Catania è una città dalle innumerevoli emergenze: sanitaria, sociale, dei rifiuti, del lavoro, della sicurezza, del degrado, dell’evasione fiscale, dell’incapacità di mettere a frutto le risorse esistenti. A sottolinearlo è la Uil Catania, che circa un anno fa ha consegnato all’amministrazione un dossier che rassegnava le criticità della città etnea, proponendo soluzioni che ancora non sono state adottate e che la sua segretaria generale Enza Meli ripropone alla classe dirigente.
La spazzatura è una delle tante note dolenti a Catania a cui la Regione ha risposto con la messa in cantiere del termovalorizzatore che sorgerà nell’ottava strada della zona industriale. “Trasformare la spazzatura da costo a risorsa dovrebbe essere la via. Ci sono città che si riscaldano, che hanno l’acqua calda grazie alla spazzatura e che per questo risparmiano – ha spiegato Enza Meli –. Il servizio di smaltimento è infatti a carico del cittadino; dunque, tanto più si sporca e non si differenzia, quanto più si paga e a peso d’oro”. Ma il costo della Tari lievita anche a causa degli evasori: “A pagare sono sempre i soliti – ha aggiunto – mentre manca del tutto un confronto con l’amministrazione, visto che il sindaco Enrico Trantino lo abbiamo incontrato una sola volta. Lo stesso avviene a livello nazionale, con un Governo che convoca quaranta sigle in due ore, riservando due minuti ciascuno, e che continua a elargire condoni agli evasori”.
Un’interlocuzione che, ha affermato la segretaria, stenta anche rispetto agli altri grandi temi della città, come il Pnrr, la pianificazione urbanistica e le politiche di sviluppo. “L’anno scorso era stata annunciata dall’assessore regionale alle Attività produttive, Edy Tamajo, la presentazione di un piano di interventi da realizzare nella zona industriale di Catania. Poi, è stato rinviato a data da destinarsi – ha precisato –. Alla fine, l’assessore lo ha illustrato lo scorso febbraio senza invitare le organizzazioni sindacali che rappresentano i lavoratori. Forse, nel timore che oggi avremmo chiesto come fosse finita con tutte le promesse mai mantenute”.
Speranze disattese come quelle dei lavoratori di Almaviva, rimasti nel limbo dopo la chiusura del call center. Una vicenda su cui però la Uil continua instancabilmente a tenere i riflettori accesi. “Almaviva è diventato un caso-simbolo di tutte le vertenze, con 120 famiglie in cassa integrazione a zero ore. Abbiamo anche presentato alcune proposte, come il call center sanitario o turistico, ma nessuna è stata mai ascoltata – ha detto la sindacalista –. La politica vuole davvero trovare una soluzione? Sembra proprio di no. La Uilcom e altre organizzazioni di categoria, invece, hanno scritto al sindaco perché si faccia portavoce di questa emergenza occupazionale con Stato e Regione, ma ad oggi non è pervenuta alcuna risposta”.
Altra situazione su cui il sindacato tiene alta l’attenzione è quella legata allo stabilimento Pfizer, dove si è sperato fino ad ora invano in un maggiore impegno della multinazionale anche in virtù degli ingenti profitti derivanti dalla vendita dei vaccini anti-covid. “Qui i dipendenti sono sempre a rischio, alcuni sono stati trasferiti – ha aggiunto –. Tentammo di parlarne anche con il ministro Giorgetti, ma fummo ricevuti da un esperto del suo staff che ci allargò le braccia. Chiedevamo semplicemente che lo stabilimento venisse valorizzato, non smantellato. E che non fossero dirottate ancora una volta risorse e opportunità destinate alla nostra terra”.
L’istituzione della Zes unica aiuterà il capoluogo ad attrarre nuovi investimenti? Non secondo la segretaria: “Stiamo centralizzando tutto per non avere niente. Il sospetto è che si continui a rivedere l’assetto per giustificare l’inerzia – ha spiegato –. E con l’autonomia differenziata sarà sempre peggio. Ogni qualvolta ci sono elezioni il presidente del Consiglio in carica viene da queste parti a millantare investimenti miliardari, ma poi non si riescono a trovare qualche milione di euro nemmeno per realizzare la riforma forestale, rinunciando alla sicurezza del nostro territorio”.
Tra le urgenze, il bisogno di rendere attrattiva la zona industriale per far sì che si creino nuovi posti di lavoro: “La segnaletica è scarsa, l’asfalto è pieno di buche, l’illuminazione carente con parcheggi al buio. Insomma, mancano le basi minime della sicurezza. In questo modo si fa fuggire chi c’è e chi vorrebbe investire qui – ha aggiunto –. Si pensa solo a parlare del ponte sullo Stretto, che noi vogliamo. Ma vogliamo pure strade che non siano ridotte a trazzere e treni ad alta velocità come nel resto d’Italia. Rivendichiamo, infine, la riqualificazione di edifici e infrastrutture con quei fondi che ci sono negati perché Catania resta assurdamente classificata a rischio sismico 2, mentre la storia suggerisce purtroppo che siamo a rischio 1”.
La piaga più grande da affrontare e con urgenza è però quella delle morti sul lavoro: 1.041 soltanto lo scorso anno in Italia e che non possono certamente essere il risultato di una “fatalità”. Le cause? “La volontà di fare cassa sulla vita delle persone e i subappalti a cascata, con tagli su tagli da parte dei datori di lavoro in formazione, sicurezza, ausili di protezione e qualità dei prodotti”, ha spiegato Enza Meli.
Quando non si muore, di “incidenti” sul lavoro si resta spesso invalidi. Ed è proprio Catania ad avere raggiunto nel 2023 il triste primato regionale delle denunce di infortunio: oltre 7 mila. Un trend che sembra confermarsi anche quest’anno: “Ben 2.361 tra gennaio e aprile, in aumento rispetto allo stesso periodo del 2023 quando erano state 2283”, afferma la segretaria generale della Uil. Rimedi? L’istituzione del reato di omicidio sul lavoro, “un deterrente per quei prenditori che non meritano di essere chiamati imprenditori e giocano sulla vita di dipendenti”, e la formazione del personale, ma anche il reclutamento di nuovi ispettori del lavoro. “A Catania sono soltanto due – ha fatto sapere la segretaria– e, volendo fare una stima, potrebbero effettuare un controllo ogni 35 anni. Aspettiamo sempre iniziative concrete dalla Regione, da cui dipende l’ispettorato”.
Al sindacato si deve la legge anti-caporalato, ma il fenomeno è tutt’altro che estinto. “Il problema è presente soprattutto alla Piana di Catania, con uomini e donne extracomunitari spostati avanti e indietro come merce, in funzione delle necessità. Non avendo permessi di soggiorno, vivendo in condizioni disumane e impossibilitati a ribellarsi, difficilmente vengono rintracciati dai sindacati – ha commentato Meli –. Abbiamo avuto il coraggio di rendere visibili gli invisibili a Paternò, documentando il sistema illegale di sfruttamento anche grazie ai servizi di alcune testate giornalistiche. Gli invisibili hanno paura, sono restii a denunciare e c’è ancora tanto da fare per proteggerli”. Altra modalità di sfruttamento è “l’applicazione di quei contratti-pirata – ha precisato – che sono concordati tra imprenditoria e organizzazioni compiacenti, spesso prive di effettiva rappresentanza. Noi siamo per l’applicazione del salario minimo previsto nei contratti firmati dai sindacati come la Uil, che danno voce e tutela a milioni di lavoratrici e lavoratori”.