ROMA – L’Italia consuma suolo con lo stesso criterio di chi, avendo livelli di colesterolo drammatici, continua a divorare grassi saturi e zuccheri in grande quantità. Ma più delle allusioni non sono bastate le alluvioni che, negli ultimi anni, hanno provocato disastri a ogni latitudine del Paese, spesso a causa dell’impossibilità dell’acqua di farsi strada in centri urbani totalmente impermeabilizzati. Non è stata sufficiente nemmeno l’evidenza scientifica delle isole di calore, per cui le nostre città diventano delle piastre di asfalto bollente a causa dell’eccessiva cementificazione e della mancanza di verde. Si va avanti, come niente fosse. Anzi, si accelera. Il 2024 passerà alla storia come un anno da record per l’incremento di coperture artificiali: spariti quasi 84 chilometri quadrati di terre libere, al ritmo di 2,7 m² al secondo, cioè 230 mila m² al giorno, con un incremento del 16 per cento rispetto all’anno precedente. Al netto del ripristino delle aree naturali pari ad appena 5 km², – si legge nel rapporto del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa), presentato ieri a Roma – si parla di oltre 78 km² di consumo di suolo, cioè “il valore più alto dell’ultimo decennio”. È come se, viene fatto notare nel corso della conferenza stampa, ogni giorno del 2024 fosse sparito un territorio pari alla superficie di più di trenta campi da calcio.
Consumo di suolo, già fatto un danno enorme
Una “corsa” che appare spropositata e sproporzionata anche rispetto agli altri Paesi europei. Oggi in Italia tra infrastrutture, edifici e altre coperture artificiali risultano occupati più di 21.500 km², il 7,17% del territorio italiano, quasi il doppio della media comunitaria ferma al 4,4%. Insomma è stato già fatto un danno enorme, anche in termini economici con la perdita dei servizi ecosistemici che costa tra gli 8 e i 10 miliardi di euro all’anno (Ispra), ma si continua a costruire senza tregua, sovente con la scusa di sostenere l’edilizia, dimenticando però che, al di là dell’arcinoto declino demografico, c’è un vasto patrimonio immobiliare fatiscente e da risanare. Secondo l’ultimo rapporto “Today abitazioni”, redatto da Istat e pubblicato ad agosto 2024, oltre il 50% delle abitazioni italiane è stato costruito nella seconda metà del secolo scorso e quasi il 10 per cento ha più di cento anni. Si aggiunga anche che quasi una casa su tre non risulta occupata.
Legambiente: “È necessario invertire la rotta”
“Sempre più cemento sui campi, sempre meno abitanti in città: pesano responsabilità di amministratori locali, ma anche un quadro obsoleto di norme, nazionali e regionali, inadeguate a fornire strumenti per il governo sostenibile delle trasformazioni urbane e territoriali – ha dichiarato Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente -. È necessario invertire la rotta, per puntellare con disposizioni di legge il principio ‘zero consumo netto di suolo’, orientando il settore delle costruzioni al rinnovo degli spazi già costruiti per puntare all’aggiornamento delle città secondo criteri di reale rigenerazione urbana e di adattamento alla crisi climatica”.
Il settore delle costruzioni residenziali non è però l’unica causa del consumo di suolo, che deriva da molteplici fattori, come spiega l’Ispra. È utile distinguere tra impermeabilizzazione (permanente) e artificializzazione (reversibile). “Una quota importante dell’incremento della superficie artificiale è rappresentata dai 12,9 km² di consumo permanente – si legge nel rapporto –. In aggiunta, altri 11,6 km² sono passati, nell’ultimo anno, da suolo consumato reversibile (rilevato nel 2023) a permanente, sigillando ulteriormente il territorio. L’impermeabilizzazione, ottenuta da queste due componenti, è quindi cresciuta complessivamente di 24,5 km²”.
Qualcuno potrebbe far notare che la componente prevalente del consumo del territorio è imputabile ai nuovi cantieri – ben 4.678 ettari su 8.370 totali nel 2024, pari al 56% –, ma l’Istituto precisa che si tratta di aree “in transizione”, destinate in gran parte a diventare coperture artificiali permanenti (come edifici o infrastrutture) e, solo in misura minore, a essere ripristinate. Tra le altre classi, la crescita degli edifici è stata pari a 623 ettari, delle aree estrattive a 436, delle infrastrutture a 351 e di altre coperture artificiali – piazzali, cortili, campi sportivi o discariche – a 581 ettari.
Sono quadruplicate le coperture derivanti dai pannelli fotovoltaici
Nell’ultimo anno, inoltre, sono quadruplicate le coperture derivanti dai pannelli fotovoltaici: si è passati da 420 ettari del 2023 agli oltre 1.700 del 2024, “dei quali l’80% – precisa l’Ispra – su superfici precedentemente utilizzate ai fini agricoli”. Numeri cresciuti a ritmi esponenziali guardando al trend degli ultimi anni: erano stati 260 gli ettari ricoperti di dispositivi solari nel 2023 e appena 75 nel 2022.
