Pubblico e privato organizzazione identica - QdS

Pubblico e privato organizzazione identica

Carlo Alberto Tregua

Pubblico e privato organizzazione identica

mercoledì 19 Agosto 2020

Perché molti italiani non dotati di competenze aspirano a nient’altro che a un posto di lavoro pubblico? La risposta è banale. Perché il posto di lavoro pubblico offre innumerevoli vantaggi rispetto a quello privato. Si tratta di vantaggi formali e sostanziali che prescindono dal merito e dalla qualità professionale dei predetti dipendenti.
Cosicché, si è creato un abisso tra il settore pubblico e quello privato, verso il quale vanno coloro che vogliono veramente lavorare, che non reclamano solo diritti ma sono pronti a compiere il proprio dovere. Insomma, cittadini di prim’ordine, indipendentemente dal fatto che lavorino in imprese grandi, medie o piccole.
In quest’ultime, in particolare, i dipendenti partecipano al buon andamento dell’azienda perché da esso dipende il loro futuro e si comportano come in una famiglia ove a nessuno è dato di sprecare alcunché, dovendo fare il massimo per il benessere di tutti.

Nel pubblico, invece, non è così. Nessun dirigente, funzionario o dipendente si sente parte della grande famiglia di 4 milioni di italiani, compresi i dipendenti delle partecipate, mentre considerano il loro datore di lavoro (Stato, Regioni, Comuni ed altri Enti) come qualcuno che gli deve erogare non solo stipendio, tredicesima, eccetera, ma anche una serie di servizi che soddisfino i cosiddetti “diritti”.
Leggendo e rileggendo i contratti di lavoro del settore pubblico e di quello privato emergono macroscopiche differenze, soprattutto perché nei primi c’è un’abbondanza di diritti puntualmente elencati, nei secondi oltre ai diritti sono menzionati una serie di doveri che rendono equilibrato il rapporto di lavoro.
Ora, questo solco nel mondo del lavoro tra settore pubblico e settore privato è sempre più ampio, secondo un andamento che ormai viaggia così da cinquant’anni.
Nessun ministro della Pubblica amministrazione ha mai pensato di far combaciare i due contratti di lavoro, in modo da osservare l’articolo 3 della Costituzione sulla uguaglianza dei cittadini.
Non è che i dipendenti privati siano figli del Dio minore. è invece vero che essi facciano parte del mondo del lavoro che produce ricchezza e che di fatto sostiene tutto il Paese.
Vi è un altro squilibrio macrospcopico tra il settore pubblico e privato. Quest’ultimo fa incassare allo Stato le imposte necessarie alla quadratura del Bilancio. Il primo invece si occupa della spesa senza un minimo di buon senso e senza capacità di rendere tale spesa produttiva.
Come si fa a rendere produttiva la spesa pubblica? La risposta anche qui è banale: adottando una organizzazione gemella a quella prevista dai contratti di tipo privato. Non solo, ma eliminando il privilegio fascista (perché adottato in quel periodo) delle 36 ore settimanali. Non c’è alcuna ragione che vi siano cittadini italiani che debbano lavorare in una settimana 40 ore ed altri che ne lavorino 36.
È pur vero che nel settore privato tale privilegio riguarda il contratto di lavoro dei giornalisti. Ma in questo caso l’onere grava sugli editori e non sulle casse pubbliche. Riteniamo che, essendo i cittadini uguali di fronte alla legge, anche in questo caso dovrebbe essere uguale per tutti, nessuno escluso.

Tanti ministri della Pubblica amministrazione si sono cimentati nella “eroica” impresa di riformarla, ma o la montagna ha partorito il topolino (citiamo gli ultimi cinque: Brunetta, Patroni Griffi, D’Alia, Madia, Bongiorno) oppure le buone intenzioni sono rimaste tali. Ma come si sa la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni.
Tutto ciò è accaduto e continua ad accadere (dell’attuale ministra Dadone non abbiamo notizie), perché non viene posto all’ordine del giorno l’argomento principe: unificare i contratti di lavoro, rendendoli gemelli, in modo che la convenienza di correre verso il settore pubblico di fatto sparirebbe. Quanti professori chiedono di andare ad insegnare nel Nord dove ci sono buchi vistosi nell’organico con la riserva di rientrare al Sud adottando uno degli squallidi espedienti che le varie leggi protettive hanno consentito.
Quali privilegi? L’orario ridotto (già scritto), il rientro pomeridiano che consente di ridurre a cinque le giornate della settimana, nessuna responsabilità sull’attività perché a nessun dipendente è fissato l’obiettivo del suo lavoro, assenza dell’indice di produttività. Sarebbe ora che questi privilegi venissero eliminati.

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