Il direttore del Dipartimento Malattie infettive del Garibaldi commenta al QdS gli ultimi studi sull’efficacia del plasma iperimmune che all’inizio venne osteggiato dalla comunità scientifica: “Fu una buona scoperta”
CATANIA – Tutto ha inizio il 27 luglio del 2021. Sono gli anni del Covid, delle immani tragedie di migliaia di famiglie colpite dalla morte di un parente per la terribile malattia che colpiva i polmoni. Fu proprio quel giorno che il prof. Giuseppe De Donno venne trovato suicida dalla famiglia all’interno della sua abitazione. La vita del professore, ex primario di pneumologia dell’ospedale Carlo Poma di Mantova, si intreccia strettamente con la sua scoperta, quel plasma iperimmune che aveva portato negli animi della gente la speranza di aver trovato una terapia che potesse contrastare il Covid 19.
Ma allora, dopo mesi di questa terapia, il prof. De Donno fu messo all’angolo da molti colleghi e anche dalle autorità sanitarie e dovette, alla fine, desistere quando la medicina tradizionale lo additò, costringendolo addirittura a dimettersi da primario per andare a fare il medico di base a Porto mantovano. Certamente a De Donno, un uomo che aveva dedicato alla medicina e alla ricerca parte della sua vita, molte frasi e accuse devono averlo profondamente colpito.
In effetti il plasma iperimmune di De Donno era una grande scoperta
Adesso, però, a distanza di alcuni anni da quel terribile episodio c’è qualcosa che sta emergendo e dimostrerebbe che in effetti il plasma iperimmune di De Donno era una grande scoperta e per deduzione logica, davanti a quello che sta emergendo, ci si chiede come mai allora si decise di gettare nella pattumiera una scoperta così importante per acquistare una enorme partita di anticorpi monoclonali, con un esborso non indifferente per lo Stato visto che una sacca di plasma costava circa 70 euro mentre una confezione di anticorpi circa 700.
Le pubblicazioni scientifiche
A conferma di cosa stiamo parlando ci sono alcune pubblicazioni scientifiche. Tra le più recenti quella del 12 gennaio 2023 dal titolo “Covid-19 Convalescent Plasma for the Treatment of Immunocompromised Patients: A Systematic Review and Meta-analysis” firmata da tre illustri scienziati Jonathon W. Senefeld, dell’Università dell’Illinois, Massimo Franchini, direttore del Simt) Servizio immunoematologia e Medicina trasfusionale di Mantova, amico del prof. De Donno) e Carlo Mengoli, prof. Associato dell’Università di Padova.
Nell’articolo i tre medici scrivono: “Molti trattamenti, tra cui antivirale, anticoagulante e agenti anti-infiammatori, sono stati testati in pazienti con Covid-19, spesso con risultati controversi. Il trasferimento passivo di anticorpi anti-SARS-CoV-2 neutralizzanti dal plasma di individui recentemente recuperati (plasma convalescente Covid-19-19) a pazienti con grave Covid-19-19 è stato tra le prime terapie utilizzate. Vi è ora una prova sostanziale che suggerisce che tale terapia a base di anticorpi, quando somministrato all’inizio del decorso della malattia (cioè, entro 72 ore dalla comparsa dei sintomi) e con alti titoli di anticorpi neutralizzanti, è associato con un beneficio clinico tra cui diminuisce l’incidenza della progressione della malattia, ospedalizzazione, e la mortalità. Inoltre i tre scienziati in riferimento alle varianti che continuano a imperversare in tutto il mondo aggiungono che “il plasma convalescente Covid-19 sembra aver mantenuto l’efficacia clinica nel tempo con SARS-CoV-2 emergente varianti dovute ad eterogeneo, ampio spettro di anticorpi neutralizzanti e la disponibilità diffusa. Così, c’è stato un rinnovato interesse per l’uso clinico del plasma convalescente Covid-19, in particolare per i pazienti immunocompromessi, che non sono in grado di montare una sufficientemente risposta anticorpale protettiva contro il virus, e che hanno controindicazioni o effetti avversi da antivirali piccola molecola. I rapporti di casi e le serie di casi hanno indicato un beneficio clinico dal plasma convalescente Covid-19 fra i pazienti con il cancro ematologico o solido o altre cause sottostanti di immunosoppressione”.
