Carolina Varchi, deputata alla Camera di Fratelli d’Italia, è prima firmataria (insieme a Michela Di Biase del Pd) dell’ultima versione del Ddl sul consenso, che adesso attende il passaggio finale in Senato.
La proposta di legge sul consenso approvata dalla Camera ha visto un’importante convergenza tra forze politiche distanti. Lei come commenta questo traguardo?
“La condivisione unanime è partita da un’intesa tra Fratelli d’Italia e il Partito democratico, che ha visto anche un contatto tra il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e la segretaria del Pd, Elly Schlein. L’abbiamo poi trasposta nei lavori della Commissione con un emendamento a firma congiunta mia e dell’onorevole Michela Di Biase, riscrivendo il reato di violenza sessuale. La necessità di questa riforma risiede nella convinzione che a trent’anni dall’entrata in vigore di quella formulazione, preso atto del cambiamento dei comportamenti sociali e sessuali, il contenuto di quella norma non era più adeguato. Abbiamo assistito nel corso degli anni a numerose sentenze che hanno generato nell’opinione pubblica l’idea che in Italia lo stupro fosse quasi impunito, complice anche un legittimo atteggiamento processuale da parte delle difese. Spesso, infatti, la denunciante è stata sottoposta a un’attendibilità della prova, comunque prevista per tutti i reati sanzionati dal nostro Ordinamento, che in questo caso, considerata la sfera sessuale, ha dato adito alla cosiddetta vittimizzazione secondaria. Abbiamo quindi avuto questo scollamento tra la giurisprudenza e la norma in vigore. Dall’altro lato, il fatto che l’Italia ha ratificato la Convenzione di Istanbul imponeva un adeguamento del Codice penale, ragion per cui il Pd ha elaborato una proposta di legge a prima firma Laura Boldrini e l’ha sottoposta alla valutazione di tutti i gruppi. Si è deciso di riscriverla, perché sulla formulazione originaria non si era trovato un accordo. L’onorevole Boldrini ha dimostrato grande sensibilità, con la generosità tipica di chi ha servito l’istituzione ai massimi livelli, accettando di rinunciare a una sua bandiera e consentendo di trovare un accordo”.
Quali cambiamenti prevede in virtù della modifica di legge?
“Dal concetto di violenza o minacce si passa all’introduzione nel nostro Codice penale della definizione di consenso, che dovrà essere sempre libero e attuale e oltretutto abbiamo inserito anche la particolare vulnerabilità della vittima, che descrive tutte quelle situazioni in cui la persona offesa versa in una condizione di inferiorità, perché psicologicamente suddita del violentatore o perché dovuta all’assunzione di sostanze o alcol. Voglio precisare che non ci sarà, come erroneamente da qualcuno è stato detto, alcuna inversione dell’onere della prova: semplicemente anche in assenza di violenza o di minaccia ci potrà essere la violenza sessuale. Il bene giuridico che si tutela oggi non è soltanto fisico, ma è anche la libera autodeterminazione della persona”.
Con questo Ddl si rafforza l’aspetto repressivo del fenomeno, però occorre potenziare anche quello preventivo ed educativo. Su questo versante è possibile una convergenza con le forze di opposizione in Parlamento?
“Noi abbiamo investito tantissimo sotto il profilo della prevenzione e del sostegno alla rete di protezione delle donne vittime di violenza, così come anche nella formazione delle Forze dell’ordine: ormai sono tantissimi i presidi di pubblica sicurezza e c’è personale femminile adeguatamente formato per recepire denunce e valutare immediatamente il grado di attualità del pericolo ed eventualmente intervenire a tutela della persona in modo adeguato, anche sotto il profilo del sostegno psicologico. Abbiamo aumentato gli stanziamenti, nell’ordine di milioni di euro, a favore dei centri antiviolenza proprio per quell’aspetto cultural-preventivo. Riteniamo che questa impostazione della legge sia una rivoluzione culturale nell’ottica del cambio di paradigma e che quindi avrà anche un effetto educativo, perché adesso tutti sono chiamati a riconoscere la libera autodeterminazione della persona, che è anche una ritrovata sensibilità e responsabilità nell’orientamento del legislatore nell’andare a punire il reato. Se la domanda poi riguarda l’educazione sessuale o affettiva nelle scuole, a oggi a me sembra molto difficile che si possa trovare un accordo, anche alla luce del recente dibattito che si è svolto alla Camera sul Ddl Valditara, che io sostengo. Mi pare molto difficile la convergenza su questo perché ci sono sensibilità diverse: noi riteniamo che tocchi alle famiglie decidere quali siano i modelli culturali ed educativi da offrire ai propri figli. C’è una differenza tra la visione più statalista del centro-sinistra e quella nostra. Credo che su questo l’accordo non ci possa essere”.
Nonostante queste divergenze, che da entrambe le parti avete sottolineato, i fatti recenti dimostrano che è possibile unire le forze. Ritiene anche lei che la collaborazione tra donne, a prescindere dalla distanza politica, sia la via più efficace per affermare i diritti?
“Io credo che siano i fatti a rispondere per me, perché c’è stato un interesse nei confronti di questo provvedimento dai vertici dei due principali partiti italiani, in questo momento storico guidati da due donne. Senza voler cedere alla facile retorica, credo sia un dato di fatto che, grazie alla concretezza tipica di noi donne, sia stato possibile trovare un punto di accordo. Lo schema che abbiamo adottato è stato quello di farci guidare dai temi che ci uniscono. Trovare lo scontro è facilissimo: basta battere l’accento su ciò che l’altro non condivide. Volendo invece fare qualcosa di buono per tutelare le tante persone vittime di violenza, abbiamo deciso di trovarci su quel terreno che poteva essere di incontro per tutti”.

