Caso Li Pera, quella confisca che riporta al dossier mafia-appalti

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Caso Li Pera, quella confisca che riporta al dossier mafia-appalti

Roberto Greco  |
lunedì 20 Marzo 2023

Dopo l'operazione della DIA ai danni dell'imprenditore, si torna a parlare delle indagini nate nel 1991 con l'informativa dei carabinieri del Ros di Palermo

Lo scorso 17 marzo, la DIA di Caltanissetta ha dato esecuzione a un provvedimento di confisca nei confronti di Giuseppe Li Pera, un imprenditore originario di Polizzi Generosa (PA), ma da anni residente a Caltanissetta. Il geometra Li Pera, già dal 2007, risultava condannato definitivamente per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., al termine di complesso percorso giudiziario, le cui origini risalgono al 20 febbraio 1991 quando, i carabinieri del Ros depositarono alla procura di Palermo l’”informativa mafia e appalti” relativa alla prima parte delle indagini che seguirono un input di Giovanni Falcone. La confisca dei beni del Li Pera riguarderebbe un impero milionario conseguito in oltre trent’anni di attività imprenditoriale e rapporti d’affari, intrattenuti anche con diversi boss mafiosi del vertice della mafia siciliana.

La strage di via d’Amelio

Che il “dossier mafia-appalti” sia stato un elemento determinante dell’accelerazione della morte di Paolo Borsellino è scritto, nero su bianco, nella sentenza del “Borsellino Quater” in cui si nota che, relativamente alle concause che hanno portato alla decisione di realizzare la strage di via d’Amelio appena 57 giorni dopo quella di Capaci, si ritiene che «in particolare, i timori di Cosa Nostra risultavano fondati su due motivi, correlati, da un lato, alla possibilità che il giudice Borsellino venisse ad assumere la posizione di Capo della Direzione Nazionale Antimafia e, dall’altro, alla pericolosità delle indagini che il medesimo avrebbe potuto svolgere in materia di appalti, e sul rapporto mafia-appalti». Nelle conclusioni espresse nella sentenza n. 24/2006 della Corte di Assise di Appello di Catania secondo cui era possibile ipotizzare, «senza peraltro pervenire ad alcun riscontro certo», che sull’accelerazione dell’uccisione del giudice Paolo Borsellino poteva avere influito «l’intervento di potentati economici disturbati nella spartizione degli appalti, la presenza di forze politiche interessate alla destabilizzazione, la necessità di umiliare lo Stato in modo definitivo e plateale (…) Paolo Borsellino, inoltre, aveva mostrato particolare attenzione, dopo la morte del collega ed amico Giovanni Falcone, per le inchieste riguardanti il coinvolgimento di “Cosa Nostra” nel settore degli appalti pubblici, avendo intuito l’interesse strategico che tale settore rivestiva per l’organizzazione criminale».
Anche nelle motivazioni della sentenza emessa il 23 settembre 2021 dalla Seconda Sezione della Corte di Appello di Palermo, con Presidente Angelo Pellino e Vittorio Anania giudice a latere relativa al c.d. “Processo trattativa”, si evince che la Corte «ritiene quindi di poter concludere nel senso che quell’input dato da Salvatore Riina al suo interlocutore affinché si uccidesse il dottor Borsellino con urgenza nel giro di pochi giorni (…) possa avere trovato origine nell’interessamento del medesimo dottore Borsellino al rapporto MAFIA e appalti».

La strage di Capaci

Nella sentenza della Corte d’Assise di Caltanissetta del procedimento “Capaci” si legge che «in Cosa Nostra, e, in particolare, da parte di Pino Lipari e Antonino Buscemi, era cresciuta la consapevolezza che il dr Falcone avesse compreso la rilevanza strategica del settore appalti e che intendesse approfondirne gli aspetti: “questo sa tutte cose, questo ci vuole consumare” (pag. 74, ud. del 17 novembre 1999). In maniera del tutto pertinente al tema, Siino ha rievocato l’esternazione pubblica del dr Falcone, avente ad oggetto il fatto che la mafia era entrata in Borsa; dichiarazione che aveva mandato su tutte le furie Antonino Buscemi, il quale, sentendo quelle parole, gli aveva manifestato la convinzione che il magistrato avesse compreso che dietro la quotazione in Borsa del gruppo Ferruzzi “c’era effettivamente Cosa Nostra” e che tra quest’ultima e una frangia del partito Socialista, riconduci bile all’on. Claudio Martelli, era intercorso un accordo elettorale. Peraltro, anche Giuseppe Madonia aveva manifestato il convincimento che il dr Falcone aveva compreso i legami tra mafia, politica e settori imprenditoriali. Siino, con riferimento all’eliminazione del dr Borsellino, ha inoltre aggiunto che Salvatore Montalto, durante la comune detenzione nel carcere di Termini Imerese, facendo riferimento agli appalti, gli aveva detto: “ma a chistu cu cìu purtava a parlare di determinate cose». Nella medesima sentenza si legge inoltre che «quanto ai rapporti tra i fratelli Buscemi, il gruppo Ferruzzi-Gardini e l’ing. Bini, Brusca ha evidenziato di avere appreso da Salvatore Riina che, a seguito della legge Rognoni-La Torre, i Buscemi avevano ceduto fittiziamente le imprese (la cava Bigliemi e una Soc. Calcestruzzi) al gruppo Ferruzzi; che Antonino Buscemi era rimasto all’interno della struttura societaria come impiegato; che l’ing. Bini rappresentava il gruppo in Sicilia e la Calcestruzzi S.p.A.; che i fratelli Buscemi si “tenevano in mano… questo gruppo imprenditoriale in maniera molto forte” e potevano contare sulla disponibilità di un magistrato appartenente alla Procura di Palermo, di cui non ha voluto rivelare il nome (pag. 137, ud. del 2 luglio 1999)».

