“I nostri genitori sono stati bravi a trasmetterci l’importanza della famiglia e dei valori ai quali non possiamo rinunciare, anche una volta che ci siamo ingranditi. Papà e mamma aprirono nel 1966 a Bergamo, poi nel 2005 ci siamo spostati a Brusaporto e da lì siamo arrivati ad aprire ristoranti a St Moritz, a Shanghai, a Portofino, a Milano, a Parigi e poi con il catering giriamo tutto il mondo”, ha spiegato lo chef. L’anima del ristorante è mamma Bruna, “l’ultima che se ne va e la prima che apre, serve tutti i giorni: la sua tenacia ci dà l’esempio, ci ha trasmesso la voglia di essere sempre presenti e di seguire tutto il percorso dalla A alla Z”. Poi ci sono “i miei fratelli, Bobo in cucina con me, Francesco che si occupa soprattutto degli eventi esterni, Rossella che è molto attenta all’accoglienza e sviluppa tutti i nostri progetti, mentre Barbara ha scelto un’altra strada”, ha ricordato. “Negli ultimi anni abbiamo avuto uno sviluppo pazzesco, del 20% ogni anno: abbiamo cercato di organizzarci con dei manager, abbiamo informatizzato tutto – anche investendo e rischiando di non farcela – e per ora sta andando molto bene, i ragazzi sono molto più motivati e adesso ci stiamo strutturando per diventare un’azienda al 100%. Se penso che mamma e papà sono partiti da un piccolo bar in centro a Bergamo, devo dire ne abbiamo fatta di strada: ormai lo staff che lavora con noi è di 800 persone”, ha spiegato.
“Chi fa il mio mestiere è fortunato a farlo in Italia, perchè abbiamo dei prodotti che tutto il mondo ci invidia e una cucina che tutto il mondo conosce, che forse fino a qualche anno fa era considerata troppo semplice ma che, con le ultime generazioni, ha avuto una svolta decisiva e ha dimostrato professionalità, capacità e tecnica e si è rivelata vincente rispetto ad altre cucine anche molto blasonate perchè non stanca e ti emoziona”. Per Cerea “è impagabile guardare negli occhi un ospite e vedere le emozioni che gli suscita quello che tu gli hai preparato: sei veramente ripagato di tutto” perchè – sottolinea – “il nostro mestiere è il più bello del mondo, ma ti assorbe tanto”. A questo si ricollega la difficoltà di trovare personale. “La stiamo riscontrando. E’ vero, i tempi sono cambiati e i giovani si sono resi conto dell’importanza del loro tempo, di come spenderlo al meglio. Ai colloqui, il lato economico conta ma fino a un certo punto”: contano di più “le prospettive che dai loro che sono interessati: essere parte di un progetto è stimolante ed è una cosa trovo molto positiva. Non è vero che i giovani al giorno d’oggi non sono più come eravamo noi, anzi, sono più preparati e quelli che veramente hanno voglia e vogliono arrivare si pongono degli obiettivi importanti”. Dopo il Covid, “abbiamo deciso di aprire delle Academy dove per esempio i ragazzi che sono partiti facendo i camerieri magari possono fare dei corsi di management, di psicologia e di lingue”. Per Cerea è importante mostrare ai giovani la realtà di questa professione: “Consiglio ai ragazzi di non seguire troppo le trasmissioni” che è vero che “hanno sdoganato la professione del cuoco, portandola a un livello veramente molto importante”, ma mostrano “delle cose che danno una percezione non corretta e non reale. Le scuole alberghiere si sono riempite di ragazzi che volevano fare il cuoco, poi dopo un anno o due hanno mollato perchè non si erano resi conto veramente di cosa si trattava. Dico ai miei colleghi – ce ne sono di bravissimi che fanno televisione – di dare il messaggio giusto ai ragazzi, per non far sprecare loro tanto tempo e tanti anni”.
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