Un duplice asse che convergeva verso Palermo. L’indagine della Procura europea sul contrabbando di sigarette aveva nel capoluogo isolano lo sbocco per i flussi che illegalmente entravano in Italia. I magistrati, che hanno ottenuto dal tribunale l’esecuzione di 16 misure cautelari – di cui 14 in carcere – e il sequestro di beni per un milione di euro, hanno tracciato le rotte che venivano percorse con assiduità da un due differenti gruppi criminali che collaboravano nel comune intento di incassare i proventi di un mercato nero che ancora oggi è molto florido. Le bionde arrivavano sia dall’Africa che dall’Est Europa, per poi essere rivendute al dettaglio. Quasi tutti i giorni, d’altra parte, è possibile trovare, nei mercati palermitani, banchetti dove approvvigionarsi di sigarette, senza necessità di andare nelle rivendite autorizzate.
Le indagini della guardia di finanza sono partite a fine novembre del 2021, quando al largo di Marsala viene intercettato un gommone con a bordo due tunisini. Il natante sin da subito è apparso sospetto: aveva il serbatoio modificato in modo tale da riuscire a trasportare fino a quattrocento litri di carburante. Quanto sarebbe bastato per arrivare in Africa, considerata la relativa vicinanza tra l’estrema provincia trapanese e la Tunisia.
Viaggi veloci
Qualche anno fa, il tratto di mare che collega la Sicilia occidentale al paese nordafricano è finito al centro delle cronache per una serie di inchieste giudiziarie – ribattezzate Scorpion Fish e coordinate dalla Dda di Palermo – incentrate sull’immigrazione clandestina. In quel caso – erano gli anni in cui al fenomeno migratorio si guardava con sospetto anche per il possibile, ma mai confermato, interessamento di soggetti legati al mondo del terrorismo – l’attenzione era stata posta su un particolare fenomeno: non viaggi della speranza, in cui il rischio di morire in mare è elevato, ma collegamenti veloci a bordo di gommoni che garantivano, a prezzi più elevati, di raggiungere la Sicilia nel giro di poche ore.
Tra le persone finite al centro dell’indagine c’era stato anche Mongi Ltaief, tunisino che oggi ha 52 anni. L’uomo, oggi, è ritenuto essere a capo di una delle organizzazione dedite al contrabbando di sigarette.
Il gommone sequestrato a novembre 2021 apparteneva a un siciliano, che poche settimane dopo ne ha rivendicato la proprietà. Quest’ultimo in passato era stato in contatto proprio con Ltaief.
I finanzieri, prima di restituire il mezzo, hanno installato un rilevatore Gps con l’intento di tracciarne i movimenti e appurarne l’eventuale coinvolgimento in traffici illeciti. E nonostante la mossa si sia rivelata inutile, in quanto Ltaief si è accorto dell’apparecchio pur non rimuovendolo per non destare sospetti, è da qui che sono partiti per ricostruire gli affari di un folto gruppo di persone, tra tunisini, siciliani, campani e dell’Est.
Cassette preziose
Mongi Ltaief e il connazionale Nejib Ammar sarebbero stati in grado di introdurre in Italia tabacchi lavorati esteri usufruendo sia di piccoli gommoni, utilizzati per il trasbordo della merce davanti alle coste tunisine, che pescherecci di maggiore dimensione a bordo dei quali le sigarette di contrabbando viaggiavano in casse fino ad avvicinarsi alle coste siciliane, dove venivano prelevate da altri natanti.
Il sistema poggiava su un’organizzazione articolata, comprensiva di scafisti e figure che erano a disposizione per garantire che la filiera distributiva non si inceppasse.
A essere individuato come interlocutore privilegiato di Ltaief è stato il 56enne palermitano Antonino Li Causi, finito nell’indagine insieme ai figli Gaetano e Caterina. I viaggi che partivano dall’Africa erano nell’ordine di diversi quintali di merce alla volta, centinaia di cassette, quando si trattava di piccoli natanti, e di più di una tonnellata quando a essere sfruttati erano i pescherecci.
Per gli inquirenti, Li Causi sarebbe stato il riferimento anche per i traffici che dai paesi dell’Europa dell’Est – Bulgaria, soprattutto – attraversavano l’Italia a bordo di container, con il coinvolgimento di alcuni uomini originari della Campania.
Le somme sottratte allo Stato
A fronte dei sequestri che si sono succeduti nel corso dell’indagine, i finanzieri si sono occupati anche di quantificare le somme che sono state sottratte all’imposizione delle relative accise e tasse previste per il commercio di tabacchi lavorati. Si parla di circa 850mila euro di dazi doganali non riscossi; 6,9 milioni di euro per quanto riguarda la mancata imposizione delle accise mentre l’Iva non riscossa ammonta a 2,1 milioni. Complessivo si arriva a sfiorare la cifra di dieci milioni di euro.
Oltre alle misure cautelari, il tribunale ha disposto anche una serie di sequestri di beni a carico degli indagati. Gli inquirenti hanno appurato che nel caso della famiglia Li Causi, gli indagati avrebbero tentato di far figurare una situazione reddituale non corrispondente alla realtà tramite fittizie assunzioni in un’associazione del terzo settore attiva nei servizi di ambulanza che di recente registrata nell’elenco tenuto dalla Regione Siciliana. Il sistema prevedeva che gli indagati restituissero in contanti lo stipendio.