Tra le regioni che destinano più territorio a questo tipo di impianti spiccano Lazio (443 ettari), Sardegna (293 ettari) e Sicilia (272 ettari). Al di là delle riflessioni sull’impatto nel paesaggio e dunque su una più opportuna installazione dei pannelli sui tetti delle abitazioni e dei capannoni industriali, tali numeri – si precisa nel documento – riguardano impianti che non permettono la prosecuzione delle coltivazioni: infatti l’agrivoltaico – in diminuzione da 254 ettari nel 2023 a 132 nel 2024 – non viene considerato tra le cause di consumo. Tra queste si segnala anche il peso delle aree destinate alla logistica (+432 ettari) e, alla voce “dinamiche emergenti”, il fenomeno dei data center, dovuto alla crescente richiesta di infrastrutture digitali e servizi cloud (+37 ettari occupati, soprattutto nelle aree settentrionali del Paese).
Cosa si sta facendo per porvi un argine?
Di fronte a un’avanzata così impetuosa del consumo di territorio, cosa si sta facendo per porvi un argine? Attualmente tra Camera e Senato sono fermi diversi disegni di legge che hanno l’obiettivo di contrastare la cementificazione. Intanto il Parlamento europeo si è espresso sul tema, approvando lo scorso 23 ottobre la prima direttiva sul suolo per monitorarne la salute e combatterne il degrado, ma lasciando insoddisfatte le associazioni ambientaliste. “La direttiva – spiega Damiano Di Simine, responsabile suolo di Legambiente – non risponde certo alle aspettative della petizione europea da noi promossa a suo tempo con l’iniziativa dei cittadini europei People4soil, ma segna comunque un precedente di valore storico: per la prima volta, la tutela del suolo entra nel diritto dell’Unione europea e dei suoi Stati membri. Grazie alla norma approvata lo scorso giovedì possiamo almeno iniziare a sviluppare una piattaforma comune di dati e conoscenze accurate sullo stato di salute dei suoli, e definire criteri comuni per il loro risanamento, un aspetto non secondario se si considerano le migliaia di siti contaminati presenti nel nostro Paese e in tutti gli Stati dell’Unione. Confidiamo in tempi migliori per poter quanto prima passare dalla conoscenza alla tutela del suolo”.
In vigore il regolamento europeo sul ripristino della natura
Al di là della nuova direttiva, è già in vigore il regolamento europeo sul ripristino della natura che impone l’azzeramento della perdita netta di aree verdi urbane entro il 2030 e il loro incremento dall’anno immediatamente successivo. Ad oggi l’Italia non pare abbia intenzione di volersi adeguare: è sempre il rapporto Ispra a farci sapere che nel 2024 è diminuita ulteriormente la disponibilità di verde nelle città, con una perdita di oltre 3.750 ettari di aree naturali. Addirittura il consumo di suolo è cresciuto nelle aree protette (+81 ettari) e in quelle della rete “Natura 2000” (+192 ettari). Perfino dentro i Parchi nazionali e regionali. Il regolamento Ue è stato approvato nel 2024, lo stesso anno preso in considerazione dal monitoraggio dell’istituto superiore per l’ambiente. Continuando così, appare pressoché scontata l’apertura dell’ennesima procedura di infrazione ai danni del Paese.
In Sicilia “divorati” altri 800 ettari di suolo
PALERMO – Un balzo di quasi 300 ettari in più nel giro di un anno. È quello che ha compiuto la Sicilia, una delle aree italiane (per non dire del Mediterraneo) più colpite da frane, alluvioni e degrado del territorio, che però continua a coprire artificialmente. Il consumo di suolo, nell’Isola, è infatti passato da +521 ettari del 2023 ai +799 del 2024, appena sotto l’ultimo gradino dello speciale podio che “premia” le regioni bulimiche di cemento. Per l’Isola è come se fosse sparita un’area pari a due volte il grande Parco della Favorita di Palermo oppure, per dirla con i catanesi, oltre cento volte la Villa Bellini. Dall’altra parte, sul fronte del recupero degli ecosistemi, soltanto 26 ettari siciliani risultano ripristinati.
Quello dell’aggressione alle aree libere è un trend che avanza in tutta Italia, da parecchi anni, e che ha portato 15 regioni a ritrovarsi, oggi, con più del 5% del territorio impermeabilizzato con punte massime in Lombardia (12,22%), Veneto (11,86%) e Campania (10,61%). La Sicilia non è tra le “prime della classe”, ma vede comunque il 6,56% del suo suolo occupato, di oltre due punti sopra la media comunitaria.
Peggio di tutti, quanto a crescita registrata nel 2024, ha fatto l’Emilia- Romagna che sfonda il tetto dei mille ettari, ma va precisato che si tratta di coperture reversibili in quasi il 90% dei casi ed inoltre è la regione con la più alta percentuale di recupero degli ecosistemi (143 ettari). Seguono la Lombardia (+834 ettari), la Puglia (+818 ettari), la già citata Sicilia (+799 ettari) e il Lazio (+785 ettari). La crescita percentuale maggiore dell’ultimo anno è avvenuta in Sardegna (+0,83%), Abruzzo (+0,59%), Lazio (+0,56%) e Puglia (+0,52%), mentre l’Emilia-Romagna si ferma al +0,50%.
“Anche La Valle d’Aosta, che resta la regione con il consumo inferiore – si legge nel rapporto dell’Ispra -, aggiunge comunque più di 10 ettari di nuovo consumo. La Liguria (28 ettari) e il Molise (49 ettari) sono le uniche regioni, insieme alla Valle d’Aosta, con un consumo al di sotto di 50 ettari”.

