Cinema... da casa, Spike Lee fa i conti con il Vietnam - QdS

Cinema… da casa, Spike Lee fa i conti con il Vietnam

Francesco Torre

Cinema… da casa, Spike Lee fa i conti con il Vietnam

venerdì 19 Giugno 2020

Stile eclettico, teatralità, enfasi retorica, intento didattico, spiritualità. Dopo l’ottimo “BlacKkKlansman”, il regista afroamericano si confronta con un tema che non può mancare in qualsiasi filmografia statunitense d'autore

DA 5 BLOODS – COME FRATELLI
Regia di Spike Lee. Con Delroy Lindo (Paul), Clarke Peters (Otis), Chadwick Boseman (Norman), Jean Reno (Desroche).
Usa 2020, 154’.
Distribuzione: Netflix

Stile eclettico, teatralità, enfasi retorica, intento didattico, spiritualità. Dopo l’ottimo “BlacKkKlansman”, Spike Lee fa i conti con un tema che non può mancare in qualsiasi filmografia americana di autore “impegnato”: il Vietnam. Lo fa riportando nella boscaglia asiatica quattro ex-reduci ormai piuttosto attempati, riuniti ufficialmente per ritrovare le spoglie del commilitone mentore scomparso in battaglia, in realtà alla ricerca di una montagna d’oro rimasta sepolta per decenni.

Sin dall’incipit, l’autore dichiara in maniera esplicita tesi e codice linguistico: il prezzo pagato dalla comunità afroamericana per servire la patria è di gran lunga superiore ai vantaggi ricevuti, e l’evento storico è la classica cartina di tornasole per comprendere l’ingiustizia, l’iniquità e il razzismo strisciante che avvelenano ancora oggi la società americana. Per dare peso all’enunciato, il regista si serve a piene mani di immagini di repertorio, fotografie, interviste, canzoni, presentati talvolta in forma di cronaca, altre volte con toni agiografici.

La sceneggiatura sembra indirizzarsi verso il più classico schema della tragedia, con accelerate improvvise e cambi di tono che minano l’equilibrio dell’insieme, mentre si evita qualsiasi apparentamento con il genere bellico, in cui Lee per forza di cose a tratti si intrufola manifestando però chiaro disagio. I dialoghi sono affettati, gli stereotipi su razze e nazionalità ingombranti, i richiami all’attualità per molti versi pretestuosi e il profilo psicologico dei personaggi emerge quasi sempre solo in funzione della trama, che non trasuda nemmeno una goccia di ironia.

Una volta serpeggiato il conflitto in seno a una compagine che all’inizio ci era stata presentata come impossibile da dividere, lo sviluppo del film procede in maniera piuttosto prevedibile, lasciando spazio all’emersione sempre molto accentuata dei temi antimilitaristici e anticapitalistici cari al regista. La sensazione finale, però, rimane quella di un’opera senile, poco ispirata, nata per impeto didattico ma intrisa di malcelata misantropia.

Voto: ☺☺☻☻☻

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