L’interesse di Falcone e Borsellino per il “dossier mafia-appalti”

Nella sua audizione del 22 giugno 1990 alla Commissione parlamentare antimafia Giovanni Falcone disse che c’era una «centrale unica degli appalti» ovvero «un vertice che dirige e coordina le assegnazioni e le esecuzioni, cioè tutta la materia (relativa agli appalti, ndr)». Nell’audizione il magistrato parlò dell’omicidio Mattarella e degli altri delitti eccellenti ma raccontò anche dei capitali che Vito Ciancimino aveva investito in Canada, dei suoi prestanome e della faticosa ricostruzioni delle transazioni finanziarie per risalire agli effettivi proprietari. Dichiarò inoltre che «Qualsiasi impresa, italiana o anche straniera, che operi in queste zone è sicuramente soggetta agli stessi problemi: questo è sicuro (…) si annidano le possibilità di un pesante condizionamento soprattutto in sede locale. Se così è, chiaramente tutto questo riguarda qualsiasi imprenditore che operi in determinate zona, sia esso persona fisica, che cooperativa o ente a partecipazione statale (…) C’è un vertice mafioso isolano che controlla la regolazione dei pubblici appalti; tutto il resto è estremamente articolato e complesso e in corso di accertamento, quindi verrà fuori un po’ alla volta. Alcune opere vengono aggiudicate altrove. Il problema sarà ampiamente chiarito, ma non posso farlo completamente in questo momento perché non credo sia opportuno. Ma il punto è sempre lo stesso: il presupposto dell’intervento dell’organizzazione mafiosa sta nel controllo del territorio».
Sono gli stessi colleghi di Borsellino che, nel corso delle audizioni al Csm realizzate alla fine del mese di luglio 1992 e recentemente rese pubbliche, dichiararono di essere a conoscenza del forte interesse di Borsellino su quel dossier e ci raccontano quanto successe nell’ormai famosa riunione del 14 luglio 1992. Lo fa nella sua audizione il dottor Luigi Patronaggio che racconta quanto accadde nella sopracitata riunione e della rabbia di Paolo Borsellino che chiedeva notizie del “dossier mafia-appalti”: E ancora «Paolo Borsellino chiese spiegazioni su questo processo contro Siino perché lui aveva percepito che vi erano delle lamentele da parte dei carabinieri verosimilmente e chiese delle spiegazioni che non erano tanto di carattere tecnico, cioè se era stata fatta o meno una cosa, ma più che altro era il contorno generale del procedimento. Chi c’era o chi non c’era, perché poi, in buona sostanza, la relazione sul processo Siino fu fatta unicamente, esclusivamente per dire che non vi erano nomi di politici rilevanti all’interno del processo o che se vi erano nomi di politici rilevanti all’interno del processo di un certo peso entravano soltanto per un mero accidente che comunque, insomma, ecco, allora la spiegazione di Borsellino fu che chiese spiegazione, fu di carattere estremamente generale, chi erano i politici, ma perché. Insomma, cose di questo genere, non erano singoli fatti, atti istruttori». Il dottor Domenico Gozzo dichiarò «Ho visto proprio questo contrasto più che latente, visibile, perché proprio Borsellino chiese e ottenne che fosse rinviata, perché al momento aveva dei problemi, la discussione su questo processo e fece degli appunti molto precisi: come mai non fossero inserite all’interno del processo determinate carte che erano state mandate». In questo caso il riferimento era al “dossier Pantelleria”, indagine del dottor Borsellino quando era a Marsala.

La riapertura delle indagini

Il 13 luglio 1992, sei giorni prima della strage di via d’Amelio, fu presentata dai sostituti procuratori della Repubblica Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato, con il visto del Procuratore della Repubblica Pietro Giammanco, un’argomentata richiesta di archiviazione, archiviazione che sarà presentata il 22 luglio 1992, tre giorni dopo la strage di via d’Amelio, e posta in essere, con la restituzione degli atti, il 14 agosto 1992.
Ma, in un caldo giorno del luglio dello scorso anno, sotto la guida del Procuratore capo Salvatore De Luca, come rivelò Adnkronos, un pool di magistrati ha riaperto le indagini relative al “dossier mafia-appalti”. È evidente che la riapertura delle indagini potrebbe oggi, proprio con il senno di poi, fotografare l’attuale panorama imprenditoriale, ricostruire il suo sviluppo e capire quale e quanto sia stato il livello di penetrazione della criminalità organizzata di stampo mafioso nell’imprenditoria italiana e non solo. Sarebbe un importante riconoscimento al valore di Falcone e Borsellino ma, soprattutto, l’applicazione del loro metodo di contrasto alle mafie, quello sintetizzabile nel “Follow the money”, abbandonato oramai da trent’anni.

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