Caritas-Migrantes, 5,3 milioni stranieri in Italia, il trend è in calo - QdS

Caritas-Migrantes, 5,3 milioni stranieri in Italia, il trend è in calo

Caritas-Migrantes, 5,3 milioni stranieri in Italia, il trend è in calo

venerdì 09 Ottobre 2020

Regolarizzazione lavoratori soprattutto in ambito domestico: Sicilia seconda regione per numero di istanze presentate (3.584) dopo la Campania. Mons. Russo (Cei): “Non ridurre l’accoglienza a lato economico, non si può ignorare la dimensione sociale e relazionale”

In base alle elaborazioni Istat al primo gennaio 2020 i cittadini stranieri (comunitari ed extra-comunitari) residenti in Italia ammontano a 5.306.548 (con un’incidenza media sulla popolazione italiana dell’8,8%), la maggior quota è rappresentata dai rumeni (1.207.919). Così il Rapporto Immigrazione di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes.

Se fino a un decennio fa l’aumento della popolazione straniera seguiva un ritmo significativo, da qualche anno il trend è in diminuzione (dal 2018 al 2019 appena 47 mila residenti e 2.500 titolari di permesso di soggiorno in più), accompagnato da altri segnali ‘negativi’, come la diminuzione delle nascite (da 67.933 nel 2017 a 62.944 nel 2019) e le minori acquisizioni di cittadinanza (passate da 146 mila nel 2017 a 127 mila del 2019).

Stando ai dati forniti dal Ministero dell’Interno, i permessi di soggiorno validi al 1° gennaio 2020 sono 3.438.707, il 61,2% dei quali è stato rilasciato nel Nord Italia, il 24,2% nel Centro, il 10,8% nel Sud e il 3,9% nelle Isole. I cinque Paesi di provenienza prevalenti fra i titolari di permesso di soggiorno sono, nell’ordine, Marocco (circa 400 mila cittadini), Albania (390 mila), Cina (289 mila), Ucraina (227 mila) e India, che con poco meno di 160 mila soggiornanti ha superato una nazionalità storica come le Filippine.
I motivi dei permessi di soggiorno confermano la tendenza all’inserimento stabile, in quanto, in relazione alla durata, la maggior parte dei permessi è a lunga scadenza (62,3% del totale); mentre quelli di breve durata si attestano sul 37,7%.

Stando ai motivi del soggiorno, si conferma la prevalenza di quelli familiari (pari al 48,6% del totale), seguiti da quelli lavorativi (41,6%). Terzi per volume i permessi collegati all’asilo e alla protezione internazionale (5,7%) e quarti quelli per studio (appena l’1,5%).

I dati del Ministero dell’Interno al primo gennaio 2020 consentono anche un primo bilancio sulle nuove tipologie di permesso di soggiorno introdotte dal d.l. n. 113/2018 (c.d. decreto Salvini), convertito in legge n. 132/2018. Si è trattato in totale di poco più di 28 mila permessi di soggiorno, che risultano per la quasi totalità di derivazione da tipologie già esistenti prima della riforma o che per effetto di questa hanno subito solamente un cambio di denominazione o di disciplina (ad es., permessi per motivi umanitari ridenominati in ‘casi speciali’), fatta eccezione per qualche unità di permessi per meriti di valore civile o per calamità naturale, che si sono rivelati dunque assolutamente non coincidenti con le aspettative, i bisogni e le condizioni personali dei migranti nel nostro paese, precarizzandone peraltro i già complessi percorsi di inserimento e integrazione (le nuove fattispecie non sono quasi mai convertibili per lavoro, ad esempio.

