Ambiente

Cambiamenti climatici, la Lunga estate che danneggerà sempre più le nostre vite

La Lunga estate è il titolo di un libro di Brian Fagan che risale al 2008, ma potrebbe essere un titolo adatto per connotare l’estate del 2023 che sembra non voler mai finire, a dispetto dello scorrere dei mesi. Mescolando scienza e narrativa, Fagan legava la storia dell’umanità alle variazioni climatiche e dimostrava scientemente che la vita dei popoli, i loro spostamenti, i loro costumi, risentono, spesso in maniera tragica, delle conseguenze dei cambiamenti climatici.

Oggi il dibattito sugli effetti dei cambiamenti climatici occupa le pagine dei giornali e dei telegiornali poiché come dimostra Mark Maslin, attraverso dati scientifici, il riscaldamento globale del pianeta rappresenta uno dei principali problemi del nostro tempo e investe non solo la scienza, ma anche l’economia, le usanze e i costumi individuali e collettivi, gli spostamenti delle popolazioni, la geopolitica, l’etica. Rispetto ai livelli preindustriali la temperatura media del pianeta è aumentata di 0,98° centigradi e, in mancanza di interventi, potrebbe arrivare a +1,5 ° tra il 2030 e il 2050.

L’impatto del riscaldamento globale è sotto gli occhi di tutti

I ghiacciai si sciolgono mentre i registri delle maree costiere rilevano un aumento annuale medio di 3,3 millimetri del livello del mare. Il decennio 2009-2019 è stato il più caldo in assoluto. Nell’agosto del 2019, sono stati pubblicati da Nature e Nature Geoscience i risultati di tre ricerche che, basandosi su dati storici inconfutabili relativi ai ghiacciai di tutti i continenti, agli alberi, alla desertificazione, ai sedimenti, alle maree, hanno evidenziato che negli ultimi 2000 anni non c’è mai stato un periodo in cui i cambiamenti delle temperature siano stati così repentini ed estesi come negli ultimi decenni.

Dal 2020 al 2023 il trend del riscaldamento è stato ancora in ascesa. Gli esperti di climatologia sostengono che la causa del riscaldamento globale risieda nelle attività umane che bruciando combustibili fossili e abbattendo le foreste pluviali aggiungono enormi quantità di gas serra a quelli già presenti, naturalmente, nell’atmosfera, aumentando l’effetto serra e il riscaldamento globale. A provocare più danni è soprattutto il consumo di carbone, di petrolio e di gas che rappresentano la maggior parte delle emissioni di gas serra. Nel 2019, secondo statistiche ufficiali, le fonti fossili erano responsabili dell’83% delle emissioni totali di CO2 e la sola produzione di elettricità attraverso il carbone incideva per il 36%, anche se nel 2020 – per effetto della pandemia dal Covid-19 – le emissioni sono scese drasticamente per poi risalire nel 2022-23.

Anche l’abbattimento delle foreste provoca danni consistenti poiché gli alberi aiutano a regolare il clima assorbendo l’anidride carbonica dall’atmosfera, così come l’aumento degli allevamenti intensivi di bestiame e l’uso di fertilizzanti contenenti azoto contribuiscono ad aumentare le emissioni di gas a effetto serra.

Per contrastare questi fenomeni, l’Onu ha avviato da tempo un percorso comune con i paesi membri, attraverso accordi e protocolli d’intesa, tra cui il Protocollo di Kyoto, firmato da 180 paesi nel 1997, l’Accordo di Parigi firmato nel 2015 che sancisce un limite massimo di emissioni di gas serra con l’obiettivo di mantenere l’aumento annuale della temperatura inferiore a +1,5°, l’ Agenda Onu 2030 che pone 17 obiettivi per un pianeta più ecosostenibile e più solidale. Tra questi, la lotta all’inquinamento, allo spreco alimentare e al cambiamento climatico.

Occorre fare presto e occorre cambiare il modello economico

In tanti auspicano un’economia circolare e parecchi sostengono che la strada da percorrere per la decarbonizzazione sia la transizione energetica e l’uso di fonti rinnovabili. Ma in tanti si oppongono, tra cui i negazionisti, convinti che la risoluzione del cambiamento climatico sia troppo difficile e costosa. In realtà, gli economisti dimostrano che le misure contro il riscaldamento del globo ci costerebbero l’1% del Pil globale, forse ancora meno se tenessimo conto anche del risparmio dovuto al miglioramento della salute delle persone e all’espansione di una nuova economia verde. È vero però che, se non agiamo ora, nel 2050 ci costerà il 20% del Pil globale.

Come scrive la giornalista Valeria Maglia, “per quanto possa essere piacevole avere a Novembre temperature primaverili, non c’è dubbio che questo – insieme alle piogge torrenziali al nord – sia frutto del cambiamento climatico e questo… danneggerà sempre di più la vita di persone e famiglie. Ne sentiremo gli effetti in termini di salute, lavoro, accesso alle risorse, abitazioni, migrazioni forzate… Spesso qualcuno minimizza rifacendosi a ciclici periodi di raffreddamento e riscaldamento del pianeta… Ma basta riflettere sull’insolita accelerazione del riscaldamento, sul caldo anomalo di ottobre e novembre … per capire come sia urgente una visione più ampia, prima che si inneschino fenomeni ed eventi da cui non potremmo più tornare indietro.

Bisogna ripensare al nostro futuro

Occorre davvero ripensare al nostro futuro, smettere di voler dominare la natura abusando di essa…, dobbiamo rispettare le sue leggi e i suoi delicati equilibri, dobbiamo costringere i nostri politici a varare leggi per la salvaguardia dell’ambiente, e ognuno di noi … deve contribuire ad inquinare meno, riducendo gli sprechi, cambiando le abitudini, effettuando una corretta raccolta differenziata.

Temo che avere la primavera a Novembre sia frutto purtroppo di responsabilità generali e del disinteresse dei potenti! Occorre davvero che ognuno di noi faccia la differenza, senza per questo scadere nel fanatismo, proprio del metodo di lotta di Ultima Generazione. Per ottenere visibilità mediatica, non si può danneggiare l’arte, imbrattare opere esemplari dal grande valore identitario. Basti pensare al bugnato di Palazzo Vecchio a Firenze imbrattato dalla vernice, alla rottura del vetro di protezione della “Venere allo specchio” di Goya, alla vernice versata nella Fontana dei Malavoglia di Catania. Tentare di salvare il pianeta, distruggendo e misconoscendo un patrimonio storico-culturale, che è strumento di conoscenza, di partecipazione e inclusione, sarebbe davvero assurdo.

Pina Travagliante
Professoressa ordinaria di storia del pensiero economico all’Università di Catania