Botta e risposta sulla terminologia da utilizzare all’interno degli atti amministrativi tra il segretario generale Raimondo Liotta e Carolina Varchi: “Chiamatemi vice sindaco o non firmerò nulla”
PALERMO – “Chiamatemi vice sindaco o non firmo alcun atto”. Così si è espressa Carolina Varchi, che ha deciso di sposare in pieno le indicazioni della leader del suo partito, Fratelli d’Italia, nonché presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Nelle prime comunicazioni ufficiali del nuovo Governo, infatti, non si fa riferimento a “la presidente Meloni” bensì a “il presidente” e Varchi si è subito adeguata a questa scelta lessicale.
Lo spunto per la presa di posizione è arrivato da una nota che nei giorni scorsi il segretario generale del Comune, Raimondo Liotta, ha indirizzato a tutti i dirigenti invitandoli a “utilizzare, in sede di comunicazione di carattere ufficiale e istituzionale, la declinazione al femminile di qualsiasi carica, allorquando tale carica sia rappresentata da una donna”. Liotta ha raccomandato in particolare che “gli atti amministrativi, nonché le indicazioni contenute nel sito online del Comune, siano conformati al corretto linguaggio di genere”.
La nota del segretario generale ha incontrato il plauso della consigliera Mariangela Di Gangi, che di recente aveva sottolineato “l’uso esclusivamente al maschile per la definizione di alcune cariche istituzionali del Comune. Sono grata al segretario per la celerità e sensibilità con cui ha risposto a una mia sollecitazione. L’uso di un linguaggio rispettoso del genere è un passo importante perché si riconoscano soggettività e diritti a tutti e a tutte. Un segnale importante che può venire dalla quinta città d’Italia per un corretto approccio alla comunicazione e alle prassi delle istituzioni”.
Di tutt’altro avviso Varchi, che ha risposto piccata a Liotta chiedendo espressamente di essere citata negli atti ufficiali come “vice sindaco”. “A riscontro della pregiata sua in oggetto emarginata – ha detto Varchi in una nota – sono a rappresentare il disinteresse della scrivente per la modifica della desinenza così come proposta. Si ritiene, infatti, che iniziative simili distolgano l’attenzione da un’autentica difesa di diritti e prerogative delle donne, che certamente non sono riconducibili all’utilizzo di una vocale in luogo di un’altra ma che richiedono interventi incisivi in materia di sostegno al lavoro femminile, alla parità salariale, alla famiglia (anche mediante l’erogazione di servizi per l’infanzia), al contrasto di ogni violenza di genere, solo per citarne alcuni in un elenco che non ha pretesa di esaustività ma di sola esemplificazione. Soltanto se e quando ogni battaglia per l’affermazione completa e compiuta delle pari opportunità sarà vinta, si potrà tornare a dibattere su questioni squisitamente lessicali che nulla tolgono e nulla aggiungono all’affermazione dei diritti delle donne”.
“Chiedo pertanto – ha avvertito – con riferimento alle funzioni ricoperte pro tempore dalla odierna scrivente, che si continui a utilizzare la locuzione ‘il vice sindaco’ e ‘l’assessore’, diversamente non sarà sottoscritto alcun atto”.
Al di là della questione lessicale, però, secondo l’ex consigliere ed esponente della sinistra Fausto Melluso il punto nodale rimane lo scontro istituzionale con il segretario generale: “Vorrei dire a Carolina Varchi – ha scritto in un lungo post su Facebook – che credo fermamente che lei sia libera di farsi declinare come vuole: al maschile, al femminile, al neutro. Pensare di imporre a una persona come farsi chiamare è da Stato etico e, sinceramente, come ha detto una volta l’ironica Meloni alla Camera, rivolgendosi alla sinistra in Parlamento, non mi sembrerebbe il caso di prendere lezioni di cultura democratica da Fratelli d’Italia. Non è Carolina Varchi però che decide come deve comportarsi il segretario, che non è un suo dipendente, rispetto all’esercizio del suo mandato, almeno come regola generale da applicare al netto di legittime diverse indicazioni”.