Stranieri 10,7% di occupati in Italia, paghe basse e precariato

L’occupazione dei cittadini stranieri continua a dare segnali di crescita, ma al contempo non registra significativi avanzamenti nella qualità del lavoro. Così il Rapporto Immigrazione di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes.
In Italia sono 2.505.000 i lavoratori stranieri, che rappresentano il 10,7% degli occupati totali nel nostro Paese. Il tasso di occupazione straniera si attesta intorno al 60,1%, superiore al 58,8% degli autoctoni; parallelamente, il tasso di inattività degli stranieri extra-UE (30,2%), per quanto elevato, risulta comunque inferiore a quello italiano (34,9%).
L’87% degli occupati stranieri in Italia sono lavoratori dipendenti, concentrati soprattutto in alcuni settori: servizi collettivi e personali (642 mila addetti), industria (466 mila), alberghi e ristoranti (263 mila), commercio (260 mila) e costruzioni (235 mila). In merito alle qualifiche prevalenti, nel 2019 si registra un elevato volume di rapporti attivati per braccianti agricoli (584.253 attivazioni), addetti all’assistenza personale (179.502), camerieri e professioni assimilate (158.645) e collaboratori domestici e professioni assimilate (111.562); quanto alle tipologie contrattuali, si attesta come preponderante il reclutamento con forme contrattuali temporanee. Esse interessano circa i due terzi delle nuove assunzioni destinate ai cittadini stranieri, fra cui, oltre ai contratti di lavoro a tempo determinato, anche i tirocini e i rapporti di lavoro in somministrazione o stagionali.

La retribuzione media annua nel 2019 dei lavoratori extracomunitari è inferiore del 35% a quella del complesso dei lavoratori (14.287 euro rispetto a 21.927 euro); la differenza di genere nell’accesso al mondo del lavoro è marcata e fa registrare tassi di inattività e di disoccupazione nettamente superiori per quanto riguarda la componente femminile; nel confronto con i dati del 2018, aumenta anche il tasso di lavoratori stranieri autonomi (+2,7%), in netta controtendenza rispetto agli italiani. Cresce il numero di titolari di imprese nati fuori dall’Ue (383.462), pari al 12,2% del totale, concentrati soprattutto nel settore commerciale (43,1% del totale) e dell`edilizia (21,1%). Nel corso del 2019 gli infortuni verificatesi ai lavoratori stranieri sono stati 108.173 (il 16,9% del totale) e in due casi su tre hanno riguardato cittadini extracomunitari, per i quali c`è stato un aumento del +5% rispetto al 2018. Nel caso degli incidenti con esito mortale, l’incidenza dei 5 lavoratori stranieri sul totale è più elevata, attestandosi sul 18,8%, con un incremento del +13,3% rispetto allo stesso periodo dell`anno precedente.

Le pensioni di invalidità, vecchiaia e superstiti (Ivs) erogate dall’Inps a cittadini extracomunitari alla fine del 2019 sono state appena 65.926, pari allo 0,4% del totale delle pensioni Inps dello stesso tipo (16.840.762); le pensioni assistenziali erogate a cittadini extracomunitari sono state invece 100.898, pari al 2,5% del totale (4.030.438).

9% del Pil italiano nel 2018 grazie a migranti

In Italia nel 2018 il contributo dei migranti al PIL è stato di 139 miliardi di euro, pari al 9% del totale.
I circa 2,3 milioni di contribuenti stranieri hanno dichiarato 27,4 miliardi di redditi, versando 13,9 miliardi di contributi e 3,5 miliardi di Irpef. L’Iva pagata dai cittadini stranieri è stimata in 2,5 miliardi. Si tratta di dati che confermano il potenziale economico dell`immigrazione che, pur richiedendo notevoli sforzi nella gestione, produce senza dubbio benefici molto superiori nel medio-lungo periodo. Anche i costi per la gestione delle emergenze, 3 che sono aumentati dagli 840 milioni nel 2011 ai 4,4 miliardi nel 2017, possono essere ammortizzati nel tempo, soprattutto se sostenuti da politiche capaci di ridurre l’irregolarità, che oggi è stimata in 670 mila persone.
Una regolarizzazione di tutti i lavoratori stranieri avrebbe garantito entrate superiori ai 3 miliardi di euro.
Invece il provvedimento varato ha consentito la presentazione di “appena” 207.542 domande presentate; in particolare per lavoro domestico (85% del totale) e il resto per gli altri settori, quasi interamente rappresentati dall’agricoltura. La regione nella quale sono state presentate il maggior numero di istanze è la Campania, con 6.962. Segue la Sicilia con 3.584 istanze, il Lazio con 3.419 e la Puglia con 2.871, ma anche il Veneto con un dato significativo di 2.756 domande e l’Emilia Romagna con 2.101.
La maggioranza dei nuovi ingressi vede una quota troppo ridotta dei motivi di lavoro (i visti per lavoro sono appena l’1,3% del totale). Gli attuali permessi di soggiorno si riferiscono, dunque, nella gran parte a conversioni di permessi rilasciati ad altro titolo, comprese le motivazioni legate a protezione e assistenza, più che a motivazioni legate alla sfera economica e professionale.

