“Lei no, non me lo può dire. E sai perché? Perché a me suo nipote mi costa un botto, ottocento euro al mese di affitto”.
A febbraio dello scorso anno Marcella Cannariato, moglie di Tommaso Dragotto e vicepresidente dell’omonima fondazione, si diceva certa di avere le porte aperte all’assessorato regionale al Turismo e allo Spettacolo. Il motivo di tale convincimento stava nei favori che Cannariato, già coinvolta nelle vicende riguardanti i fondi pubblici erogati dall’Ars su disposizione del presidente Gaetano Galvagno, aveva iniziato a fare, da mesi, all’assessora Elvira Amata.
Le accuse
Tra le accuse che la procura di Palermo rivolge all’esponente della giunta regionale, indagata per corruzione, c’è quella di avere agevolato le aspettative di Cannariato in merito all’erogazione di fondi ottenendo in cambio l’assunzione del nipote.
Amata, che si è detta in grado di chiarire la propria posizione davanti ai magistrati, ha incassato la fiducia del presidente della Regione, Renato Schifani, che ha così risposto alle richieste di rimuovere dalla giunta l’esponente di Fratelli d’Italia.
Alloggio e stipendio
L’attenzione degli inquirenti continua a essere rivolta ai fondi pubblici stanziati per l’organizzazione di manifestazioni che sarebbero state patrocinate dalla Regione come contropartita dei favori elargiti da Cannariato.
Stavolta si tratta dei contributi concessi per gli eventi “Donne, Economia & Potere” e “Mettiamoci la testa”, quest’ultimo in occasione della giornata mondiale della salute mentale.
L’ultimo capitolo dell’indagine che sta imbarazzando il partito di Giorgia Meloni, in Sicilia e non solo, riguarda i benefit che Amata avrebbe ottenuto.
L’assessora sarebbe riuscita a trovare un lavoro al nipote in una delle società della famiglia Dragotto. La disponibilità di Cannariato si sarebbe spinta anche oltre: la donna avrebbe pagato per mesi l’alloggio del giovane in una struttura ricettiva palermitana, in attesa di concedergli un appartamento nello stesso stabile in cui Elvira Amata e la propria segretaria particolare alloggiavano.
Dalle intercettazioni effettuate dalla guardia di finanza, il rapporto tra Cannariato e Amata appare particolarmente stretto.
In una circostanza Cannariato spiega all’assessora di non aver detto a nessuno dell’assunzione del nipote. Un’accortezza che per gli inquirenti dimostrerebbe la volontà della donna di celare il patto corruttivo. “Io non ho mai detto che lavora da me, perché sennò…”, diceva la vicepresidente della Fondazione, secondo la quale mantenere le relazioni con i politici era utile in quanto “i salottini servono”.
Nipote di chi?
Con il passare dei mesi, tuttavia, Cannariato avrebbe iniziato a mostrarsi insofferente rispetto al carico economico che derivava dal mantenimento del giovane. Dalla Regione erano arrivati poco più di 30mila euro, mentre la donna affrontava i costi dell’affitto e dello stipendio del nipote di Amata.
“Io non è che posso pagare in eterno 700 euro al mese a gratis a ‘stu ragazzino, oltre lo stipendio”, diceva Cannariato, aggiungendo di essere intenzionata di contattare Amata e ricordarle che “è tuo nipote, non il mio, giusto?”
L’idea di non offrire gratuitamente a oltranza i propri alloggi avrebbe peraltro riguardato anche l’appartamento in cui viveva Amata a Palermo.
Tale volontà emerge da una conversazione tra Giuseppe Martino – il braccio destro di Amata dimessosi nei giorni scorsi e anche lui indagato per avere ottenuto vantaggi personali dal rapporto con Cannariato – e la segretaria particolare dell’assessora.
I due discutono del fatto che Cannariato vorrebbe chiedere mille euro al mese per l’affitto della casa e di avanzare la pretesa anche per i mesi già trascorsi. Per questi ultimi, i soldi si sarebbero dovuti dare in contanti per l’impossibilità di redigere un contratto con effetti retroattivi.
“Quindi lei pensava di andare a non pagare niente”, rifletteva Martino. E la segretaria di Amata confermava: “Diciamo gli arretrati penso proprio di no”.
Il disinteresse di Galvagno
Nell’informativa che la guardia di finanza dedica alla posizione di Amata, c’è un passaggio in cui si menziona anche Gaetano Galvagno. Stavolta il presidente dell’Ars, parlando di un evento a cui teneva Cannariato, non avrebbe mostrato particolare coinvolgimento.
A descrivere la scena è Sabrina De Capitani, la portavoce di Galvagno che dopo lo scoppio dello scandalo si è dimessa. “Che rimanga tra noi – diceva, parlando con la segretaria di Amata – Perché c’è Elvira, perché ci sei tu e perché ci sono io che abbiamo fatto squadra e ho insistito, ma Gae non gliene poteva calar di meno di fare sta roba. Non hai idea del lavoro che ho dovuto fare con lui”.
Stando a De Capitani, l’evento promosso dalla Fondazione Bellisario, che in Sicilia è rappresentata da Cannariato, consisteva in un apericena e un concerto che non avrebbero entusiasmato Galvagno: “Ma a me che me ne fotte di queste, sono tutte cariatidi”. Seguendo la ricostruzione di De Capitani, il presidente dell’Ars avrebbe anche commentato: “Ma cos’è ‘sta fondazione Bellisario? Ma dobbiamo farlo per forza? Ma se so de Roma queste, a me che cazzo me ne frega”.

