Carcere di Barcellona Pozzo di Gotto, “C’è qualcosa da migliorare” - QdS

Carcere di Barcellona Pozzo di Gotto, “C’è qualcosa da migliorare”

Lina Bruno

Carcere di Barcellona Pozzo di Gotto, “C’è qualcosa da migliorare”

martedì 14 Maggio 2019

Intervista al provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Gianfranco De Gesù. La struttura resta per metà chiusa, e invece di 450 detenuti, attualmente ne ospita 240

MESSINA – È un ritratto in chiaroscuro quello che emerge del carcere di Barcellona Pozzo di Gotto, dall’intervista a Gianfranco De Gesu, provveditore regionale dal 2016 dell’Amministrazione penitenziaria.

Il dirigente ha accettato di parlare di alcune questioni poste all’attenzione pubblica da Organizzazioni sindacali e associazioni del territorio e che evidenziano che qualcosa all’interno dell’ex Opg non va per il verso giusto. “Preferisco dire che c’è qualcosa da migliorare – precisa De Gesu – il processo di trasformazione da Opg a carcere non è stato attivato nell’immediato, è ancora in corso, tanto che la struttura è per metà chiusa e invece dei 450 detenuti che potrebbe ospitare ne contiene 240. Ci sono delle trasformazioni strutturali in atto e anche il personale deve abituarsi alla diversa impostazione organizzativa”.

Il carcere sembra non abbia personale sufficiente e adeguato per gestire i detenuti, tra cui quelli nel reparto dell’Articolazione per la tutela della salute mentale, dove mancano professionalità adeguate per i percorsi riabilitativi. Viene denunciato inoltre un aumento delle aggressioni agli agenti di Polizia penitenziaria, confermato dalle statistiche e dallo stesso Provveditore che non lega il fenomeno all’insufficienza di personale. Ci sono poi i tentativi di fuga e suicidio e le tensioni che sfociano in atti violenti.

C’è stata anche un’ispezione Dipartimentale sul cui esito però De Gesu non vuole dire nulla. “I parametri sul personale li decide il Provveditorato in accordo con le organizzazioni sindacali; a Barcellona ci sono 166 unità sulla carta ma in realtà operano 120 agenti, uno per ogni due detenuti. In ogni caso nei prossimi mesi ci sarà un primo incremento di cinque unità, tre uomini e due donne; sono pronti infatti 249 allievi agenti per gli Istituti italiani e Barcellona nella scelta delle destinazioni ha avuto la precedenza anche rispetto ad altre importanti realtà. Abbiamo anche investito in meccanismi di controllo a distanza, cambiando una serie di presidi”.

Sull’Articolazione per la tutela della salute mentale, il Provveditore De Gesu ribadisce che servono dei parametri di riferimento validi sia per Barcellona che per Palermo che per il terzo polo che dovrà nascere, forse nella Sicilia orientale. “C’è un Osservatorio della sanità penitenziaria che sta lavorando in questo senso, abbiamo bisogno di un indirizzo unico che definisca quello che è l’assistenza sanitaria in una Articolazione, confido tra breve di definire, c’è un problema di risorse da risolvere alla Regione da cui ormai dipende la sanità penitenziaria. So che a Barcellona c’è un buon livello di assistenza”.

Alcuni fatti però dicono il contrario: i ristretti vengono lasciati soli senza operatori e nessuna attività riabilitativa; sono messi insieme persone con patologie psichiatriche diverse, quindi aggressioni e autolesioni. “Il problema lì è legato all’organizzazione del servizio più che al numero degli operatori sanitari. Non le sto dicendo che non ci sono criticità nell’Articolazione. Durante l’evento critico appuriamo che, magari per puro caso, il personale sanitario era presente, l’Asp ci tiene a precisare che ha elevato l’impegno di personale. La capienza nel reparto viene determinata dall’Amministrazione, 80 sono troppi, ho dato disposizioni che non si superino i 60 ma non sempre è possibile”.

I sindacati, in particolare il Cosp che ha il maggior numero di iscritti tra il personale, denuncia un clima conflittuale con la dirigenza. “Non abbiamo accertato oggettivamente delle situazioni che richiedono interventi, è più un problema di relazioni fra il comando di reparto, in parte tra la nuova direzione, e alcuni iscritti al Cosp, sindacato non rappresentativo. Il provveditore non può fare altro che invitare le parti a dialogare, personalmente non ho motivi di lamentela nei confronti sia del direttore che del comandante, poi ognuno ha il suo stile di direzione, di comando o di condurre le relazioni sindacali”.

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