Mons. Russo: “Non ridurre accoglienza a lato economico”

“Non è possibile, infatti, realizzare un’efficace accoglienza dei migranti se si cura solo l`aspetto economico o lavorativo, ignorando la dimensione sociale e relazionale”. Lo scrive mons. Stefano Russo Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, nell’introduzione al XXIX Rapporto Immigrazione di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes presentato oggi.
“La ricchezza di questo testo è dovuta anzitutto alla competenza di chi ha curato i diversi contributi e alla conoscenza diretta e personale delle questioni trattate”, scrive mons. Russo. “Il valore degli studi raccolti, poi, è accresciuto dalla loro connessione, che ci ricorda come la realtà e le problematiche dell`immigrazione vadano comprese a tutto tondo, mettendone in luce la relazione e il mutuo rimando. Non è possibile, infatti, realizzare un`efficace accoglienza dei migranti se si cura solo l`aspetto economico o lavorativo, ignorando la dimensione sociale e relazionale. Né si darebbe una risposta adeguata ai loro bisogni se si trovasse una soluzione al problema abitativo, senza offrire possibilità sotto il profilo culturale e quello religioso, quali dimensioni essenziali della vita di ogni persona”.
“è una concezione riduttiva dell`accoglienza quella che la concepisce come semplice supporto materiale ed economico. Ben oltre, l`ampia visione fornita dal Rapporto mostra l`intimo legame tra i vari ambiti in cui ogni persona, e quindi ogni migrante, deve poter esprimere il suo essere e la sua personalità. Solo così, infatti, si realizza un`autentica integrazione nel nuovo contesto sociale, la quale può dirsi compiuta quando, da ospiti, coloro che sono stati accolti diventano soggetti partecipi e attivi, offrendo un contributo personale alla crescita del tessuto sociale, del quale ormai sono divenuti parte. Tale obiettivo rappresenta un’autentica sfida, e una scommessa per tutta l’Europa, per il nostro Paese e per i singoli territori, chiamati a vedere”.

Lockdown ha colpito di più gli stranieri 1,4 milioni vivono in povertà assoluta

Le restrizioni imposte dal lockdown su vari aspetti della vita sociale (il divieto di spostamento sul territorio, la necessità di rimanere a casa, l’interruzione della frequenza scolastica, ecc.) hanno penalizzato fortemente le famiglie immigrate, anche a causa di una situazione lavorativa e logistica che già in partenza si presenta notoriamente più debole di quella degli italiani. Lo sottolinea il Rapporto Immigrazione di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes.
Sul fronte delle rilevazioni condotte in ambito Caritas nel corso della pandemia, la posizione di debolezza delle famiglie di origine straniera emerge in modo abbastanza evidente da un recente monitoraggio condotto da Caritas Italiana nel mese di giugno 2020 e relativo al trimestre marzo-maggio, che comprende al suo interno tutta la prima fase delle restrizioni anti-Covid e l’avvio della cosiddetta “seconda fase”. Alla rilevazione ha partecipato un nutrito campione di 169 Caritas diocesane, pari al 77,5% del totale delle Caritas in Italia. I dati a disposizione parlano chiaro: in soli tre mesi la Caritas ha aiutato, in diverse forme, 445.585 persone (in media, 2.990 utenti per diocesi). Si tratta di un volume di persone veramente significativo se pensiamo che nella situazione di normalità, i centri di ascolto Caritas aiutano nel corso di un intero anno una cifra molto più ridotta di persone, pari a circa 200 mila individui.
Ad esempio, sul totale dei beneficiari Caritas del periodo marzo-maggio 2020, gli stranieri pesano in modo particolare (38,4%), in misura certamente maggiore rispetto alla quota percentuale di presenza degli immigrati sul territorio italiano (8,9% della popolazione residente).

