Unc: le città isolane sono tra quelle che hanno subito rincari più consistenti lo scorso anno. A Caltanissetta i maggiori rializi per i prodotti alimentari, a Messina per l’assistenza sociale
PALERMO – La Sicilia si riscopre un territorio dove il caro-vita galoppa, eccome. Uno “schiaffo” agli stereotipi per cui si pensa sempre che nell’Isola i prezzi sia molto inferiori rispetto a quelli delle città del Nord. Ci ha pensato un’indagine dell’Unc, l’Unione nazionale consumatori, a rimettere tutto in discussione e a far emergere che moltissime città siciliane sono tra quelle che hanno subito lo scorso anno i maggiori rincari nei più disparati ambiti. Caltanissetta, ad esempio, risulta essere il capoluogo che nel 2020 ha il maggiore rialzo per quanto riguarda i prodotti alimentari con un’inflazione pari a +4,2%, al secondo posto Trieste, Grosseto ed anche questa volta la siciliana Trapani (tutte a +3,1%), poi Perugia con +2,9%. Al contrario non risulta nessuna città siciliana tra quelle in cui figurano dei tagli ai costi al consumatore.
Per i servizi ambulatoriali, ossia visite mediche specialistiche, servizi dentistici e paramedici, come la fisioterapia, figura ancora Trapani: altro rincaro del 4,6%, preceduta soltanto da Cosenza (+5,1); le migliori città, vale a dire quelle con i minori rincari, sono Lodi (-0,2%), Cagliari, Ferrara e Aosta (-0,1% per tutte). Terze, con una variazione nulla, tra le altre, Milano e Napoli. La media italiana è +0,9%.
Limitati, causa Covid, i rincari dei servizi di ristorazione, ossia ristoranti, pizzerie, bar, pasticcerie, prodotti di gastronomia e rosticceria. Al primo posto Grosseto (+3,7%), al 2° Pordenone (+3,3%) e al 3° l’immancabile Trapani (+3,1%). Inaspettatamente, però, in deflazione ci sono solo Bergamo (-0,7%) e La Spezia (-0,2%).
“Evidentemente – sostiene l’Unc – quando i ristoratori hanno potuto riaprire, non hanno abbassato i prezzi che in media nazionale segnano anzi un +1,2%, incidendo sul bilancio di una famiglia per 16,50 euro, chiusure a parte”. Le cose vanno diversamente per i servizi di alloggio, ossia alberghi, pensioni, bed and breakfast e villaggi vacanze. Per via del lockdown e del crollo della domanda turistica, ben 42 città su 68 sono in deflazione. Il record per Venezia, dove i listini degli alberghi precipitano nel 2020 del 10,4%, al secondo posto l’onnipresente Trapani, -8,5%, al terzo un’altra città turistica per eccellenza, Firenze con -7,6%. Sul fronte opposto salgono a Cosenza (+4,2%), Terni (+3,6%) e al 3° posto Napoli (+3,1%). In Italia scendono dell’1,6%. Tra le città virtuose, Bologna (4° con -6%), Verona e Lucca (seste con -5,6%), Roma (11° con -4,3%), Rimini (12° con -3,9), Milano (13° con -3,8%) e Siena (15° con -3%).
Preoccupanti, vista l’emergenza sanitaria, i rialzi dell’assistenza sociale che comprende case di cura per anziani, nidi d’infanzia e servizi di assistenza a domicilio. Neanche a dirlo al primo posto c’è una siciliana , Messina, con il suo +4,6%, seguita da Pescara (+4,5%) e Vicenza (+4,1%), le più brave Livorno (-5,4%), Pordenone (-3,8%) e Cosenza (-2,1%). Italia: +0,6%. Male Cagliari (7°, +2,4%), Venezia (8°, +2,3%), Torino (9°, +2%) e Napoli (10°, +1,8%).
Per quanto riguarda la fornitura acqua e servizi vari connessi all’abitazione, ossia fornitura acqua, raccolta rifiuti e spese condominiali, una vera e propria stangata per chi abita a Gorizia (+6% rispetto al 2019), Palermo (+5,6%) e, al terzo posto, Napoli (+5,1%). Infine, i rincari più elevati, addirittura a due cifre, per ‘Altri servizi’ che comprende tariffe amministrative, servizi legali e servizi funebri. A Palermo un rialzo da primato, pari al 18,6%, al secondo posto Livorno con +13,4% e al 3° Genova, +11,4%. Al primo posto per i ribassi Lecco, -2%, seguita da Brescia, -1,8% e Reggio Emilia, -1,1%. In Italia +1,4%.
“L’Italia non è tutta uguale – afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori -. Queste differenze sono dovute a tanti fattori che cambiano a seconda delle città e del tipo di bene e servizio. La deflazione più alta in alcune città d’arte, ad esempio, dipende certo dal crollo dei turisti, in altri casi dalla maggiore flessione della domanda registrata in alcuni territori più colpiti dalla recessione”.
“I rialzi più rilevanti – aggiunge – sono spesso dipesi dai diversi effetti che il lockdown e la ridotta mobilità dei consumatori ha prodotto in quel territorio per via della minore concorrenza. Laddove le famiglie avevano scarse possibilità di scelta, i prezzi sono saliti in modo più marcato. Quando invece, pur non potendo uscire dalla città, avevano a disposizione alternative, potendo scegliere tra più forme distributive, ipermercati, supermercati, discount, negozi di vicinato, mercati, i rincari sono stati più contenuti e le speculazioni non sono state possibili. In rari momenti e in poche zone ci sono state anche corse agli acquisti, ma con conseguenze temporanee. In alcuni casi gli aumenti dipendono da scelte scellerate del Comune, come per acqua e rifiuti, in altri dalla diversa scelta fatta da commercianti ed esercenti di trasferire o meno sui consumatori finali i maggiori costi legati al Covid”.