Un’altra pubblicazione scientifica di una certa importanza sul beneficio del plasma iperimmune è stata scritta il 10 giugno del 2022 da Nancy A. Melville”, ricercatrice americana, sul tema “Grave Covid-19 e cancro del sangue: la terapia del plasma può aiutare” .“Per i pazienti con Covid-19 severo che hanno avuti una malignità ematologica di fondo o un cancro solido – scrive la Melville – , i risultati erano significativamente migliori seguenti il trattamento con plasma da pazienti convalescenti e vaccinati. Lo studio ha dimostrato che “il plasma di soggetti convalescenti o vaccinati riduce il tempo di miglioramento ematologico e solido in pazienti affetti da cancro con grave Covid-19” e “prolunga la sopravvivenza complessiva,” ha detto anche il co-autore Maike Janssen, MD, del Dipartimento di Internal Medicina V, Heidelberg University Hospital, Heidelberg, Germania.
“Queste ed altre pubblicazioni confermano che il prof. De Donno aveva visto giusto nella lotta alla malattia”. A dirlo è il prof. Bruno Cacopardo, responsabile del dipartimento Malattie infettive dell’ospedale Garibaldi Nesima. Anche Cacopardo, come lo fu il prof. De Donno, appartiene a quella categoria di scienziati che di fronte al dilagare del Covid adottò e somministrò cure alternative davanti a casi disperati e in concreto pericolo di vita. Queste terapie poi in molti casi si rivelarono vincenti attraverso la guarigione del paziente. Cacopardo somministrò l’Ivermectina, un farmaco antiparassitario che guarì molte persone che erano a un passo dalla intubazione, compreso il caso stupefacente di un parroco che era arrivato al limite della sopravvivenza, ma si salvò solo quando Il professore cominciò a somministrargli l’Ivermectina.
Cacopardo: “La medicina ufficiale contro scoperte che non provenivano da azienda farmaceutiche”
“Vede – commenta oggi il prof Cacopardo – allora la medicina ufficiale si scagliò contro tutte le scoperte che non provenivano da aziende farmaceutiche e non potevano permettersi trial clinici che avvalorassero la loro efficacia. Lo stesso avvenne per il plasma iperimmune, anche se devo dire che allora ci fu un trial clinico che non mostrò alla fine risultati così deludenti. Purtroppo nel frattempo si fecero strada gli anticorpi monoclonali e la medicina ufficiale optò per questi ultimi ritrovati. “Ma c’è una differenza sostanziale tra plasma e anticorpi – aggiunge Cacopardo – . Gli anticorpi erano realizzati su una specificità di un virus che però va mutando. Così attualmente l’efficacia degli anticorpi monoclonali è molto limitata rispetto ai ceppi virali che stanno circolando oggi, mentre il plasma iperimmune va benissimo, perché è derivato dal sangue dei pazienti che sono guariti recentemente dal ceppo Covid che sta circolando in questo periodo”.
Cacopardo: “A mio avviso il plasma iperimmune funziona”
“A mio avviso, tirando le somme – aggiunge il professore Cacopardo – il plasma iperimmune funziona, consente di adattarsi in tempo reale ai ceppi che mutano e va somministrato assieme agli antivirali in quelle sottopopolazioni di soggetti fragili o fragilissimi che hanno difficoltà ad eliminare il virus e quindi a causa di questo non riescono a fare le terapie tradizionali per le loro patologie. Per esempio – ha spiegato l’infettivologo – un ammalato di linfoma che deve fare una chemio per guarire dal linfoma, se resta positivo per molto tempo non può essere trattato. Con l’accoppiata plasma iperimmune fresco e antivirali si spinge il fisico a consentire la negativizzazione del virus. Per questo non dico una falsità se confermo che il plasma iperimmune inventato dal prof. De Donno fu una buona scoperta e a tutt’oggi all’istituto Spallanzani stanno effettuando una ricerca che sta avendo risultati molto sorprendenti”.