Anche tra i 129.434 “nuovi poveri” che si sono rivolti alla Caritas nello stesso periodo, gli stranieri pesano in modo particolare (32,9%), pur se con valori di incidenza inferiori rispetto al dato riferito all’utenza in generale. Ma la condizione di debolezza degli stranieri nel corso della pandemia emerge in modo ancora più evidente da testimonianze qualitative offerte da diverse Caritas del territorio che in tempo reale hanno monitorato quello che stava accadendo in Italia.
Va da sé che gli stranieri hanno scontato più di altri le situazioni di povertà educativa e culturale che rendono difficile, per gli stessi autoctoni, l’orientamento nel nostro complesso sistema di welfare. In altri casi è, invece, rilevabile una precisa volontà di esclusione della platea straniera, dettata quasi sempre dalle istanze politicoideologiche degli amministratori locali.
Uno dei possibili esempi è quello del cosiddetto “Bonus spesa”, erogabile dai Comuni, derivante dall’implementazione dei Fondi comunali di solidarietà disposti dal dl n. 18/2020 (cd. “Cura Italia”) e dal d.p.c.m. 28 marzo 2020, ulteriormente aumentato con ordinanza del Capo della Protezione civile n. 168/2020. Anche se in modo corretto la normativa non aveva distinto le categorie dei potenziali destinatari in base a specifici requisiti soggettivi, poiché l`obiettivo esclusivo era ed è l`erogazione di misure afferenti il basilare ed inviolabile diritto alimentare, molti Comuni hanno operato distinzioni o in base alla cittadinanza o alla residenza anagrafica o in relazione al possesso di uno specifico permesso di soggiorno, escludendo di fatto alcuni cittadini stranieri dalla possibilità di fruire del “Bonus”.
Secondo l’Istat nel 2019 gli individui di nazionalità non italiana in povertà assoluta sono quasi 1 milione e 400 mila, con una incidenza pari al 26,9%, contro il 5,9% dei cittadini italiani. Le famiglie in povertà assoluta sono composte nel 69,6% dei casi da famiglie di soli italiani (1 milione e 164 mila) e per il restante 30,4% da famiglie con stranieri (circa 510 mila), pur rappresentando solo l’8,9% del totale delle famiglie.
L’incidenza di povertà assoluta è pari al 22,0% (25,1% nel 2018) per le famiglie con almeno uno straniero (24,4% per le famiglie composte esclusivamente da stranieri) e al 4,9% per le famiglie di soli italiani.

“Decreti Sicurezza: bene modifica, ora integrazione”

“La circostanza che ormai il 64,4% degli alunni stranieri è nato il Italia ma non ha la cittadinanza – si legge nel Rapporto – , rafforza sempre più la necessità di intervenire a modificare una vecchia legge, superando gli ostruzionismi politici, che legano i minori ad un fenomeno a sua volta ostaggio della politica; ovvero utilizzato per provocare o, al contrario, evitare, conflitto politico”.
Viva soddisfazione viene poi espressa per le modifiche ai decreti Sicurezza: “Molte delle raccomandazioni contenute nel Rapporto – prosegue il documento – hanno sottolineato, nei vari temi affrontati, l’importanza di favorire i percorsi di regolarità dei cittadini migranti nel nostro Paese, attraverso un ampio riconoscimento della convertibilità in motivi lavorativi del permesso di soggiorno detenuto ad altro titolo, al fine di invertire la tendenza all’approccio securitario da un lato, o assistenzialistico dall’altro, adottando definitivamente una strategia di potenziamento dei percorsi di integrazione, che contemplasse la promozione di interventi normativi volti a sostenere la presenza e l’inserimento socio-economico dei cittadini stranieri. Auspichiamo dunque che i decisori politici proseguano in questo percorso di legalità e integrazione, sostenendolo oltre che con l’importante processo di revisione delle norme, anche con politiche attive di supporto”.

Unar: aumentano in Italia i reati per motivi etnico-razziale

I cittadini stranieri sono fra le principali vittime di reati collegati a discriminazioni. Lo rileva il Rapporto Immigrazione di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes.
La maggior parte delle 4.068 segnalazioni pertinenti istruite nel 2018 dall’UNAR – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali sono discriminazioni per motivi etnico-razziali. In particolare, sono stati presi in carico 2.864 casi pertinenti (70,4% del totale. Nel 2017 i casi erano 2.610, pari al 73% del totale). La connotazione generica “Colore della pelle” è quella più ricorrente (886 casi), seguita da “Straniero” (658 casi), “Profughi” (519 casi) e “Rom, Sinti e Camminanti” (424 casi).
“Si avverte, dunque, la necessità di migliorare la normativa italiana in materia di reati legati alla discriminazione razziale e, con essa, le procedure di denuncia e quindi di riconoscimento della violazione, includendo anche i nuovi mezzi di comunicazione social come luoghi virtuali nei quali sempre più spesso si registrano episodi di intolleranza, anche rafforzando il ruolo delle istituzioni di polizia competenti, spesso prive di risorse e di strumenti sufficienti”.
Secondo i dati del Ministero della Giustizia, sottolinea peraltro il rapporto, al 31 gennaio 2020, su una popolazione carceraria di 60.971 detenuti, risultano essere presenti 19.841 cittadini stranieri (erano 20.255 nel 2018).

