilmente la paralisi delle istituzioni, con conseguenza gravissime per la nostra economia.

Lo sa benissimo anche il presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci, che è stato tra i promotori della legge 7/2019, approvata dal Parlamento a maggio, che si pone il nobile scopo della semplificazione della macchina amministrativa regionale. In sostanza, con la nuova legge, la Sicilia abroga la vecchia lr 10/91 e si adegua alla normativa nazionale nell’ottica di perseguire al meglio i criteri di efficienza, economicità, efficacia, imparzialità e trasparenza che dovrebbero reggere la macchina amministrativa.

Per raggiungere questi obiettivi si punta su tempi certi e celeri, procedure più snelle e responsabilità diretta dei funzionari.
Nonostante l’ambizioso intento, la legge 7/2019 non interviene in maniera decisiva sul fronte delle sanzioni ai burocrati in caso di mancata o ritardata emanazione del procedimento.

La legge dice che tali “mancanze” saranno valutate “al fine della responsabilità amministrativo-contabile, dirigenziale e disciplinare nonché al fine dell’attribuzione della retribuzione del risultato”.

Chi non fa il proprio lavoro, insomma, viene punito sia da un punto di vista disciplinare che economico, almeno in teoria, perché in verità su questo fronte sarebbero state auspicabili sanzioni più severe ma soprattutto più certe. Ad esempio si potevano ipotizzare annotazioni negative sul curriculum del burocrate o comunque sanzioni pecuniarie più “pesanti” del semplice taglio all’indennità di risultato.

Ma come individuare i responsabili? La legge stabilisce che “in caso di inerzia il potere sostitutivo è attribuito al dirigente apicale della struttura in cui è inserito l’ufficio preposto all’emanazione del provvedimento o, in mancanza, al funzionario di più elevato livello presente nell’amministrazione”.

“Chi non fa non sbaglia”, si è soliti dire. In verità, tale principio andrebbe ribaltato e modificato in “chi non fa verrà punito”: solo così si innescherebbe un serio cambio di rotta nella direzione di percorsi e comportamenti virtuosi ma soprattutto utili ai cittadini.
Stando infatti all’ultimo report della Commissione Ue sulla qualità della Cosa pubblica, la nostra Regione è 177esima su 192 regioni europee.

L’Isola, riporta il documento dell’Ue, è agli ultimi posti in Italia per qualità della Pubblica amministrazione e terz’ultima per imparzialità. Un disastro, insomma al quale la legge approvata dall’Ars sta tentando, almeno in parte e non senza difficoltà, di porre rimedio.

Patrizia Penna


Bankitalia, per la pubblica amministrazione siciliana sonora bocciatura sul fronte della qualità e dell’efficienza dei servizi

PALERMO – La pubblica amministrazione siciliana si conferma ancora una volta, a nostro discapito, tra le peggiori in Italia e in tutta Europa più in generale.

Secondo quanto emerge dalla lettura del rapporto “L’economia delle regioni italiane – Dinamiche recenti e aspetti strutturali” della Banca d’Italia, nell’Isola l’indice europeo Eqi (European quality of government) assume il terzo valore più contenuto a livello nazionale: infatti, con 19 ci collochiamo appena sopra il 9,6 totalizzato dalla Campania e l’11,4 della Calabria, lontano anni luce dalla media nazionale (31,1, calcolato dal Quality of government institute dell’università di Göteborg come media ponderata dei punteggi regionali), per non parlar poi del confronto con le altre realtà regionali settentrionali.

L’indicatore, calcolato dalla Banca d’Italia effettuando una media dei risultati totalizzati negli anni 2010, 2013 e 2017, è espresso in valori compresi tra zero e cento, dove all’aumentare del punteggio corrispondono performance migliori.

Come anticipato, le regioni settentrionali spiccano ancora una volta in positivo rispetto al contesto italiano: in particolare, troviamo ai primissimi posti le Province autonome di Bolzano (59,6) e Trento (57,9), seguite a brevissima distanza da Valle d’Aosta (54,4), Friuli Venezia Giulia (51), Emilia Romagna (44,3) e Veneto (43,7). Buone performance anche in Lombardia (40,4), regione che doppia il punteggio medio totalizzato dall’Isola.

L’indice complessivo Eqi fornisce una misura della qualità dell’azione pubblica per i paesi dell’Unione europea, sintetizzando tre principali sottoindicatori relativi alla qualità dell’offerta di servizi pubblici locali, all’imparzialità dell’agire pubblico e all’assenza di corruzione, consentendo confronti anche su base regionale. In particolare, l’indicatore si basa su indagini campionarie distribuite ai cittadini dell’Ue-28, grazie alle quali sono state rilevate le percezioni dei cittadini sulla qualità di istruzione, sanità e polizia locale. Le risposte individuali sono state successivamente standardizzate e aggregate a livello regionale sulla base di tre ambiti individuati attraverso analisi fattoriale: assenza di corruzione, qualità dei servizi e imparzialità delle istituzioni.

La Sicilia totalizza i risultati più impietosi relativamente al sottoindicatore “qualità dei servizi pubblici locali”: infatti, si colloca al terzultimo posto, con un punteggio pari a 23,7, superata solo da Campania (17,8) e Calabria (13,7). Naturalmente, questi risultati vengono trasposti anche a livello europeo: infatti, in questo caso arriviamo ad occupare la centonovantunesima posizione. Più giù troveremo solo la Calabria (centonovantacinquesima) e la Campania (centonovantasettesima).

Le Province autonome di Bolzano e Trento sono le prime realtà territoriali che riusciamo a scorgere nella classifica europea e, nonostante i valori Eqi decisamente più elevati, sono ben lontani dai primi posti: infatti, si collocano rispettivamente al novantaduesimo e novantacinquesimo posto. Persino regioni sviluppate come la Lombardia si trovano nella parte bassa della classifica europea (nel dettaglio, al centoquarantacinquesimo posto).
Infatti, le regioni settentrionali, nonostante vantino un livello medio di qualità dell’azione pubblica più elevato rispetto a quelle del Mezzogiorno, sono in una posizione di svantaggio nel confronto con le regioni europee a esse più comparabili per grado di sviluppo. Dunque, se le pubbliche amministrazioni meridionali non godono di buona salute, neppure quelle settentrionali riescono a brillare in un contesto europeo.

Serena Grasso

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