E' quanto rileva Cristina Freguja, direttore della Direzione centrale per le statistiche sociali e il welfare dell'Istat nel corso della sua audizione alla Camera
La ricerca di lavoro è stata prevalentemente affidata a canali di natura informale: il 77,5% delle persone in cerca di lavoro si è rivolto a parenti, amici e conoscenti, un valore in diminuzione rispetto a quello dell’anno precedente (81,9% nel 2019). E’ quanto rileva Cristina Freguja, direttore della Direzione centrale per le statistiche sociali e il welfare dell’Istat nel corso della sua audizione alla Camera.
I dati
Questa percentuale, sottolinea, è superiore nel Mezzogiorno (80,7%) e fra gli uomini (79,1% rispetto al 75,7% delle donne); aumenta al crescere dell’età (80,7% per gli ultracinquantenni) e diminuisce al crescere del titolo di studio (dall’85% per chi ha conseguito la licenza media al 58,5% per chi è laureato). Circa il 60% delle persone in cerca di un lavoro hanno inviato il curriculum vitae (61,7%) o hanno cercato lavoro attraverso Internet (58,4%); quest’ultima modalità, insieme all’invio di domande per un concorso pubblico, è l’unica in aumento rispetto al 2019 (era 56,6%).
Nei centri per l’impiego
Nel 2020, invece, solo il 16,2% delle persone in cerca di lavoro si è rivolto a un Cpi nell’ultimo mese. Un dato in calo rispetto al 2019 quando era il 22% nel 2019. Il ricorso ai Cpi, sottolinea ancora Freguja, “era cresciuto negli anni della crisi economica raggiungendo il valore massimo (pari al 30,5%) nel 2012, per poi tornare a scendere negli anni successivi”. I contatti, rileva, “sono più frequenti nelle regioni del Nord (22,7% delle persone in cerca di lavoro rispetto all’11,7% del Mezzogiorno), fra gli uomini (17% rispetto al 15,4% delle donne), tra gli ultra 50enni (18,1% rispetto al 15,4% dei giovani fra i 15 e i 34 anni) e tra le persone con titolo di studio intermedio: la quota è pari al 17,5% fra i diplomati rispetto al 12,9% delle persone con almeno la laurea”.
Disoccupati e inattivi
Nel 2020, sottolinea, “si rivolgono al Cpi soprattutto gli ex-occupati (18,6%) e gli inattivi con esperienza lavorativa (14,8%); la percentuale risulta invece più bassa (13,1%) per le persone alla ricerca del primo lavoro. I contatti hanno riguardato in misura maggiore le persone alla ricerca di un lavoro da meno di 12 mesi (18,5%) rispetto ai disoccupati di lunga durata (14,6%)”. Negli altri paesi europei, osserva, “i centri per l’impiego hanno un peso rilevante, significativamente più elevato di quanto accade nel nostro Paese. Nella media europea nel 2020, il 42,5% dei disoccupati ha contattato i centri pubblici per l’impiego, quota più che doppia rispetto a quella italiana (18,7%). In Germania il valore (63,6%) è oltre tre volte quello italiano, così come in Svezia (60,3%); decisamente più elevate anche le quote in Francia (52,9%) e Spagna (25,3%)”.
Le differenze si attenuano, spiega, “se si considera il ricorso alle Agenzie di intermediazione diverse dai Cpi. In Italia nel 2020 si è rivolto a tali agenzie il 10% delle persone alla ricerca di un lavoro, 19,5% nel Nord, 9,5% nel Centro e 4% nel Mezzogiorno, una quota pari alla metà di quella europea (21,3%), più elevata di quella svedese (6,8%), sebbene inferiore a quella tedesca (17,2%), francese (31,9%) e spagnola (29,1%)”. (ADNKRONOS).