-1,3% di studenti italiani, +1,9% stranieri nel 2018/2019

La presenza degli alunni stranieri si attesta come una componente sempre più fondamentale e consistente: nell’anno scolastico 2018-2019 la perdita di 100 mila studenti italiani (-1,3%) dovuta al calo della natalità è stata compensata da un aumento di studenti con cittadinanza straniera, per lo più di seconda generazione, di quasi 16 mila presenze rispetto all’anno precedente (+1,9%) raggiungendo un totale di circa 860 mila unità ossia il 10% del totale della popolazione scolastica. Lo sottolinea il Rapporto Immigrazione di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes.
I tassi di scolarità consentono di misurare indirettamente i livelli di integrazione dei giovani cittadini stranieri sul territorio. Infatti, nelle fasce di età 6-13 anni i sopracitati tassi sono vicini a quelli degli italiani, mentre nell’ultimo biennio di scuola secondaria di II grado scendono al 66,7%.

Aumenta in un anno percentuale di cristiani tra migranti in Italia: la maggioranza è ortodossa

Al primo gennaio 2020 si stima che la maggioranza assoluta degli stranieri residenti in Italia sia di religione cristiana (54,1%), in aumento rispetto ad inizio 2019 (quando era il 53,6%), ma ancora ad un livello inferiore rispetto al 1° gennaio 2018 (57,5%). Lo registra il Rapporto Immigrazione di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes.
Nel loro complesso, nel 2019 i cristiani stranieri residenti in Italia sono aumentati di 97 mila unità (+3,4%), dopo la forte diminuzione (145 mila unità) dell’anno precedente, e si attestano ad oltre 2,9 milioni di fedeli e di potenziali fedeli, includendo nel conteggio anche i minori. Fra gli immigrati cristiani la maggioranza assoluta è ortodossa (29,3%, pari a 1,6 milioni di fedeli, originari soprattutto di Romania, Ucraina e Moldova), mentre più di uno su tre è cattolico (20,1%, con quasi 1,1 milioni di persone, per lo più romeni, filippini, peruviani e albanesi). Proprio i cattolici, però, hanno fatto registrare la crescita maggiore nel 2019, con un aumento di 103 mila unità (+10,5%), superati soltanto – sebbene su livelli quantitativi assoluti minori – dai copti (in aumento di 3 mila unità, +16,7%); lieve la crescita degli ortodossi (+19 mila unità, pari al +1,2%), mentre sono diminuiti gli appartenenti ad altre fedi cristiane (in particolare gli evangelici, diminuiti del 9,1%, vale a dire quasi 17 mila fedeli in meno). Gli stranieri musulmani residenti in Italia sono risultati stabili in numerosità durante il 2019 (-0,4%, vale a dire circa 6 mila unità in meno fra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2019), dopo il forte aumento fatto riscontrare durante il 2018 (+8,7%, cioè +127 mila unità), mantenendosi poco al di sotto del valore di 1,6 milioni, pur senza considerare gli acquisiti alla cittadinanza italiana e i non iscritti in anagrafe (ma conteggiando i minorenni di qualsiasi età). Si tratta per lo più di marocchini, albanesi e bangladeshi. Sul territorio nazionale si segnalano, infine, circa 174 mila stranieri buddisti. (3,2% degli immigrati residenti in Italia), 96 mila induisti (1,8%), 51 mila sikh (1,0%) e 44 mila afferenti ad altre religioni (0,8%). Gli atei e gli agnostici sono invece stimabili in circa 531 mila, pari a circa un decimo (9,9%) del totale degli stranieri residenti in Italia. Le tradizioni religiose del Paese d`origine costituiscono da sempre un importante elemento di aggregazione e di rassicurazione identitaria, soprattutto in contesti sociali e culturali molto distanti da quelli nati.

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